di redazione

Giuseppe BolzoniL'hanno trovato morto all'alba dell'anno nuovo, era nella sua casa trasformata in una tomba ghiacciata dal freddo invernale e dall'assenza delle forniture di luce, gas e acqua. Aveva 45 anni, viveva in una casa comunale nella quale le utenze erano state staccate nel marzo scorso. Era invalido, invalido sul lavoro da quando per un incidente riuscì per un pelo a non entrare nel triste elenco delle "morti bianche" sul lavoro; che ogni anno aumenta nel nostro paese tra l'indifferenza generale. Eroi silenziosi che muoiono con discrezione senza meritare, tutti insieme, un millesimo dell'attenzione riservata a Er Mutanda o alla prima velina con le tette siliconate che passa sugli schermi. Quella disgrazia gli aveva meritato una pensione di 300 euro al mese e, dopo anni di sistemazioni avventurose, un piccolo appartamento comunale; non stupisce che, dovendo pur mangiare, non riuscisse a pagare le bollette. Stupisce semmai che la grassa Enel abbia tagliato la corrente ad un invalido, dopo aver a lungo dichiarato pubblicamente che certe cose non le fa; stupisce che dal pauroso attivo di un azienda privata che è saldamente in mano pubblica non siano usciti i pochi euro sufficienti a far funzionare una stufetta a casa di Giuseppe.

Giuseppe per gli amici era Zeppelin, per il comune e per l'assistenza pubblica era un caso come un altro, conosciuto e dimenticato perché forse timido ed incapace di andare a pietire con continuità l'attenzione di chi doveva, per legge, occuparsi dei suoi bisogni.

E' morto a Cremona, cittadina del ricco Nord nella quale solo in un centro sociale occupato, il Dordoni, aveva trovato compagnia, calore umano e amicizia.

Zep, il nome che aveva scritto anche sul campanello di casa, non chiedeva aiuto a nessuno, non era certo l'esempio di quei "mantenuti dallo stato" che la gente senza cuore chiama in causa tutte le volte che ci sono da ridurre i servizi sociali; non protestava perché si danno aiuti agli immigrati e non ai "nostri" e di certo non avrebbe apprezzato che un volgare leghista speculasse sulla sua morte con dichiarazioni di questo tenore, come poi è tristemente avvenuto.

A Cremona le istituzioni hanno dichiarato che rifletteranno su come sia potuto avvenire che Zep sia morto di freddo, dentro il suo appartamento ghiacciato, senza che la rete sociale del comune abbia potuto evitarlo. Forse succederà davvero e forse grazie alla morte di Zep qualche altro sfortunato cremonese vedrà tornare la corrente elettrica in casa. O forse no.

Parlare di Stato Sociale in un paese nel quale si parla solo di mercato, senza neppure sapere di cosa si tratti, appare decisamente fuori moda. Puzza di vecchio. Le magnifiche sorti progressive sono ormai affidate alle teorie insensate che gente fuori dal mondo propina al popolo bue dall'alto di pulpiti pagatissimi e di cattedre conquistate dicendo sempre si alla maggiore concentrazione di denaro in campo.

Negli ultimi anni il PIL del nostro paese, il sacro PIL, è rimasto costante: non è cresciuto impetuosamente, ma non è neppure calato; questo vuol dire che la torta della ricchezza nazionale prodotta è sempre la stessa. Quello che è cambiato è il modo di distribuire le risorse: fette sempre più grosse ai pochi che già mangiavano molto e bene, briciole sempre più piccole alla stragrande maggioranza che vive di uno stipendio o che anche un misero stipendio se lo sogna. Non stupisce che Giuseppe sia vissuto di niente e che di questo sia morto.

Adoriamo il PIL, un numero senza senso assurto ad indicatore di qualità, adoriamo il mercato e gli affidiamo i nostri destini. Nessuno sa chi sia il mercato, chi lo abbia eletto, a chi risponda; ma diamo retta a gente che vive al di sopra di qualsiasi logica di mercato e ci lasciamo fregare dal mercato senza fiatare. Molti milioni di persone sono morte nel secolo scorso perché le risorse fossero divise equamente, perché tutti gli uomini avessero uguale dignità, perché "one man, one vote" fosse il pilastro sul quale fondare società migliori.

Se guardiamo a come ci siamo ridotti, quegli illusi sono morti per niente.
I nostri voti oggi non importano; comanda il mercato insieme ai quattro avidi che dietro di esso si nascondono e prosperano, sostenuti da corti di nani e ballerine che si agitano sul palco per distrarre tutti noi, i truffati. Truffati non solo dai furbetti del quartierino, ma da tutti quanti si affannano in una recita di pessimo gusto per dimostrare che quanto costruito con il sudore e i sacrifici di un popolo, è al servizio di una ristretta cerchia di onnipotenti in grado di fare quel che vogliono delle nostre vite.

Il bello, o il tragico, è che questa gente è applaudita anche da chi riesce a fregare. In questo senso è esemplare il caso dei giornalisti, che nell'anno passato hanno proclamato giorni e giorni di sciopero perché sono stati investiti dalle "riforme" che, come veri Tafazzi, hanno sostenuto per anni quando riguardavano gli altri. Per anni hanno bastonato gli ignoranti che si opponevano al progresso e al liberismo, che vuole libere volpi scatenate in liberi pollai.

Nessuno potrà più aspettare Zeppelin, ormai volato via, e nemmeno quelli che ogni giorno muoiono nei cantieri tra l'indifferenza, o nelle loro piccole tane e tuguri nascosti.
Nessuno aspetterà i dannati della terra, gli eterni sconfitti, che al massimo potranno aspirare alla generosa carità pelosa sullo stile del sindaco di Milano che, ai rifugiati ai quali da anni rifiuta una casa, ha procurato una branda nelle cantine dei cessi pubblici cittadini. Milano con il cuore in mano, si diceva una volta, quando si fingeva ancora che esistesse una cosa chiamata dignità umana e si credeva che fosse un segno di civiltà lavorare insieme per tutelarla.
Pietà l'è morta, ha preso il volo su un dirigibile dal nome antico per non tornare più.

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