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di Sara Nicoli

Piergiorgio Welby "Signor presidente, mi aiuti a morire; questo mio grido non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese". Con la forza che gli resta, Piergiorgio Welby, co-Presidente dell'Associazione Luca Coscioni, malato di distrofia muscolare progressiva, ha registrato un video contenente una lettera aperta al Presidente della Repubblica. E' una supplica, non il testamento di un malato terminale che non ha più speranze e si augura solo di non svegliarsi la mattina: Welby chiede al Capo dello Stato di farsi promotore della riapertura del dibattito politico sull'eutanasia. "Perchè, signor presidente, io vorrei che anche ai cittadini italiani fosse data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi e olandesi; Montanelli mi capirebbe, se fossi in un altro Paese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo, ma sono italiano e qui non c'è pietà". Piergiorgio Welby non ricorda con esattezza quando si è ammalato."Ricordare come tutto sia iniziato non è facile - racconta - perché la memoria non è accumulazione, ma selezione e catalogazione. Forse fu una caduta immotivata o il bicchiere, troppo spesso sfuggito di mano etc. ma quello che nessun distrofico può scordare è il giorno in cui il medico, dopo la biopsia muscolare e l'elettromiografia, ti comunica la diagnosi: Distrofia Muscolare Progressiva. Questa è una delle patologie più crudeli; pur lasciando intatte le facoltà intellettive, costringe il malato a confrontarsi con tutti gli handicap conosciuti: da claudicante a paraplegico, da paraplegico a tetraplegico; poi arriva l'insufficienza respiratoria e la tracheotomia. Il cuore, di solito, non viene colpito e l'esito infausto, come dicono i medici, si ha per i decubiti o per una polmonite".

Cronaca asciutta di un percorso che Welby ha però voluto spiegare a Napolitano con altre parole, quelle dei suoi sentimenti e dello stato d'animo che accompagna le sue giornate, punteggiate dai ricordi e dalle sensazioni di un tempo. "Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso,la passeggiata notturna con un amico. Io non sono né un malinconico, né un maniaco depresso...morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita...è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio...è lì, squadernato davanti ai medici, assistenti, parenti. No, non sto invocando per me una morte dignitosa. No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte. La morte non può essere "dignitosa"; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita". Sgombriamo, dunque, il campo dagli eufemismi. L'eutanasia non è solo una questione di dignità. In certi casi è una morte opportuna. Per chi, come Welby, coglie la concretezza del problema sulla propria pelle, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: "Tutti i malati vogliono guarire, non morire".

C'è infatti altro dietro alla pervicacia con cui, in Italia, si nega ad un malato terminale di porre dolcemente fine ai propri giorni senza lacerarsi l'anima assistendo inerme alla lenta - quanto talvolta dolorosa - dissoluzione di se stesso. Senza via d'uscita. E Welby chiama in causa senza sconti il primo attore di questa medioevale chiusura al confronto che rende oggi, in questo paese, impossibile un dibattito politico, laico e sereno, sul tema eutanasia: il Papa e le sue milizie parlamentari. Ma ad un malato terminale come Welby, quei muri di omertà eretti nel nome dell' inviolabilità della vita umana, dal concepimento fino al suo termine naturale, non possono che apparire per quello che realmente sono; strumentalizzazioni politiche finalizzate all'asservimento dello Stato laico a quello clericale. Infatti, nel video Welby si chiede, colpendo dritto negli occhi le ipocrisie cattoliche. "Ma che cosa c'è di naturale in una sala di rianimazione? Che cosa c'è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c'è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l'aria nei polmoni? Che cosa c'è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l'ausilio di respiratori artificiali? Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente biologica, io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico". Non di quello cattolico, a quanto sembra.


Inutile sperare che questo struggente appello a Napolitano possa trovare sponda. E' noto al Quirinale, quanto a noi, che le attuali condizioni politiche non consentono in alcun modo l'apertura di un dibattito politico ampio su un tema così forte da risultare lacerante per il tessuto connettivo del Paese più di altre questioni, come l'aborto o la procreazione assistita. La compagine cattolica, presente in modo trasversale in parlamento, ha alzato gli scudi già all'inizio della legislatura, mettendo chiaramente sul piatto di una maggioranza claudicante i propri voti in cambio del blocco di qualsivoglia discussione sulle questioni etiche, intimamente legate, in questa fase, alla revisione della legge 40: il Papa, da Oltretevere, non poteva chiedere di meglio.

Ci toccherà, quindi, raccontare ancora di giovani, come Piergiorgio Welby, che dopo la condanna a morte di una malattia atroce, hanno sperato che la ricerca li potesse salvare. "Per anni e anni ho sperato che la ricerca scientifica trovasse un rimedio - ricorda ormai con un filo di voce - ma oggi, che le prospettive di una cura, grazie agli studi sulle cellule staminali, sia adulte che embrionali, potrebbero trasformarsi da speranza in realtà, sempre più ostacoli si frappongono sul cammino di una ricerca libera. Questa malattia non è una maledizione biblica, è una malattia genetica che può essere sconfitta grazie alla diagnosi prenatale: i villi coriali, l'amniocentesi e soprattutto la diagnosi preimpianto...". E chissà quant'altro ancora.

In Italia ci sono oggi circa 2.000 bambini con distrofia muscolare Duchenne (i dati sono dell'Istituto Superiore di Sanità ndr). L'incidenza della distrofia miotonica, la più comune distrofia muscolare dell'adulto, è di approssimativamente 135 casi ogni milione di nascite (maschi o femmine). L'incidenza della distrofia dei cingoli è di circa 65 casi per milione di nascite e quella della distrofia facioscapolomerale è ancora inferiore. Considerando insieme tutte le principali malattie neuromuscolari ereditarie, verosimilmente ne risultano colpiti in Italia circa 30 persone ogni 100.000 abitanti, ossia oltre 17.000 persone. "Se delle dispute capziose, spesso, ideologiche - conclude Welby - dovessero ritardare la scoperta di una cura e condannare anche un solo bambino a vivere il dramma che io ho vissuto e sto vivendo...beh, pensateci! ..". Giorgio Napolitano senza dubbio, ci penserà.
Il Papa, che non ha mai dubbi, ha altro da fare.