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In assenza di piani governativi finalizzati alla corretta gestione del fenomeno migratorio, esistono strumenti per garantire vie legali di accesso che la società civile ha messo in campo per rispondere al bisogno di protezione di migliaia di persone in fuga.

 

Al momento, l’unica proposta strutturata è l’esperienza dei corridoi umanitari: ponti sicuri per unire zone ad alta instabilità, con presenza di conflitti e guidati da governi autoritari, all’Europa, che permettono di evitare il traffico di esseri umani, il blocco in zone di limbo o nei paesi di transito non sicuri, come la Libia.

 

L’iniziativa dei corridoi umanitari, descritta nel primo rapporto sui corridoi umanitari in Italia e altre vie legali di accesso, Oltre il mare, redatto da Caritas Italia, si inquadra nel solco della sponsorizzazione privata e consente il trasferimento di persone bisognose di protezione internazionale dal Paese di primo asilo, dove risiedono, in Italia.

 

 

Il tutto in maniera sicura, grazie alla cooperazione del settore pubblico, sotto il coordinamento del Dipartimento per le Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno, che garantisce l’espletamento dei controlli di sicurezza prima del rilascio del visto di ingresso, in capo al ministero degli Esteri, al momento dell’arrivo in Italia presso l’aeroporto di Fiumicino; qui vengono effettuati i rilievi fotografici dei beneficiari individuati che saranno accolti in strutture preposte senza oneri per lo Stato.

 

Il primo protocollo è stato aperto il 15 dicembre 2015 e ha riguardato mille persone, prevalentemente siriane, trasferite dal Libano nel biennio 2016-2017. Il 7 novembre del 2017 è stato rinnovato per ulteriori mille presenze da trasferire sempre dal Libano e dal Marocco nel biennio 2018-2019 e l’ultimo è stato sottoscritto il 12 gennaio 2017 per il trasferimento di altre cinquecento persone attualmente residenti in Etiopia.

 

Al 31 marzo scorso, attraverso i corridoi umanitari italiani sono passate quasi mille e cinquecento rifugiati bisognosi di protezione umanitaria. Per lo più di sesso maschile, nel 56 per cento dei casi, e minori per il 42 per cento del totale di cui la maggior parte sotto i dieci anni, e il 47 per cento nuclei famigliari con tre componenti. E sono stati distribuiti in ottantasette comuni: il 32 per cento del Nord, il 38 per cento del Centro e i restanti nelle Isole e al Sud.

 

La situazione di vulnerabilità dei beneficiari, la loro scarsa preparazione prima della partenza, il basso livello di consapevolezza, il difficile rapporto con le istituzioni e lo scarso coinvolgimento delle comunità di accoglienza sono i maggiori ostacoli che le persone trasferite incontrano nel processo di integrazione. Delle persone entrate con i corridoi umanitari, il 72 per cento ha già ottenuto un esito alla domanda di protezione, risultato che ha un forte impatto sul percorso di accoglienza; per il ritiro dei permessi di soggiorno, mediamente, sono stati necessari sei mesi di attesa, con Pavia in testa per la rapidità e Torino e Cosenza in basso alla classifica.

 

A oggi, hanno trovato impiego ventiquattro persone in agricoltura, edilizia, ristorazione, servizi alla persona, falegnameria e sartoria: una condizione che gioca un ruolo determinante nell’integrazione. Il rapporto mostra come, spesso, le aspettative dei beneficiari siano state frustrate, soprattutto relativamente all’istruzione. Vi sono problemi di riconoscimento dei titoli di studio e questioni legate alle competenze che ostacolano il dialogo costruttivo con le comunità ospitanti.

 

Inoltre, le aspettative di adattamento si scontrano con quelle di transizione: trasferirsi e adattarsi in un contesto sconosciuto fa fare i conti con la sfida di mantenere l’integrità della loro identità. Senza trascurare che molti di questi rifugiati hanno costi di opportunità, ossia hanno intrapreso dei sacrifici per venire in Italia. Lasciando preziose relazioni, risorse e speranze.