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A rieccoli i "celebratori"di anniversari che si alternano nelle librerie con le presentazioni dei loro volumetti confezionati per ogni circostanza. In genere sono persone che si declamano storici o testimoni della storia, e nella realtà non lo sono o lo sono soltanto in parte. Ma ogni occasione è buona, come usa dire. Figurarsi se si può perdere quella del trentennale della caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989), con tutte gli eventi e le manifestazioni in corso da mesi.

Nella sola Italia da nord a sud, da Trento a Ragusa, oltre venti città sono state coinvolte   con oltre cento appuntamenti per   la «Settimana tedesca» organizzata dalla ambasciata di Germania, come informava il Corriere della Sera. Pertanto è più che naturale che fioriscano – come detto - i "saggi rilegati" sugli eventi di grande rilevanza. Se questa è la realtà perché parlarne? Perché, come avrebbe detto Leonardo Sciascia, il "contesto" che rappresenta è straordinariamente interessante, ricco di informazioni su come si pensa, indispensabili per meglio capire come si fa cultura di questi tempi.

Naturalmente, sarebbe importante cercare una risposta sul perché le aspettative di trent'anni fa, le ipotesi sul futuro si sono rivelate completamente sbagliate, poiché poco o nulla di quello che fu allora scritto, esaltato, sperato si è realizzato. Ma l’argomento non risulta nei programmi del trentennale.

Eppure gli argomenti non mancano. Infatti, non è stato ancora spiegato, perché la RDT presentata come il paese più disciplinato e armato di tutto il blocco comunista, si sia consumata come una candela. Ancora non c’è un perché sul crollo a catena della RDT, della Polonia, dell’Ungheria, della Romania, della Lituania e Lettonia e poi dell’intera Unione Sovietica dal momento che, ogni anniversario è la celebrazione della “fine del comunismo” e non si va oltre. Chi ci tenta - intellettuali, opinionisti, giornalisti - viene scoraggiato, sovente oscurato non invitandolo ai salotti televisivi, e quindi espellendolo di fatto dal "mercato" della rappresentanza politica.

Se così vanno le cose il rischio è, che il Muro e tutti i fatti passati, presenti e futuri diventino per i giovani un’anticaglia. Gli insegnanti di Storia possono ben poco per invertire la tendenza, poiché è arduo il controcanto critico e documentato, sui miti codificati dal mainstream, e amplificati da quei grandi della storiografia come sono considerati i vari Mieli e Augias, Lerner e Angela, corroborati ad ogni occasione dai “celebratori” di anniversari. Tutti ben lontani dal voler, «Far capire che il passato è stato reale come il presente, e incerto come il futuro», come scriveva Delio Cantimori, uno dei maggiori storici italiani del Novecento.

Un esempio? La caduta del Muro viene presentata esclusivamente per esaltare la lungimiranza dell'Occidente della liberal-democrazia, secondo il quale è impensabile ogni progetto di società alternativa, come lo era appunto quella del “socialismo realizzato” di cui si vantava l’Unione Sovietica.

Sicché sono state accantonate, meglio ignorate, le critiche da sinistra al socialismo reale di tanti intellettuali dell’Unione Sovietica. Ad esempio quelle de Premio Lenin e Premio Stalin, Andrej Dmitrievič Sacharov, il "padre della bomba H sovietica", che poi (1975) per la sua attività in favore dei diritti civili fu insignito del premio Nobel per la pace.

Fui il primo giornalista italiano (ottobre 1974) che riuscii ad intervistarlo telefonicamente (il Kgb ogni tanto gli liberava la linea, forse anche per la sua “intoccabilità scientifica”). Quando domandai a Sacharov - tra le tante cose - perché non chiedeva il permesso di lasciare il paese, mi rispose di getto: «Io non voglio lasciare l’Unione Sovietica. Il mio compito è qui, tra i miei amici, per portare avanti la battaglia per il riconoscimento dei diritti civili e l’ottenimento delle più elementari garanzie democratiche. Attualmente io sono l’unico, e non lo dico con superbia, in grado di criticare il sistema, firmare petizioni, lanciare appelli, restando impunito.».

Invece, nel 1980 egli fu confinato a Gorkij, nella Regione del Volga. Fu Michail Gorbaciov a riabilitarlo nel 1986. Rientrò a Mosca e nel 1989 fu eletto deputato nel 1989. Morì un mese dopo la caduta del Muro, nel dicembre di quello stesso anno. Il trentennale anche delle esequie di Andrej Dmitrievič Sacharov, ma finora nessuno pare se ne sia ricordato, né a quanto risulta ci sono eventi al riguardo. Probabilmente ne sarà fatto cenno tra qualche giorno (27 ottobre) nel corso della cerimonia del "Premio Sacharov per la libertà di pensiero" che dal 1988 ogni anno il Parlamento europeo consegna a personalità e organizzazioni che si sono distinte nell'attività in favore dei diritti umani.

Per quelli che giovani non sono, il ricordo del dissidente Sacharov rimane emozionante, e quindi per noi diventa assurdo celebrare con spensierata festosità l'Occidente vincitore, che oggi naviga nella più grave crisi della propria storia, per mancanza di idee e di valori a cominciare da quelli della democrazia liberale, che omologa le ineguaglianze, sempre più grandi e vergognose, inimmaginabili  in quel novembre del 1989. E’ su queste realtà che andrebbe stimolato lo spirito critico dei giovani, sicuramente è tra le ragioni più degne di commemorare la caduta del Muro.

Vincenzo Maddaloni