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Si concentreranno sabato 10 aprile davanti alle Prefetture di tutta Italia. La manifestazione seguirà il presidio del 31 marzo indetto da Fai-Cisl, Flai-Cgil, Uila-Uil dinanzi al Senato della Repubblica. Iniziative di lotta delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli nell’Italia del Ventunesimo secolo, ancora una volta esclusi da ogni tipo di ristoro anche nel Decreto Sostegni. Una grave ingiustizia sociale storicamente definibile nell’ambito delle discriminazioni. Tale è stata la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli nella storia dell’Italia unita.

 

Eppure, come scrive lo storico Aldino Monti, le lotte dei braccianti, prima ancora di quelle operaie, non solo fecero da laboratorio al nascente socialismo italiano e portarono le masse sulla scena della politica italiana ma contribuirono anche a formare l’identità italiana. Osteggiati nell’Italia postunitaria, avversati dall’Italia fascista, emarginati dal processo d’industrializzazione, su di essi ha pesato il disinteresse dello Stato liberale di ieri e di oggi. L’emarginazione è diventata così esclusione, discrimine appunto, contro il quale ha coerentemente e implacabilmente lottato il sindacalismo agricolo italiano: non a caso il più grande in Europa, nella lezione di Renato Zangheri.

La questione storica chiama in causa oggi la questione sociale. Lo Stato liberale rimane indifferente ai sacrifici, che soprattutto in questo tempo di pandemia le lavoratrici e i lavoratori dei campi e dei settori florovivaistico e agrituristico hanno compiuto. Lo attestano gli studi statistici.

Un’indagine sulle retribuzioni recentemente pubblicata dal Centro Studi Uil rileva, per esempio, una forte disparità salariale patita dalla categoria agroalimentare posizionata in coda alla classifica delle retribuzioni mediane nette. Disparità che si accentua nella comparazione tra le retribuzioni dei lavoratori a tempo indeterminato e quelle dei lavoratori a tempo determinato.

Uno studio specifico diffuso dall’Inail sull’andamento degl’infortuni sul lavoro e delle malattie professionali in agricoltura, aggiornato al 31 marzo 2021, registra 26.287 denunce d’infortunio di cui 113 con esito mortale nel 2020. Come se non bastasse, le denunce d’infortunio da Covid-19 in agricoltura costituiscono l’1,5% del totale delle denunce e circa il 7% di quelle mortali pervenute all’Inail da gennaio 2020.

Per l’Inail, la pratica dell’agricoltura «è uno dei comparti lavorativi in cui è elevata la probabilità di insorgenza di patologie professionali. È sufficiente citare l’uso di antiparassitari, l’esposizione alle intemperie, le posture spesso non corrette per comprendere solo alcuni dei rischi di contrarre una malattia professionale cui i lavoratori sono frequentemente esposti».

Analizzando i dati infortunistici rilevati per il bimestre gennaio-febbraio 2021, si osserva che quello dell’Agricoltura, Silvicoltura e Pesca è l’unico settore Ateco che registra un accrescimento delle denunce d’infortunio rispetto al medesimo periodo del 2020: da 316 casi a 538; anche i casi mortali della gestione Agricoltura aumentano dai 9 del primo bimestre 2020 ai 15 del primo bimestre 2021.

Drammatici pure i dati Istat riguardanti il 2020, citati dallo studio Inail: la produzione agricola è diminuita del 3,3% in volume; le unità di lavoro annue standard utilizzate sono diminuite del 2,3%; le ore lavorate hanno mostrato una contrazione del 2,6%; il valore aggiunto è diminuito del 6,0% e ciononostante, a fronte di un Pil totale precipitato del 9% circa rispetto alla media del 2019, il settore ha mostrato una buona resistenza.

Di fronte alla verità dei numeri, che equivale a una realtà materiale di milioni di giornate lavorative perdute, ore di salario svanite, impoverimento crescente, famiglie colpite dagl’infortuni e dai morti, l’atteggiamento del governo è spregevole.

La categoria dei braccianti agricoli si batte già da tempo contro il blocco dei contratti provinciali in quasi tutti i territori; contro il tentativo di semplificare sempre più l’uso dei voucher in agricoltura con gravi ricadute sui diritti delle lavoratrici e dei lavoratori; contro il mancato riconoscimento della clausola sulla condizionalità sociale nella PAC; contro il mancato riconoscimento delle tutele alle  lavoratrici e ai lavoratori agricoli nelle zone colpite da calamità naturali e da parassiti quali Xylella e cimice asiatica; e adesso è costretta a lottare anche contro il mancato riconoscimento del diritto al ristoro nel Decreto Sostegni.

Negando per l’anno 2020 la garanzia delle stesse giornate lavorative svolte nel 2019, ai fini della tutela assistenziale e previdenziale; negando il bonus per gli stagionali e la sua compatibilità con il reddito di emergenza; negando l’estensione della Naspi ai lavoratori a tempo indeterminato delle imprese cooperative e dei loro consorzi; il governo si comporta come i latifondisti dell’Ottocento.

Come allora, anche oggi i braccianti alzano la bandiera sindacale delle rivendicazioni affinché il dovere che essi hanno compiuto e compiono nell’emergenza sanitaria in corso, sia compensato con il diritto al sostegno. Compito fondamentale di Governo e Parlamento, di ogni Governo e ogni Parlamento, in momenti come l’attuale, è proteggere e sostenere i cittadini, tutti i cittadini.

Questo eterno ritorno dei braccianti nelle piazze d’Italia la dice lunga sui rapporti di forza esistenti oggi nella realtà materiale. Se lotta sarà, non avrà breve durata e non sarà di piccola dimensione, come ammoniscono le lotte bracciantili del passato.