La chiusura parziale di uffici e servizi pubblici a causa della mancata approvazione del bilancio federale non è un evento inedito negli Stati Uniti e lo “shutdown”, o la minaccia di esso, viene spesso utilizzato come uno strumento di pressione politica, allo scopo di ottenere vantaggi o concessioni di vario genere dai due partiti americani che si alternano al potere. Quello che è scattato alla mezzanotte di mercoledì ha però implicazioni del tutto differenti, visto che si inserisce nel disegno del presidente Trump per tagliare drasticamente la spesa pubblica e il numero dei dipendenti del governo federale. Il successo di questa manovra senza precedenti dipenderà dalla durata dello “shutdown” stesso e, quindi, da un eventuale accordo con i democratici al Congresso, i quali potrebbero essere vicini a cedere alle pressioni della Casa Bianca nonostante abbiano in mano una carta decisiva per portare al tavolo delle trattative i colleghi repubblicani.

 

Se si ripongono comunque speranze nei leader del Partito Democratico, si rischia di andare incontro a un brusco risveglio. La vicenda del bilancio e la gestione dello stallo da parte dei democratici si intrecciano alle scosse che la deriva autoritaria dell’amministrazione Trump sta provocando al sistema “democratico” negli Stati Uniti. E, nonostante i piani ben avanzati della Casa Bianca in questo senso, il partito di opposizione sta evitando accuratamente di mobilitare i propri elettori, men che meno la popolazione americana nel suo insieme, per avvertire dei rischi concreti e combattere efficacemente contro la vera e propria contro-rivoluzione in atto.

Il Partito Democratico, in altre parole, sembra limitarsi a condanne esteriori degli “eccessi” di Trump, mentre si astiene da azioni incisive e, anzi, mostra di essere disposto a collaborare con i repubblicani e il presidente. Uno degli esempi di ciò riguarda proprio il bilancio federale. Lo scorso marzo, il numero uno dei democratici al Senato, Charles Schumer, aveva garantito i voti necessari all’approvazione di una misura a breve termine per finanziare le attività del governo federale, senza chiedere né ottenere in cambio nessuna concessione dai repubblicani.

Lo “shutdown” appena iniziato è l’immediata conseguenza della bocciatura avvenuta martedì sera delle due versioni del bilancio presentate rispettivamente dal Partito Repubblicano e da quello Democratico. La prima, di fatto al momento l’unica sul tavolo, era stata approvata il 19 settembre alla Camera dei Rappresentanti con 217 voti favorevoli e 212 contrari. Al Senato, però, sono necessari 60 voti su 100 per superare gli ostacoli procedurali previsti dal regolamento della camera alta del Congresso. Per questa ragione, i repubblicani hanno bisogno di convincere almeno 7 senatori democratici, sempre che tutti i 53 della maggioranza votino a favore della nuova legge di bilancio.

I democratici, per dare i voti necessari, chiedono fondamentalmente tre cose: l’estensione del credito d’imposta, in scadenza a fine anno, per l’acquisto di un piano di copertura sanitaria privato, secondo quanto previsto dalla legge del 2010 nota come “Obamacare” (ACA); la cancellazione dei tagli al finanziamento del programma sanitario pubblico Medicaid approvati dal Congresso su indicazione di Trump lo scorso luglio; il ripristino dei fondi destinati ai media pubblici, anch’essi congelati su iniziativa della Casa Bianca.

I repubblicani si sono rifiutati anche solo di negoziare con i democratici su questi temi, forzando di fatto lo “shutdown”. La motivazione principale che insistono a citare per la loro irremovibilità è semplicemente ridicola. A loro dire, infatti, il prolungamento dei sussidi previsti da Obamacare implicherebbe la volontà dei democratici di offrire assistenza sanitaria agli immigrati irregolari, cosa assolutamente non prevista dalla “riforma” introdotta dall’ex presidente americano.

Le fila del teatrino politico in corso sono tirate appunto dalla Casa Bianca, che vede nella chiusura parziale di uffici e servizi governativi l’occasione per accelerare la drastica riduzione della spesa pubblica, oltre che un’altra occasione per alimentare xenofobia e razzismo tra la base “MAGA”. Settimana scorsa, l’ufficio per il Bilancio della Casa Bianca (OMB) aveva emesso un “memorandum” nel quale prospettava, in caso i democratici al Congresso non avessero appoggiato la legge di bilancio repubblicana e causato uno “shutdown”, il “licenziamento di massa di dipendenti federali”. Basandosi su una tesi pseudolegale ad hoc, lo stesso ufficio avvertiva che l’interruzione temporanea degli stanziamenti federali consente l’eliminazione dei programmi governativi rimasti senza fondi e, in maniera cruciale, “non prioritari per il presidente”, così che le agenzie a essi preposte possono procedere con la conseguente riduzione permanente del personale impiegato.

Lo stesso Trump ha ribadito ancora martedì il concetto, come sempre senza il minimo scrupolo per legalità e decenza politica. Il presidente ha minacciato tagli di spesa e personale, precisando che le iniziative previste in caso di prolungamento dello “shutdown” colpiranno quelli che ha definito interessi legati al Partito Democratico. Si stima che circa 750 mila dipendenti federali siano stati messi o verranno messi in congedo – teoricamente provvisorio – a partire da mercoledì. Alcuni o molti di loro potrebbero perdere definitivamente il posto di lavoro se la minaccia di Trump dovesse concretizzarsi.

La guerra contro quello che il presidente considera lo “spreco” della spesa pubblica e, ancora di più, il sistema di regolamentazioni e controlli degli organi federali era stata inaugurata all’indomani del suo insediamento alla Casa Bianca. Questa crociata è stata guidata per qualche tempo da Elon Musk e il cosiddetto dipartimento per l’Efficienza del Governo, il famigerato DOGE, responsabile, secondo alcune stime, di quasi 300 mila licenziamenti che hanno interessato una trentina di agenzie federali. In teoria, il presidente non ha il potere di licenziare dipendenti pubblici sfruttando la presunta emergenza dello “shutdown”, ma la natura illegale di un determinato provvedimento non gli ha impedito in molti casi nei mesi scorsi di metterlo in atto e anche di ottenere il via libera dei tribunali. Il precedente del DOGE ne è la testimonianza, visto che solo un numero minimo di lavoratori è stato reintegrato, vedendosi annullato il licenziamento ordinato dalla creatura di Musk e Trump.

Ci saranno in ogni caso trattative nei prossimi giorni, se non a livello ufficiale di certo dietro le quinte, tra i leader democratici e repubblicani. A inizio settimana, i vertici dei due partiti erano stati convocati alla Casa Bianca, ma l’incontro non aveva dato alcun frutto. Trump e i repubblicani al Congresso insistono nel chiedere ai democratici di appoggiare la loro legge di bilancio, che peraltro garantirebbe il finanziamento della macchina governativa solo fino al 21 novembre, e in un secondo momento valuterebbero negoziati sulle richieste del Partito Democratico nel quadro di un testo definitivo che stanzi fondi per tutto l’anno fiscale iniziato il primo ottobre.

Anche se non ci sarebbe nessuna garanzia che ciò accada, ci sono già segnali di un possibile cedimento da parte democratica. Il Wall Street Journal qualche giorno fa ha scritto che il senatore democratico Schumer starebbe valutando una “exit strategy” che consiste per l’appunto nell’accettare soltanto l’impegno dei repubblicani a sedersi al tavolo delle trattative in cambio dei voti favorevoli del suo partito alla legge di bilancio in discussione. Il partito di opposizione è chiaramente sotto pressione, anche perché le priorità dei suoi leader risiedono altrove, a cominciare dal riallineamento strategico dell’amministrazione Trump alle politiche ultra-aggressive del suo predecessore democratico relativamente alla guerra in Ucraina.

Per il momento, gli uffici e i servizi federali “essenziali” resteranno in funzione, con i lavoratori a essi addetti che non verranno però retribuiti. Lo “speaker” della Camera, il repubblicano Mike Johnson, ha da parte sua annunciato che fermerà l’attività legislativa fino al 7 ottobre, in modo da chiudere, almeno nel breve periodo, a qualsiasi ipotesi di voto su un nuovo testo eventualmente rinegoziato. Il Senato, anch’esso a maggioranza repubblicana, ha invece programmato votazioni ripetute sulla stessa legge, così da mettere i democratici nella posizione più scomoda possibile, visto che ogni voto contrario che prolunghi lo “shutdown” sarà seguito da una campagna mediatica per attribuirne la responsabilità al partito di opposizione.

Quello appena iniziato è il 15esimo “shutdown” registrato in America negli ultimi 45 anni. Il periodo più lungo di chiusura forzata delle attività federali a causa della mancata approvazione del bilancio federale è stato di 35 giorni e accadde tra dicembre 2018 e gennaio 2019 durante il primo mandato di Donald Trump.

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