L’assassinio di settimana scorsa in un campus universitario dello Utah dell’attivista trumpiano di estrema destra, Charlie Kirk, sta diventando la giustificazione per una nuova stretta repressiva dei diritti democratici in America e di un’autentica caccia alle streghe tra gli oppositori dell’amministrazione repubblicana. Senza attendere dettagli più precisi sugli (eventuali) orientamenti politici e sulle motivazioni del presunto responsabile, il 22enne Tyler Robinson, molti esponenti del partito del presidente e membri del suo stesso governo lo hanno classificato come un “radicale di sinistra”, denunciando automaticamente il dilagare della violenza negli Stati Uniti per opera di individui riconducibili a questi ambienti. È abbastanza evidente che gli eventi di mercoledì scorso hanno come minimo scatenato una campagna coordinata da parte della destra repubblicana che, con la collaborazione indiretta dei media ufficiali e dello stesso Partito Democratico, punta non solo a ingigantire assurdamente i meriti della vittima, ma soprattutto a criminalizzare il dissenso e a normalizzare simboli e modelli politici di estrema destra, se non apertamente fascisti.
Il primo segnale di questo clima preoccupante è il cordoglio bipartisan espresso nei confronti di Kirk, quasi a farne un eroe della libertà di espressione, o del principio stesso di libertà e non, come era nella realtà, un opportunista ultra-conservatore, fondamentalista cristiano e suprematista al servizio del “movimento” trumpiano (MAGA) e dell’inquilino della Casa Bianca. Gli aspetti presumibilmente positivi della figura di Kirk vengono esaltati anche dai suoi critici, in un’operazione che tende a occultare il carattere fondamentalmente reazionario, razzista e antisemita della sua redditizia attività politica.
Il silenzio di fatto imposto a qualsiasi critica o obiezione alla versione ufficiale nella galassia mediatica “mainstream” indica per l’appunto il tentativo di legittimare teorie propagandate da Kirk e una volta marginali, come ad esempio quella della “Grande Sostituzione”, o addirittura di fare di esse parte integrante di una sorta di nuova ideologia ufficiale dello stato. Che si stia andando a grandi passi in questa direzione è testimoniato dal moltiplicarsi di dichiarazioni pubbliche inquietanti da parte del presidente, di membri della sua amministrazione o di suoi importanti sostenitori. Il direttore dell’FBI e fedelissimo del presidente, Kash Patel, nel ricordare Kirk durante una conferenza stampa ha espresso come se nulla fosse l’auspicio di rivedere quest’ultimo nel “Valhalla”, con un riferimento quindi esplicito alla mitologia nazista.
Un paio di giorni dopo l’assassinio, il segretario dell’appena ribattezzato dipartimento della Guerra, Pete Hegseth, ha avvertito invece tutti i dipendenti del Pentagono che le autorità stanno seguendo e rintracciando ogni commento espresso in rete che “celebri o derida” l’uccisione di Charlie Kirk. Hegseth ha minacciato azioni tempestive per far fronte a quello che ha definito un comportamento inaccettabile, ovvero la libera espressione di un pensiero, per quanto non condivisibile o inopportuno. La censura, o peggio, è peraltro già entrata in azione in molti casi segnalati in questi giorni, a cominciare dal licenziamento in tronco del commentatore della MSNBC, Matthew Dowd, dopo che aveva messo in guardia in diretta televisiva dal fatto che la retorica dell’odio, a cui ricorreva regolarmente Kirk, può generare violenza.
Sospensioni immediate dai loro incarichi sono poi avvenute in varie parti d’America per alcuni altri che hanno pubblicato post sui sociali per esprimere opinioni su Kirk o sull’assassinio che si discostano dalla versione ufficiale. È singolare che quanti osannano quest’ultimo come un “campione della libertà di espressione” siano ora intenti a reprimere qualsiasi opinione critica sull’attivista trumpiano. Ciò non sorprende, in quanto la campagna in atto non ha nulla a che vedere con concetti anche solo vagamente di democrazia, ma ha piuttosto come obiettivo l’imposizione come principi ufficiali del regime quelli della subcultura ultra-reazionaria fascistoide a cui si ispirava Kirk.
A ciò si collega l’altra linea d’attacco promossa dalla Casa Bianca contro la “sinistra”, il cui odio verso la destra conservatrice produrrebbe un sottobosco di “terrorismo domestico” che si sta diffondendo come un’epidemia negli Stati Uniti. Questa “piaga” deve essere evidentemente affrontata e distrutta con metodi radicali, ovvero repressivi e incostituzionali, incluso – paradossalmente – il ricorso alla violenza. L’ex ideologo di Trump e una delle icone della destra estrema in tutto l’Occidente, Stephen Bannon, ha non a caso affermato in questi giorni che “la sinistra ha dichiarato guerra all’America” e che quindi Trump deve diventare “un presidente di guerra”. Trump, da parte sua, è stato altrettanto minaccioso. Kirk, secondo il presidente, avrebbe voluto essere vendicato attraverso le elezioni, ma a suo dire ciò non sarebbe possibile perché oggi non sono rimaste molte schede elettorali in America, visto che “loro”, ovvero i democratici o la “sinistra”, hanno implementato il voto per posta, che sarebbe “totalmente manipolato”.
In questo clima tossico, è chiaro che dal presidente in giù non c’è nessun interesse ad attendere i risultati delle indagini su Tyler Robinson, mentre i particolari emersi finora vengono subito sfruttati per supportare la tesi ufficiale. Le incisioni fatte dall’accusato sui proiettili dell’arma usata per sparare a Charlie Kirk sono state ad esempio ricondotte alle sue posizioni politiche anti-fasciste, ma alcune di esse, incluso il titolo della canzone partigiana “Bella ciao”, possono fare riferimento anche al mondo dei videogames. Robinson, com’è ormai ben noto, veniva oltretutto da una famiglia con una solida tradizione repubblicana.
È del tutto possibile che sia stato in qualche modo influenzato dalla crescente opposizione nel paese contro l’amministrazione Trump e i suoi propagandisti come Kirk, ma attribuirne la presunta radicalizzazione a un’atmosfera di violenza prodotta dalla “sinistra” USA è a dir poco ridicolo. Robinson, se mai, al di là delle motivazioni del gesto di cui è accusato, può avere attinto alla sottocultura delle armi dalla sua stessa famiglia, da sempre simpatizzante del Partito Repubblicano, come dimostrano fotografie in circolazione su internet in cui appare appunto armato.
Nella confusione generata dalla campagna in corso vengono anche taciute completamente le provocazioni di Kirk e le numerose occasioni in cui egli stesso aveva oggettivamente inneggiato o acclamato la violenza a fini politici. Nel 2022 aveva ad esempio definito “patriota” l’individuo che aveva aggredito con un martello il marito della ex “speaker” democratica della Camera, Nancy Pelosi, nella sua abitazione di San Francisco. Più recentemente, Kirk aveva appoggiato in pieno il regime genocida di Netanyahu e, anche se negli ultimi tempi sembrava poter valutare un’inversione di rotta, ne giustificava le atrocità contro i palestinesi, coerentemente con le sue posizioni islamofobe.
La menzogna più grande che circola in questi giorni è in definitiva quella che vorrebbe la “sinistra” responsabile della violenza come strumento politico, quando sono invece tradizionalmente proprio gli ambienti dell’estrema destra americana, oggi non più marginali ma ben integrati nell’attuale amministrazione repubblicana, a far registrare di gran lunga il maggior numero di episodi di terrorismo domestico negli USA. L’esempio più macroscopico è naturalmente quello dell’assalto al Congresso il 6 gennaio 2021 su mandato dello stesso Trump e che vide in prima linea praticamente tutte le principali milizie paramilitari neo-fasciste americane. Solo per citare i casi più recenti, lo scorso mese di giugno c’era stato poi lo sconvolgente doppio omicidio, da parte di un fanatico anti-abortista, della deputata democratica del Minnesota, Melissa Hortman e di suo marito.
Ad oggi, Tyler Robinson non ha comunque ancora confessato di avere sparato a Charlie Kirk e non starebbe quindi collaborando con gli inquirenti. A precisarlo è stato il governatore repubblicano dello Utah, Spencer Cox, il quale, ancora una volta e perfettamente in linea con le direttive della Casa Bianca, ha assicurato che l’assassinio è senza dubbio da ricondurre al “radicale indottrinamento dell’ideologia di sinistra” a cui il sospettato sarebbe stato sottoposto.