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di Fabrizio Casari

La giostra riparte. Ieri sera é cominciato il nuovo campionato e, per la prima volta negli ultimi due-tre anni, l’Inter non è necessariamente la favorita d’obbligo. Sarà l’anno della tessera del tifoso e delle telecamere negli spogliatoi; quindi poco calcio e molto contorno. Il primo colpo l’ha messo a segno il Genoa, andando a vincere a Udine, cosa non facile per nessuno, almeno fino all’anno scorso. Il gol di Mesto é bello, l'infortunio di Toni é brutto. L’esordiente Cesena pareggia sul campo della Roma e questo é un risultato in qualche modo sorprendente.

Vietato illudersi o deprimersi, però; le esordienti sono ossi duri da rodere per tutte le grandi nelle prime giornate di campionato. Oggi ci saranno le altre partite e domani sera il turno si chiuderà con Bologna-Inter. Ma nessun risultato, almeno per tutto settembre, dirà qualcosa d'importante, salvo raccontare la condizione atletica delle squadre candidate ai primi posti e la scoperta della squadra-rivelazione dell'anno.

Alcune caratteristiche, comunque, accompagnano questo 109esimo campionato italiano: siedono sulle panchine venti allenatori che non hanno mai vinto uno scudetto, mentre coloro che hanno vinto ripetutamente (i migliori della categoria) sono tutti emigrati all’estero. Da qui alla fine di giugno si disputeranno 380 partite, ce ne sarà abbastanza per annoiarsi. Soprattutto di polemiche. Per ora, comunque, le notizie più importanti riguardano la Supercoppa europea e il calciomercato.

Perché se il campionato è appena iniziato, è finito invece il sogno della sestina interista, vista la sconfitta nella Supercoppa europea. Difficile credere che quella vista a Montecarlo fosse l’Inter e difficile anche pensare che si riproporrà a livelli così scarsi. In novanta minuti d’inconsistenza tattica e soprattutto fisica (ma i due elementi non sono così indipendenti tra loro) i campioni d'Europa hanno perso l’appuntamento con il Grande Slam. Magari adesso Mourinho sarà certamente combattuto tra il dispiacere per la “sua” Inter e la soddisfazione per la caduta di Benitez, ma il fatto è che una preparazione atletica ancora a metà per la maggior parte dei giocatori dell’Inter, ha offerto una serata dove la squadra stellare, vista fino alla fine dello scorso campionato, è rientrata nei ranghi della normalità.

I primi segnali si erano già visti nella vittoria contro la Roma in Supercoppa italiana, dove però la squadra di Ranieri aveva giocato per 40 minuti, cedendo poi completamente il campo. Ma la difesa alta di Benitez aveva già messo nei guai due o tre volte la retroguardia interista, che tra le tante qualità non possiede la velocità, tranne che in Cordoba, che però non è titolare. E una difesa alta ha bisogno di due elementi: tattica del fuorigioco impeccabile e velocità di corsa dei difensori. Nessuno dei due appartiene all’Inter, soprattutto il secondo.

L’Inter di oggi appare una squadra certamente forte, ma non imbattibile. Il nuovo allenatore ci ha messo del suo, modificando sensibilmente l’assetto tattico costruito negli ultimi due anni. Due le mosse sbagliate: quella di sostituire Pandev (un attaccante di manovra) con Stankovic (un centrocampista) e l’incapacità di vedere la condizione fisica dei suoi giocatori (alla quale certo ha contribuito il Mondiale, ma la diversa metodologia della preparazione non sembra certo aver aiutato).

Il primo aspetto è puramente tattico: l’Inter di Mourinho aspettava gli avversari e li colpiva in contropiede, certo. Ma gli avversari non potevano mai attaccare in massa, così da rendere affannosa la difesa, perché la presenza di tre punte ed un trequartista interisti obbligavano centrocampo e difesa avversaria ad un atteggiamento prudente, per evitare proprio che il contropiede dell’Inter divenisse una fuga in campo aperto. La difesa nerazzurra, coperta da Cambiasso e Zanetti, difficilmente andava in inferiorità numerica.

L’altro elemento è certo la condizione fisica: l’Atletico è arrivato prima su ogni pallone e, cosa peggiore, ha mostrato una grinta nel pressing che i nerazzurri non hanno avuto. Eto’o e Snejider, come pure Milito, erano raddoppiati o triplicati regolarmente e all’Inter non c’era nessun’idea di cosa fare con il pallone. A tratti sembrava l’Inter di Simoni o di Cuper: lanci lunghi e vediamo che succede.

Fuori dai denti: Mourinho sarebbe entrato in campo e li avrebbe strangolati, Benitez si asciuga il sudore. L’Inter sentiva Mourinho come il capo di un esercito in guerra contro tutto e tutti, mentre Benitez appare come un ottimo tecnico, ma con scarsa capacità di ribaltare il campo. Perché la carica psicologica che trasmetteva lo Special One non è cibo che si trova nella dispensa di Benitez e perché, raggiunta la vetta, è difficile mantenere le motivazioni per rimanerci. Non fosse stato vero questo, lo Special One sarebbe ancora a Milano.

L’estate è passata tra il Mondiale e il mercato. Il primo è andato come doveva, il secondo no. E’ stato agitato, ma non straordinario. Inter e Roma sono quelle che si sono mosse di meno, Juventus, Genoa, Lazio e Napoli quelle che l’hanno fatto di più. Tutto da vedere che i movimenti siano stati azzeccati, ma questo è quanto è successo. I tifosi si sono illusi o delusi, i procuratori si sono divertiti e i giornalisti hanno scritto, parola più parola meno, quello che scrivono tutti gli anni. Come i giocatori che baciano la maglia ad agosto e scappano un anno dopo, che descrivono sempre il nuovo approdo come “un sogno” o “una scelta di vita”, dimenticandosi sempre di dire che è tutta una questione di soldi. Vanno dove li porta il procuratore.

La Juve ha comprato molto, ma nessun acquisto può essere definito straordinario, mentre Trezeguet, uno dei pochi che segnava comunque, è andato via. Il colpo più significativo l’ha messo a segno il Milan con l’ingaggio di Ibrahimovic, che cambia squadra ormai ogni anno. Un’operazione che desta alcune perplessità sul piano finanziario, perché se il prezzo dell’operazione é quello dichiarato - 24 milioni di Euro a partire dal prossimo anno - colloca il Barcellona nel club dei babbei, dal momento che l’attaccante era stato acquistato un anno fa per 55 milioni (più Eto’o) dall’Inter. E non si capisce come mai non sia andato al Manchester City degli sceicchi, guidato di Mancini, che era disposto a pagare almeno 12 milioni di Euro in più del Milan, stando alla stampa inglese.

Ma il Barcellona ha deciso comunque di venderlo al cavaliere e a prezzi di saldo estivo. Eppure l’asso svedese aveva segnato 30 gol in una stagione, quindi non si può certo parlare di difficoltà d’inserimento. Dunque, al momento, appare chiaro che Moratti (che l’aveva pagato 25 quattro anni prima, vincendoci tre scudetti) è un genio della finanza e Galliani pure, mentre Rosell ora e Laporta l’anno scorso, sono stati due bischeri. A meno che, prossimamente, alcuni dettagli rendano l’operazione meno opaca, questo è quanto si può dire ora.

L’acquisto del fuoriclasse svedese - questo l’augurio dei tifosi rossoneri - dovrebbe avere esito diverso dalle varie bufale dei pensionati dell’Inter quali Vieri e Ronaldo, in ultimo Favalli o dello stesso Ronaldinho, che ha avuto sorte appena migliore solo di quella di altre bufale brasiliane. Ma Ibra cambierà drasticamente il modo di giocare della squadra di Allegri, che mantiene comunque i suoi annosi problemi sia in difesa che a centrocampo, oltre all’incognita dello stesso allenatore. Ad ogni modo, il club di via Turati appare ora alla pari dell’Inter. Il rischio è che il campionato sia un derby di Milano lungo quaranta domeniche.

La Roma, che ha comunque un ottimo tecnico e un gioco a memoria, non pare però attrezzata a competere su tre fronti. Organico ridotto e malandato; Burdisso è arrivato allo stesso prezzo con il quale lo si poteva prendere un mese prima e Adriano e Simplicio non basteranno a dare il valore aggiunto di cui ha bisogno per ridurre il gap con l’Inter. Che poi nella capitale i giornali e le radio dicano il contrario, è cosa ascrivibile al marketing e all’abitudine.