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di Fabrizio Casari

Campioni d’Italia, d’Europa e del mondo. Come se vincere tutto in Italia e la Champions in Europa non fosse stato abbastanza, quarantacinque anni dopo il trionfo del 1965, l’Inter si regala anche il tetto del mondo. Lo fa battendo i coreani in semifinale e gli africani in finale, con identico punteggio: 3 a 0. La trasferta di Abu Dhabi si rivela la ciliegina sulla torta: il 2010 è diventato l’anno della squadra di Massimo Moratti, che ha raccolto ben cinque trofei su sei disponibili nell’anno solare.

Dulcis in fundo, l’Inter ha vinto anche il premio FIFA World Player (di solito difficilmente assegnato ai vincitori) e Samuel Eto’o ha vinto il premio di miglior calciatore del torneo. Un altro piccolo Triplete, insomma. E nel Guinnes entra anche Esteban Cambiasso: da ieri è il giocatore argentino che ha vinto più trofei (22) superando persino il grande Alfredo di Stefano.

Adesso i detrattori e gli antipatizzanti mediatici annidati tra le vedovelle di Luciano Moggi, spiegheranno in ogni salsa che il torneo FIFA ha avuto una qualità scarsa, che il Membete non era avversario degno come lo sarebbero stati i brasiliani (che però proprio dalla squadra africana sono stati eliminati in semifinale). Ma sono chiacchiere da Bar sport, riedizioni calcistiche della favola di Fedro sulla volpe e l’uva.

E a sottolineare come ad essere con il naso all’insù nell’arte poco nobile dell’invidia nascosta dal disinteresse ci siano soprattutto quelli che, carichi d’invidia, avrebbero pagato qualunque cifra per esserci, sarebbe bene ammettere che, quali che siano gli avversari - che non ha certo scelto l’Inter - per vincere questa finale bisogna arrivarci e che il cammino nerazzurro non è certo robina da tutti i giorni.

Bisogna infatti vincere prima la Champions League e, vincerla nel modo in cui l’ha vinta l’Inter, ha rappresentato una manifestazione di forza cui è difficile replicare. I nerazzurri, infatti, hanno battuto le squadre che avevano vinto i loro rispettivi campionati: dal Rubin Kazan al Chelsea, dal Barcellona al Bayern Monaco. In un solo torneo, ha messo al tappeto i campioni di Russia, d’Inghilterra, di Spagna e di Germania; appare dunque capzioso dire ora che la squadra in finale di Coppa del Mondo era africana.

La partita non ha avuto storia, come del resto non l’aveva avuta la semifinale contro i sudcoreani. L’Inter, recuperati i suoi giocatori vittime della più incredibile catena d’infortuni del calcio italiano, ha giocato da Inter. Difesa solida, controllo della partita a centrocampo, pressing alto e ripartenze, finalizzazioni micidiali. Stankovic, Zanetti, Milito, Eto’o (dodicesimo gol in una finale), Pandev e Biabiany hanno messo la firma sui gol, ma il gioco visto in campo era il gioco dell’Inter del Triplete.

Benitez, che ha inspiegabilmente tenuto fuori Stankovic per buona parte della partita (il giocatore serbo era furioso prima e triste poi) e se il match non avesse subito preso la piega migliore le polemiche non sarebbero mancate, visto che Dejan Stankovic era certamente tra i più in forma. E siccome l’Inter è sempre l’Inter, è inevitabile che nei momenti dove dovrebbe trovare posto solo la gioia, s’inneschino polemiche sbagliate per la scelta del testo e del contesto.

Se a Madrid, dopo la vittoria in Champions, Milito aveva avuto la pessima idea di mettere in discussione la sua permanenza all’Inter, ad alzarle questa volta è Benitez, che dopo essersi sentito sulla graticola (se non avesse vinto il torneo avrebbe preso un'altra direzione da Milano) ha deciso di lanciare ultimatum fuori luogo. Con le bollicine dello champagne che ancora frizzavano, nella conferenza stampa post-partita ha infatti minacciato di lasciare l’Inter "se a Gennaio non arriveranno quattro rinforzi".

Forse era nervoso perché l'Inter ha giocato le due partite in Arabia Saudita con lo schema con il quale giocava con Mourinho. Niente difesa alta, ma chisura e ripartenze rapide, pressing alto e verticalizzazione rapida. L'Inter, insomma, ha lasciato le teorie di Benitez nella panchina ed ha giocato come ha sempre giocato quando ha dovuto vincere.

E forse Benitez era nervoso anche per le parole di Mourinho, che si era detto pronto a vedere la partita dell’Inter (“la mia squadra”) con la maglietta nerazzurra addosso e che aveva chiesto con forza di vincere, dopo un cammino durato 57 partite. O forse lo era per aver visto Moratti parlare con Capello ad Abu Dhabi. Ma davvero l’allenatore spagnolo poteva scegliere un altro momento.

Ma lasciando da parte per un attimo l’opportunità di sporcare una vittoria straordinaria con una polemica, proviamo ad entrare nel merito. Giocatori da Inter, sul mercato, non ce ne sono. I due acquisti che proponeva Benitez l’estate scorsa costavano cifre di molto superiori al loro valore e uno di questi è stabilmente riserva nella sua squadra. Ad ogni modo acquistare fuoriclasse in giro per il mondo prevede una forte disponibilità di denaro, una trattativa in corso ed un allenatore che non gridi il suo interesse per l’operazione che, a questo punto, diventa solo più onerosa e complessa.

Benitez sapeva che l’Inter avrebbe acquistato giocatori importanti solo davanti ad occasioni di mercato; il fair play finanziario e la consapevolezza di un mercato stretto non consentivano esborsi che sarebbero risultati inutili. Poteva benissimo, stando così le cose, non accettare di venire a guidare i campioni d’Europa.

Forse Moratti è eccessivamente ottimista quando dice che la squadra non ha bisogno di rinforzi, ma il rientro dei titolari infortunati ha prodotto due vittorie con sei gol fatti in tre partite e nessuno subito. Se i metodi d’allenamento di Benitez, che hanno falcidiato i bicipiti femorali di tutta l’Inter (ultimo Snejider al Mondiale), non fossero stati prima applicati e poi reiterati e difesi ad onta di ogni logica, proprio la squadra avrebbe dato una risposta diversa. Non a caso, nelle ultime settimane nessun giocatore forzava fisicamente, proprio nel timore di giocarsi il Mondiale di Abu Dhabi.

Non solo: Benitez, in un impeto di superbia, ha anche chiesto “pieni poteri” e “gestione totale” della squadra, affermando che, in caso contrario, l’Inter dovrà parlare con il suo agente. Francamente, il mister spagnolo deve aver visto il suo lavoro all’Inter con le lenti deformate del suo ego.

La squadra in mano sua ha perso la Supercoppa europea ed è a tredici punti di distanza dalla capolista in campionato. In campo ha mostrato scarsa tenuta atletica, scarsissima concentrazione e zero grinta. Ad essere precisi, non è Benitez ad aver fatto vincere l’Inter, semmai il contrario. Quelle di Benitez sembrano dunque parole destinate ad una lettera di dimissioni, non ad un rilancio della squadra. Come pensa possa andare a finire dando ultimatum al Presidente e ai giocatori?

E’ probabile quindi che Moratti incaricherà Branca di liberarsi del problema. Sono diverse le opzioni che sono a disposizione per la panchina dell’Inter. Per venire ad allenare i campioni d’Italia, d’Europa e del Mondo, c’è la fila e non serve un fenomeno. L’unico che c’è, Mourinho, provvisoriamente allena altrove.