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di Fabrizio Casari

Che il Milan sia primo in classifica, quest’anno non stupisce. Che seconda, a cinque punti, vi sia l’Inter, fino ad un paio di mesi orsono sembrava invece impossibile. Ma la lotta scudetto è tra le due milanesi, anche se cinque punti di differenza non sono pochi, pur essendoci un derby di mezzo. Intanto il Milan contro il Napoli ottiene una vittoria schiacciante, persino oltre il già rotondo punteggio di 3 a zero.

E se il rigore che apre la strada al successo milanista risulta un aiutino ben confezionato, la vittoria rossonera viene ratificata da una serataccia del Napoli, che non effettua nemmeno un tiro in porta nell’arco dei 90 minuti. L’assenza di Lavezzi non basta a spiegare la debacle della squadra di Mazzarri: Hamsick e Cavani hanno le polveri bagnate e la difesa partenopea non ha classe e tecnica sufficienti a fermare uno scatenato Pato e Ibrahimovic. Seppure Mazzarri troverà nella concessione del rigore conferma ai suoi sospetti (anticipatamente ed abbondantemente diffusi) circa la delicatezza della vicenda arbitrale in ordine alla lotta-scudetto, altre saranno e risposte ad una debacle che sembra confermare come il Napoli sia temibile soprattutto in casa, mentre fuori accusa evidentemente un calo di personalità.

L’Inter supera il Napoli in classifica riuscendo ad avere ragione di una Sampdoria tutta corsa, muscoli e contrasti grazie a due dei suoi fuoriclasse, Snejider ed Eto’o. La Samp si è difesa cercando il colpaccio in contropiede; difendeva con dieci uomini e ripartiva con tre. Ma la coppia di centrali dell’Inter, soprattutto Ranocchia, non ha in Maccarone l’uomo in grado di metterli alle corde.

La difficoltà dell’Inter in fase di costruzione aveva una sua spiegazione logica nell’assenza di Thiago Motta e Cambiasso, mentre l’assenza di Maicon (seppur supportata da una buona prova di Nagatomo) ha tolto ai nerazzurri il loro schema preferito, che vede il brasiliano involarsi sulla fascia e creare la superiorità numerica nella zona destra dell’attacco utile a scambi ravvicinati e a cross dal fondo. C’è quindi voluta una magia dell’olandese ed uno spunto del camerunense a formare il k.o. finale. Il risultato di Milan-Napoli ha quindi determinato una nuova testa della classifica.

La vittoria per 7 a zero dell’Udinese sul Palermo, consegna al campionato l’ennesima cacciata di un allenatore. E’ toccato, infatti, a Delio Rossi lasciare la panchina del Palermo. Che pure, per tutta la prima parte della stagione, aveva mostrato un grande gioco e degli ottimi risultati. Ma l’irruenza e l’incompetenza di Zamparini, che ha ormai il record assoluto di allenatori licenziati e di teorie bislacche spacciate come verità assolute, si é così manifestata. Erano settimane che il patron cercava un “casus belli” per potersi disfare di Delio Rossi, tra i tecnici più preparati della serie A, dopo essersi liberato di Sabatini, ottimo manager di calcio. Zamparini è davvero singolare: vende ogni pezzo pregiato, da Cavani a Krjiaer, e poi chiede all’allenatore di migliorare il rendimento.

Non solo: ogni sconfitta o pareggio diventa occasione per parlar male del tecnico, indebolendolo così nello spogliatoio; ma la vanità patologica del patron ha bisogno di parole ed atti che lo portino all’attenzione mediatica. Allenare a Palermo con Zamparini significa dover fare le nozze con i fichi secchi e, per giunta, dover sopportare umiliazioni e cafonerie d’ogni tipo. Andando avanti così, non ci saranno più nomi disponibili sulla piazza e Zamparini, autoconvintosi di essere un grande intenditore di calcio, dovrà prendere un diploma di allenatore a Coverciano, per poi allenare e licenziarsi da solo.

L’Udinese, invece, è splendida per come macina gioco, ma sarebbe solo una discreta compagine senza Sanchez e Di Natale, due autentici gioielli. Però, per una volta, non ci sommiamo ai complimenti di tutti: vincere è bello, umiliare no. Infierire su una squadra visibilmente alle corde non è spettacolo che ci piace. Sul 4 a zero, a risultato definitivamente acquisito, una dose buona di fair play sportivo non avrebbe guastato. Sarebbe bene che la società guidata da Pozzo, che ama autocelebrarsi senza sosta, apprendesse e poi trasmettesse ai suoi giocatori una dose di classe e di stile superiore a quella presente nelle giocate.

Finisce prima di cominciare, pare l'effetto Montella sulla Roma. La rimontella, stavolta, l’ha fatta il Parma. Hai voglia a parlare di assetto tattico in campo: gli invasati della modulistica argomentano su schemi e disposizioni sul terreno di gioco buone solo per discutere a Coverciano, ma gli schemi contano poco quando gli interpreti hanno finito la benzina. La Roma non ha mai dato l’impressione, neanche sul 2 a 0, di poter agevolmente controllare la partita fino al 90°. La squadra, che con l’uscita di Pizarro ha visto uscire anche idee ed equilibrio, ha dimostrato un difetto di tenuta atletica, oltre ad una scarsa concentrazione. Peraltro, godere dell’infelice titolo di terza classificata nell’infausta classifica delle difese più violate, mal si sposa con i nomi - quasi tutti di spessore - che quella difesa compongono.

Il nuovo allenatore, prematuramente individuato come il demiurgo delle piaghe manifestatesi con Ranieri, avrà molto da lavorare. Assetto difensivo, tenuta atletica, concentrazione ed equilibrio tra i reparti sono presupposto e insieme conseguenza di uno scarso rendimento dei suoi singoli più importanti. E pensare che il problema sia Menez è una follia. Inoltre, l’uscita di scena di Ranieri ha tolto l’ultimo alibi. Il quarto posto è ancora possibile, anzi doveroso: difficile spiegare ad una compagine straniera che si appresta a sbarcare in Italia che la loro squadra non sbarcherà nell’Europa che conta.

La Juventus ormai è questione che esula dal campo. Del Neri è tecnico abitualmente capace di far giocare con velocità ed intensità  le sue squadre, ma il suo curriculum parla chiaro: ottimo allenatore con giocatori di scarso e medio valore, coscienti di essere tali. Del Neri sa motivarli, sa plasmarli, sa renderli un corpo unico, trasformando scarse doti tecniche in notevoli capacità tattiche ed agonistiche. Ma quando le squadre sono composte da giocatori “top”, e soprattutto quando credono di esserlo e non lo sono, difficile riuscire a fargli macinare chilometri e rapidità; se sono convinti di essere tecnicamente superiori, difficilmente accettano di giocare come gregari. O almeno Del Neri non arriva a tanto e non è un caso che le sue due esperienze con squadre di vertice siano fallite, mentre il suo Chievo e la sua Sampdoria hanno realizzato campionati di alto profilo.

Del Neri, insomma, sembra essere più adatto a squadre di scarso-medio valore con ambizioni di buon piazzamento: sa valorizzarle e fargli rendere al massimo, mentre non riesce ad imporre - anche per mancanza d’esperienza - identico start alle grandi. Il segreto sta tutto qui: serve un allenatore capace, per carisma personale, per storia di successi e “tituli”, sia in grado di azzerare auto convincimenti fallaci e riportare tutti sulla terra: questi, però, non è e non può essere Del Neri, che ha vinto nulla rispetto a molti dei suoi giocatori cui dovrebbe imporre un diverso profilo.

E tantomeno può avere successo un personaggio come Marotta, sopravvalutato e privo di curriculum adatto ad ottenere il rispetto e la considerazione di una piazza “pesante” come quella di Torino. Non c’è più l’Avvocato, non c’è più Moggi e non c’è più Capello (ben più di Lippi). Come potrebbe essere la stessa Juventus? Ma trecento milioni di euro in cinque anni avrebbero almeno dovuto proporre un rendimento migliore. Invece di assumere e licenziare allenatori e Dg, si dovrebbe avere il coraggio di pescare un leader della panchina e poi, con lui, rifare una Juventus all’altezza della sua storia.