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di Roberta Folatti


L’irresistibile banda

Con l’arrivo dell’estate si è costretti ingoiare dozzine di “rospi” cinematografici e a scegliere tra titoli riproposti o nuove uscite inguardabili. Così questa settimana ho deciso di parlare di un film uscito da un paio di mesi ma che, nel magma delle produzioni di basso livello, si distingue per eleganza e totale assenza di volgarità pur essendo puro intrattenimento.
Arricchito di una buona dose di humour compiaciuto, girato con classe da un regista come Steven Soderbergh che sa padroneggiare i generi e piegarli alla propria personalità, Ocean’s thirteen è un film adatto al periodo. Poca riflessione, molto divertimento.

Siamo alla terza puntata della saga di Danny Ocean e del suo manipolo di intrepidi amici; questa volta si tratta di farla pagare al cattivissimo Willie Bank – un Al Pacino più che mai in vena di gigioneggiare – il quale, con la sua mancanza di scrupoli, ha causato un infarto a Reuben, il padre spirituale di tutto il gruppo.

“Ocean’s thirteen” è tutto ambientato nel mondo dei casinò, in una Las Vegas che sembra di plastica, città votata esclusivamente alla passione del gioco, al lusso e alla rincorsa della fortuna. Wille Bank sta per inaugurare il più sontuoso (e kitch) degli hotel destinati ai giocatori gonfi di dollari, e la banda di Ocean – un impeccabile George Clooney dallo sguardo perennemente ironico – prepara un elaboratissimo piano di boicottaggio.

Infiltrazioni tra i croupier, dadi e macchinette truccati, la pallina della roulette pilotata, il giornalista che deve assegnare il premio più prestigioso maltrattato appositamente per indurlo a stroncare l’hotel; persino un’enorme trivella che, scavando lì vicino, dia la sensazione di un terremoto per far scappare i clienti carichi del denaro vinto truffaldinamente – insomma, i 12+1 le hanno pensate proprio tutte per punire l’avido imprenditore.

La trama, specie all’inizio, è complessa, in alcuni punti addirittura contorta, 121 minuti di pellicola sono forse troppi, ma tutto sommato scorrono piacevolmente. La parte più divertente è quella ambientata nella fabbrica di dadi in Messico, dove i nostri si infiltrano allo scopo di truccare la partita destinata all’hotel di Banks: prima di riuscire nell’intento si faranno coinvolgere, anzi istigheranno loro stessi le giuste rivendicazioni sindacali, denunciando (di striscio) lo sfruttamento dei lavoratoti messicani.

Con un cast stellare – oltre a Clooney e Pacino, Bradd Pitt, Elliot Gould, Matt Damon e un’avvenente Ellen Barkin (lo ammetto, ho un debole per lei) – un budget non indifferente che consente di largheggiare in scenografie e costumi, “Ocean’s thirteen” richiama alla memoria altri film su gioco, casinò, truffe, anche se la coppia Newman-Redford è inarrivabile rispetto a quella Clooney-Pitt. La simpatia di questi ultimi però è contagiosa, e tra i due attori quarantenni (entrambi politically correct) si avverte un ottimo feeling, forse l’elemento chiave che rende il film godibile.

Ocean’s thirteen (Usa, 2007)
Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: Brian Koppleman, David Lieven
Fotografia: Peter Andrews
Scenografia: Philip Messina
Cast: George Clooney, Bradd Pitt, Matt Damon, Ellen Barkin, Al Pacino