Stampa
di Roberta Folatti

Dieci canoe ti trasporta in un mondo e in un tempo totalmente altri rispetto a quelli che conosciamo. Siamo nella terra di Arnhem, a nord dell'Australia, in un villaggio di aborigeni che si preparano ad una spedizione di caccia alle anatre.
A un primo piano temporale se ne affianca un secondo, collocato in un'epoca indefinita, in cui si svolge una storia che è un po' parabola, un po' leggenda e deve servire, nelle intenzioni del narratore, ad educare il suo giovane fratello. Quest'ultimo si è infatuato della sua terza moglie e, per fargli capire che è una cosa sbagliata, il saggio Minygululu, invece di minacciare punizioni, usa l'esempio e il ragionamento. Dieci canoe si muove così tra la vicenda di Minygululu e Dayindi, che avranno una lunga conversazione durante il rituale della caccia e quella dei fratelli Ridjimiraril e Yeeralparil. Anche nel tempo mitico il più giovane aspira illecitamente a una delle mogli del più anziano e, tra rapimenti, vendette, stregonerie la morale sarà che è meglio non commettere cattive azioni, sviluppando pazienza e tolleranza. L'uso del colore e del bianco e nero serve a caratterizzare i differenti piani temporali, ma presto si impara a riconoscere i volti scolpiti ed enigmatici dei protagonisti.

La voce narrante è quella dell'attore David Gulpilil, di origini aborigene e amico del regista Rolf De Heer, mentre i dialoghi sono tutti in lingua ganalbingu (ovviamente con sottotitoli). Il cast è composto tutto da aborigeni appartenenti alle tribù locali che - come racconta De Heer - non distinguono tra verità e finzione, per cui durante la lavorazione del film si sono verificate numerose situazioni al limite del surreale.

Questa totale aderenza a una realtà lontanissima conferisce al film un fascino indiscutibile, che lo ha fatto apprezzare nella sezione Un certain regard del festival di Cannes. Naturalmente bisogna predisporsi a ritmi e scenari ben diversi da quelli a cui ci abitua la consueta programmazione di stampo hollywoodiano, ma la forza di un certo cinema sta proprio nel saperci catapultare in altri mondi.

Per realizzare quest'opera il regista australiano si è basato, oltre che sull'aiuto di David Gulpilil, che lo ha introdotto nelle comunità aborigene, sul lavoro fotografico dell'antropologo Donald Thomson, autore negli anni '30 di una serie di preziosi scatti sulla vita e le tradizioni nelle terre di Arnhem. Questo materiale, paradossalmente, si è rivelato interessante per le stesse tribù aborigene, che in parte avevano perduto la memoria degli antichi mestieri, come quello di ricavare una canoa dalle cortecce degli alberi. Apprezzabile il coraggio di Rolf De Heer, la cui filmografia è assolutamente fuori dagli schemi e in perenne evoluzione. In questo caso divide la regia con Peter Djigirr. Se vedere il film è un'esperienza particolare, lo dev'essere stata molto di più confrontarsi e lavorare con le popolazioni aborigene, che ancora oggi hanno una visione del mondo e una cosmologia in tutto alternative alla nostra.


DIECI CANOE
Regia: Rolf De Heer, Peter Djigirr
Sceneggiatura: Rolf De Heer
Scenografia: Beverly Freeman
Cast: David Gulpilil, Jamie Gulpilil, Johnny Buniyira, Frances Djulibing, Richard Birrinbirrin
Fotografia: Ian Jones