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di Roberta Folatti

A chi non è un esperto, la visione di Mondovino di Jonathan Nossiter riserva una catena di sorprese. La maggiore e più eclatante è che quasi tutta l’élite dei produttori vinicoli pende dalle labbra (e dai capricci) di due persone. Un enologo francese, Michel Rolland, e un critico americano, Robert Parker.
Il primo è diventato il consulente di centinaia di aziende in tutto il mondo, dalla Francia all’Italia, dagli Stati Uniti all’Argentina all’India, che sembrano non poter fare a meno dei suoi giudizi e suggerimenti. Il secondo è convinto di aver “democratizzato” il mondo del vino attraverso la diffusione del gusto dolce del vino californiano, che soddisfa anche i palati meno esigenti, e si dichiara molto fiero “di aver smantellato una casta, dominata da elite reazionarie”.
Ma il regista del film smaschera la presunta missione etica di questo venerato (e temuto) critico americano, svelando i suoi rapporti “privilegiati” con alcuni produttori, a cui dispensa i voti più favorevoli, e l’amicizia interessata con l’enologo Rolland: i due insieme rappresentano una vera potenza mondiale che dermina i prezzi, il successo, l’ascesa di un’azienda vinicola piuttosto di un’altra. Raccontata così sembra quasi una realtà da telenovela, ma Nossiter è volato in ogni angolo del mondo dove si coltivano vini, ha parlato con tutti, grandi e piccoli, accumulando un girato monumentale e documentatissimo.
Lo spiega lui stesso nel libro allegato al Dvd Mondovino, disponibile in libreria: “La fortuna di Robert Parker è stata l’annata 1982, in cui i vini bordeaux sono stati naturalmente più dolci: ha previsto che sarebbe stata una vendemmia eccellente, i prezzi di quei vini sono saliti alle stelle, i francesi si sono adeguati e quel sapore si è imposto sul mercato. Decidere che una bottiglia di vino debba costare trecento euro non ha niente di democratico, è solo indice di un potere arbitrario. Ma c’è chi si oppone, per esempio Neal Rosenthal, che svolge il suo mestiere di importatore lottando contro l’imposizione di un gusto unico, battaglia etica, non ideologica”.
Il documentario di Nossiter, regista di origini americane ma dalla sensibilità spiccatamente europea, è stato presentato a Cannes nel 2004 dove ha ottenuto un largo consenso. Per quanto riguarda il mondo dei viticoltori, i piccoli produttori indipendenti hanno accolto entusiasticamente Mondovino, mentre le grandi aziende e le riviste come “Wine Spectator”, accusate di connivenza con i potenti, l’hanno presa decisamente male con minacce quasi quotidiane all’autore del film e al suo staff.
Malgrado l’impronta militante, fortemente critica nei confronti della globalizzazione e dell’omologazione che uccide le differenze, facendo sopravvivere solo chi è in linea con le tendenze dominanti, Mondovino è anche un vero e proprio atto d’amore per il vino e per la sua “anima”, cioè per il territorio che ospita e dà linfa vitale ai vigneti. Compaiono figure indimenticabili, per nulla disposte a lasciarsi appiattire e comprare, forti di una tradizione familiare che si tramanda da generazioni, convinte che il loro mestiere non sia solo una questione di soldi e di marketing, perchè per fare un buon vino bisogna essere anche dei poeti.
“Terroir”, cultura del vino, armonizzazione di tradizioni e tecnologia, valorizzazione dell’individualità, tutti questi valori si scontrano con chi, potentissimo, quota in borsa le proprie aziende e ottiene la benevolenza dei critici com mezzi che hanno poco a vedere con la qualità.
Sull’impatto che ultimamente i documentari hanno sul pubblico, Nossiter dice: “Credo ci siano elementi importanti che spingono il pubblico sempre più verso questo genere: oggi i telegiornali sono tutti di regime. Non ci informano e non riusciamo a capire il mondo in cui viviamo. La stampa e i giornali scritti non ci bastano. Nell’era dell’immagine, il documentario rappresenta la possibilità di sapere. Il cinema del reale incarna la voglia e il bisogno di immagini di verità, in risposta a un’informazione fatta di bugie compiacenti”.