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Carlo Benedetti ci ha lasciato. Una morte improvvisa, che ci priva di un amico e un compagno d’avventure. Una passione politica e giornalistica, quella di Carlo, che ha caratterizzato una carriera straordinaria. E' stato il testimone dall'Unione Sovietica e delle sue diverse fasi storiche e contemporaneamente, nel suo ruolo di corrispondente da Mosca per l’Unità, del percorso parallelo del Pci che, anche attraverso il progressivo affrancamento da Mosca, descriveva il suo processo di mutazione genetica.

 

 

Non divenne mai un arruolabile alla causa della sinistra impegnata a dimostrare che non era più tale. Rimase fedele ai suoi ideali e coerente nel difenderli, fosse attraverso un giornale o attraverso un partito; e diverse furono le testate e diversi i partiti dove prestò penna e cuore, perché Carlo fu giornalista e uomo di partito, cronista e scrittore, ma di una bandiera sola.

 

Indagò senza incertezze e senza nostalgie la nuova Russia e il suo declino morale e politico. La Cecenia, che con la sua sporca guerra divenne un simbolo forte di questa degenerazione, è stata una vicenda storica sulla quale Carlo scrisse senza sosta articoli e libri, denunciandone senza sconti il disegno criminale.

 

Solo lui poteva farlo con la competenza e la conoscenza di un paese che è stato sempre il “suo” paese. Le vicende di tutto l’Est Europa e del sud est asiatico l’hanno riguardato e le ha seguite con acume e abilità giornalistica. Scriveva prima di chiunque altro quello che sarebbe successo. Giornalista e scrittore di razza purissima, gli dicevo sempre che quello che non sapeva della Russia e dei suoi popoli poteva essere scritto dietro a un francobollo.

 

Ci sarebbe tanto da raccontare sulla sua vita, piena di affetti e legami duraturi, tipici di un uomo che, pur testimone di cambiamenti epocali, non si perdeva certo dentro le mode del momento, verso le quali, anzi, avanzava perplessità o critiche feroci. Non era uomo che si ricollocava secondo le necessità della contingenza: sapeva cogliere il gusto del cambiamento senza ripudiare niente, meno che mai se stesso e i suoi ideali.

 

Un uomo allegro e spiritoso, capace di dissacrare qualunque fatto e qualunque teoria; mite ma tutt’altro che ingenuo, gentile e delicato. Questo era Carlo. Un testimone delle pagine di storia più interessanti del nostro tempo nel quale la sua passione per la professione ha vissuto in un matrimonio felice con i suoi ideali socialisti.
 
Per me é un lutto durissimo, legato a lui com'ero dai tempi di Liberazione, dove lavorare con lui agli Esteri e poi averlo come Direttore, è stato un piacere grande oltre che una scuola. Se ne va uno dei giornalisti migliori che ho mai conosciuto e che non aveva rinunciato mai, nemmeno ultrasettantenne, a scrivere e raccontare.

Aveva abbracciato l’avventura di Altrenotizie con entusiasmo, ricordandomi sempre che la grandezza del giornalismo non risiede nel denaro degli editori, ma in chi scrive. Che non rimanere in silenzio era l’unico compito cui non era possibile sottrarsi. La scomparsa di Carlo è una perdita grande, per chi gli ha voluto bene personalmente e per chi ha imparato ad apprezzarlo leggendo i suoi scritti.

 

Ha fatto la vita che voleva fare. Nessuno schema riusciva ad imprigionarlo. E se n’è andato senza avvisare, come sua abitudine. Chi lavorava con lui, del resto, era abituato alle sue fughe e ai suoi ritorni. Non sempre sapevi dove si trovasse, ma potevi esser certo che, quando ce ne fosse stato bisogno, lui ci sarebbe stato. E ci sarà sempre.