L’accordo raggiunto nel fine settimana sull’innalzamento del tetto del debito pubblico americano tra il presidente Biden e lo “speaker” repubblicano della Camera dei Rappresentanti, Kevin McCarthy, salvo sorprese dovrebbe essere approvato dal Congresso nei prossimi giorni. Il documento di 99 pagine partorito dopo settimane di trattative eviterà un default definito nientemeno che “catastrofico” da tutta la classe dirigente USA. Per ottenere questo risultato, tuttavia, la Casa Bianca e la leadership democratica hanno acconsentito a una serie di tagli alla spesa sociale che avranno un impatto pesante sulle fasce più deboli della popolazione.

La saga del tetto del debito occupa da tempo le prime pagine dei giornali americani, assieme alle previsioni apocalittiche del segretario al Tesoro, Janet Yellen, sulla data presunta in cui, senza un’iniziativa del Congresso, il governo federale non sarebbe più in grado di far fronte ai propri impegni.

L’ex governatrice della Fed aveva individuato nel 5 giugno prossimo l’appuntamento con il primo clamoroso default americano. L’intesa tra Biden e McCarthy è arrivata perciò in extremis per sventare il pericolo, visti i tempi tecnici per organizzare il voto in aula alla Camera e al Senato, evidentemente dopo le discussioni di rito nei due partiti per far digerire l’accordo alle fazioni più recalcitranti.

Anche a uno sguardo superficiale, l’accordo sul tetto si rivela un meccanismo creato appositamente per drenare risorse pubbliche e dirottarle ancora di più verso le spese militari e i redditi elevati. Infatti, in esso non sono previsti tagli agli stanziamenti da destinare alla macchina da guerra USA e ai suoi “proxy” nel mondo né un incremento delle tasse per super-ricchi e corporations. Anzi, nel prossimo bilancio le spese militari potranno aumentare fino al 3,5%.

Per contro, nell’anno fiscale 2024 tutte le spese “discrezionali”, cioè quelle da finanziare con stanziamenti approvati annualmente, verranno congelate ai livelli del 2023, mentre nel 2025 l’aumento dovrà essere limitato all’1%. Il provvedimento concordato con i repubblicani sospenderà di fatto il limite imposto al tetto del debito pubblico americano fino a gennaio 2025, così da evitare a Biden, ma anche a entrambi i partiti, eventuali ripercussioni negative nelle elezioni del 2024.

Considerando i livelli di inflazione attuale, l’accordo si risolverà quindi in una riduzione consistente della spesa pubblica. Tra le misure con il maggiore impatto spiccano quelle riguardanti gli aiuti finanziari e alimentari per famiglie e individui a bassissimo reddito. Verranno cioè allargate le categorie dei beneficiari di questa forma di assistenza che, per ottenerla, dovranno dimostrare di avere un impiego. Secondo le prime stime, alcuni milioni di americani potrebbero essere lasciati senza nessun aiuto pubblico a causa dei nuovi vincoli.

Biden e i leader democratici hanno anche accettato la proposta repubblicana di ritornare alle casse federali i miliardi di dollari non ancora utilizzati e già stanziati come aiuti COVID. Questo denaro aveva coperto negli ultimi tre anni una parte delle lacune del welfare americano in settori come assistenza sanitaria, trasporti, casa e scuola. Come già anticipato, non ci saranno invece aumenti della pressione fiscale per i redditi più alti. Al contrario, sempre come chiesto dal Partito Repubblicano, verranno bloccati i fondi precedentemente destinati al reclutamento di nuovi agenti del fisco per combattere l’evasione fiscale.

Il dibattito ufficiale sul tetto del debito USA è incentrato sulla presunta insostenibilità dei programmi sociali del governo federale, che rappresenterebbero una sorta di onere strutturale ormai insostenibile. In realtà, le ragioni dell’esplosione del debito pubblico, arrivato a superare i 31 mila miliardi di dollari, sono da ricercare altrove, ma nessuno tra i media ufficiali o nel panorama politico “mainstream” intende parlarne.

Le cause di un debito gigantesco sono soprattutto la continua impennata delle spese militari, i ripetuti interventi di salvataggio delle grandi banche e i tagli alle tasse applicati a corporations e super-ricchi, soprattutto negli ultimi due decenni. Quest’ultimo fattore rivela alla perfezione il carattere classista del sistema politico-economico-finanziario americano. Mentre i profitti hanno seguito una traiettoria ascendente dopo la crisi del 2008-2009, il carico fiscale è costantemente diminuito.

In ambito militare, le sole guerre e le occupazioni di Afghanistan e Iraq sono costate, secondo alcuni studi, tra i quattromila e i seimila miliardi di dollari. In un anno o poco più di guerra in Ucraina, poi, l’amministrazione Biden ha già sborsato più di 110 miliardi di dollari sotto forma di armi e denaro per il regime di Zelensky. Il bilancio annuale del Pentagono supera ormai abbondantemente gli 800 miliardi di dollari e punta a sfondare quota mille miliardi nel prossimo futuro. In sostanza, quindi, la riduzione della spesa pubblica da destinare, tra l’altro, alla lotta alla povertà è motivata in buona parte dalle necessità dell’imperialismo USA, i cui obiettivi sono il contenimento di potenze come Russia e Cina.

Per quanto riguarda il fisco, l’amministrazione di George W. Bush aveva introdotto due tranches di tagli alle tasse per i redditi più alti, poi diventati permanenti nel 2012 durante la presidenza Obama al costo di quattromila miliardi di dollari ogni dieci anni. Alla fine del 2017 Trump ha abbattuto ulteriormente il carico fiscale per coloro che occupano il vertice della piramide sociale, aggiungendo altri duemila miliardi di dollari al debito statunitense. Il tutto in uno scenario dove, come ha ammesso lo stesso Biden nel recente summit dei G-7 a Hiroshima, 55 corporations americane nel 2020 non hanno pagato un solo dollaro di tasse su profitti complessivi pari a 40 miliardi. In generale, i miliardari americani godono invece mediamente di un’aliquota fiscale pari a circa l’8%.

La Casa Bianca ha comunque provato a spiegare che l’accordo con i repubblicani sarebbe un mezzo successo, dal momento che sono stati esclusi dai tagli i programmi pubblici più importanti, come Medicare e Social Security. Questa tesi è però fuorviante, poiché il pacchetto che accompagna l’innalzamento del tetto del debito minaccia di rappresentare una nuova svolta nelle politiche anti-sociali della classe dirigente USA. Lo “speaker” McCarthy ha da parte sua spiegato in un’intervista nel fine settimana che il recentissimo accordo con Biden “cambia la traiettoria” della spesa pubblica in America, fondamentalmente per due ragioni.

In primo luogo, nell’accordo che verrà votato a breve è incluso un taglio automatico dell’1% alla spesa pubblica – esclusa quella militare – nel caso il Congresso non fosse in grado di approvare tutte e dodici le leggi di bilancio previste annualmente. Soprattutto, poi, le trattative di queste settimane hanno preparato il terreno all’imminente assalto a Medicare e Social Security, programmi per ora finanziati automaticamente dal tesoro USA. Numerosi commenti ed editoriali sono infatti seguiti all’intesa tra Biden e McCarthy sull’insostenibilità dei livelli di spesa destinata alle categorie più deboli e non solo sui media vicini al Partito Repubblicano.

Dietro allo scontro apparentemente feroce tra democratici e repubblicani sul tetto del debito e sui tagli alla spesa pubblica, esiste insomma un sostanziale accordo tra la classe politica americana sull’identità di coloro che devono e dovranno pagare il costo salatissimo di un debito pubblico ormai fuori controllo.

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