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Categoria: Esteri

L’assedio genocida di Israele contro la popolazione palestinese nella striscia di Gaza ha dato un altro colpo fatale alla credibilità degli Stati Uniti e dei loro alleati come baluardo di democrazia, pace e stabilità per l’intero pianeta. A Washington continua tuttavia a dominare l’illusione della superiorità morale dell’Occidente e della popolarità dei suoi “valori” di fronte alla presunta minaccia di una sorta di reincarnazione dell’“asse del male”, contro cui sarebbe in corso una guerra dall’importanza vitale sui fronti ucraino e mediorientale. Questa dottrina che ribadisce la supremazia incontrastata degli USA è stata rilanciata in un editoriale di Joe Biden apparso nei giorni scorsi sul Washington Post, anche se il risultato è apparso piuttosto una conferma del declino irreversibile di una potenza che non ha più nulla da offrire se non guerra e distruzione – oltre a ipocrisia e “doppi standard” – di fronte alla decomposizione del sistema di governance internazionale che ha segnato gli ultimi sette decenni.

 

Chiunque sia il vero autore dell’articolo firmato dal presidente americano, il suo contenuto riflette le posizioni di politica estera predominanti nell’amministrazione democratica e che si rifanno ai principi interventisti “neo-con”, con l’obiettivo di salvaguardare l’egemonia globale degli Stati Uniti. Relativamente alle vicende più calde, il commento ospitato dal Post conferma in sostanza l’intenzione americana di continuare ad appoggiare due scelte politiche disastrose, criminali e strategicamente controproducenti, ovvero la prosecuzione fino a quando sarà possibile della “guerra per procura” contro la Russia in Ucraina e l’appoggio virtualmente incondizionato al genocidio palestinese per mano dello stato ebraico.

Quello che spicca dalle parole attribuite a Biden non è tanto il tentativo di costruire una tesi insostenibile anche dal solo punto di vista della logica, ma la convinzione che il riproporre “principi” e finti valori di pace e democrazia davanti a massacri, violenza indiscriminata e fanatismo possa in qualche modo convincere l’opinione pubblica internazionale della validità della leadership americana e occidentale in un mondo che procede a passo spedito verso il multipolarismo.

Hamas viene ad esempio denunciato come il male assoluto, le cui operazioni contro l’occupazione sionista a partire dal 7 ottobre scorso sarebbero indiscutibilmente atti di terrorismo. Questa semplificazione e l’assenza di contesto servono appunto a giustificare qualsiasi orrore commesso da Israele e a legittimare l’appoggio che Stati Uniti ed Europa continuano a garantire al regime genocida di Netanyahu.

Nelle ultime settimane si sono fatte largo, tra le nebbie dell’informazione “mainstream”, prove e testimonianze che offrono una ricostruzione diversa dei fatti del 7 ottobre. Anche i media israeliani hanno infatti rivelato come buona parte delle vittime civili o, comunque, dei prigionieri fatti da Hamas nelle prime fasi dell’operazione siano dovute al fuoco israeliano. Carri armati ed elicotteri del regime sionista avevano ricevuto l’ordine di colpire alla cieca, fondamentalmente per evitare che civili o militari israeliani diventassero ostaggi che Hamas avrebbe potuto scambiare con un numero molto maggiore di detenuti palestinesi. Ugualmente, le notizie delle decapitazioni di neonati, di stupri e dell’utilizzo di ospedali a Gaza come centri di comando di Hamas sono state smentite una dopo l’altra.

Al di là dei dettagli comunque cruciali degli eventi, alla luce dell’oppressione israeliana e dei crimini enormemente più gravi commessi in questi decenni e nella stessa guerra in atto contro i palestinesi, Hamas e le altre organizzazioni della “resistenza” rappresentano oggettivamente un movimento di liberazione legittimo. A Washington serve però screditare la vera opposizione ai crimini di Israele e promuovere l’ultra-impopolare e ultra-corrotta Autorità Palestinese per mantenere il controllo sui palestinesi. A questo scopo, Biden insiste nel sostenere pubblicamente quella dei “due stati” come unica soluzione al problema palestinese, ma nel contempo consente a Israele di agire in un modo che rende di fatto impossibile questa opzione.

Ancora, la Casa Bianca e il dipartimento di Stato piangono pubblicamente i bambini e le donne massacrate sotto le bombe israeliane, ma non intendono utilizzare la leva formidabile dello stop alle forniture di armi a Tel Aviv per fare pressioni su Netanyahu e forzare la proclamazione quanto meno di una tregua. Una mossa in questa direzione scatenerebbe d’altra parte la potentissima “lobby” sionista negli Stati Uniti, che detta l’agenda del Congresso sulle questioni riguardanti Israele.

L’edificio di menzogne di Joe Biden si basa sulla tesi della natura democratica dello stato ebraico, da difendere anche a costo di massacri quotidiani di bambini e della distruzione totale di un popolo e della sua identità. Di conseguenza, non sorprende l’accostamento da parte del presidente americano di Hamas a Putin e quindi, nello stesso articolo del Washington Post, l’ennesima dichiarazione di sostegno al regime ucraino nella guerra contro la Russia. Anche in questo caso, il comportamento di Mosca è ricondotto unicamente alla sete di potere e di espansione ai danni dei paesi vicini che caratterizzerebbe l’inquilino del Cremlino, mentre vige il silenzio assoluto sul contesto del conflitto, sulle responsabilità degli USA e della NATO, nonché sulla natura neo-nazista del regime di Zelensky.

Da questo assunto, Biden allarga il discorso alla difesa dell’ordine globale sotto la guida degli Stati Uniti dalla minaccia di forze maligne e anti-democratiche (Russia, Cina, Iran, Hamas, Hezbollah), così da evitare – presumibilmente – guerre, distruzione, autoritarismo, ovvero, a ben vedere, tutto ciò che ha provocato nell’ultimo quarto di secolo la stessa leadership globale americana.

Gli scrupoli americani dietro all’editoriale di Biden per il Washington Post si possono ricondurre alle apprensioni condivise da tutto l’Occidente per il consolidarsi delle forze centrifughe che, salvo imprevisti di natura tattica come nel fine settimana in Argentina, stanno spingendo il “Sud Globale” verso le nuove dinamiche multipolari promosse in primo luogo da Cina e Russia. Leader politici e media ufficiali sollecitano Stati Uniti ed Europa a trovare soluzioni per intercettare l’interesse dei paesi africani, asiatici e latinoamericani, offrendo ad esempio progetti di sviluppo condivisi o aprendo le istituzioni sovranazionali, tradizionalmente dominate dagli USA e dai loro alleati, ai soggetti emergenti.

Ciò che continua a prevalere è tuttavia il senso di superiorità, la logica neo-coloniale e, soprattutto, la strenua difesa delle priorità economiche e strategiche occidentali, col risultato di alienare ancora di più il “Sud Globale”. Proprio la guerra russo-ucraina e la strage in corso a Gaza hanno confermato questo atteggiamento auto-distruttivo dell’Occidente, con l’identificazione pressoché totale degli interessi imperiali americani con quelli dell’intero pianeta.

Non è un caso quindi che i paesi interessati a una tregua a Gaza, sia pure tra contraddizioni e calcoli politici tutt’altro che trasparenti, inizino a guardare altrove per trovare una forza in grado di promuovere pace e stabilità nella regione. A partire da lunedì, ad esempio, una delegazione dei paesi dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI) è stata ospitata dalla Cina per discutere di una soluzione diplomatica alla guerra in corso nella striscia.

Emblematico a questo proposito è stato il commento rilasciato durante il vertice dal ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, il quale ha spiegato che l’OCI auspica “un ruolo più incisivo da parte di grandi potenze come la Cina per fermare gli attacchi contro i palestinesi a Gaza”. Sfortunatamente, ha aggiunto Shoukry, “ci sono paesi importanti che continuano invece a garantire copertura” alle stragi sioniste.