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Categoria: Esteri
di Bianca Cerri

Hillary Clinton ha condannato duramente George Bush per aver concesso la grazia a Lewis Libby, ex-capo di gabinetto di Cheney. Libby avrebbe dovuto scontare trenta mesi di carcere per aver mentito agli investigatori che indagavano su una fuga di notizie che aveva lasciato trapelare il nome di Valerie Plame, agente della CIA in incognito. Bush ha voluto salvarlo in extremis ma la cosa non è piaciuta molto ai Democratici. Nessuno si aspettava però una condanna tanto drastica da parte di Hillary Clinton dal momento che la carriera legale di Libby è strettamente interconnessa con la presidenza del marito. Per capire come andarono le cose è obbligatorio fare un salto all’indietro di alcuni anni ed esattamente ai primi giorni del 2001, quando Lewis Libby giurò davanti al Congresso che il finanziere Marc Rich era un uomo ingiustamente perseguitato da un gruppo di procuratori in malafede. Per la cronaca, Marc Rich era fuggito dagli Stati Uniti lasciandosi alle spalle un debito di 48 milioni di dollari di tasse non pagate e 51 incriminazioni di natura penale. Rifugiatosi in Svizzera assieme alla moglie Denise, il finanziere non si presentò al processo e mandò a rappresentarlo il suo avvocato difensore, che era appunto Lewis Libby. Giurando davanti al Congresso degli Stati Uniti sull’innocenza del suo cliente, Libby preparò il terreno al perdono presidenziale concesso da Bill Clinton a Rich poche ore prima di passare il testimone a George Bush. Lo stesso giorno, Clinton concesse il perdono anche a quattro ebrei ortodossi, leaders della comunità Skver, che avevano truffato all’erario americano 40 milioni di dollari. Gli Skver avevano sostenuto la campagna elettorale di Hillary per un seggio al Senato con particolare generosità e, per sdebitarsi, il presidente restituì ai loro capi una fedina penale fresca di bucato. Gli Skver, insomma, entrarono di diritto a far parte della corte della coppia, tanto che furono anche invitati numerose volte alla Casa Bianca.

La storia americana è piena di “perdoni” concessi più o meno a sproposito. Memorabile quello di Gerald Ford che riabilitò in parte Richard Nixon accusato di aver tradito il paese, salvo poi essere perseguitato dal dubbio di aver commesso un errore per il resto dei suoi giorni. Il record resta però quello di Bill Clinton, che approfittò delle sue ultime ore alla presidenza per perdonare anche Frank Cisneros, suo segretario personale, per aver mentito agli agenti federali e l’allora direttore della CIA John Deutch, colpevole di aver allungato un po’ troppo le mani negli archivi dello Stato.

Dalla sua lussuosa residenza in Svizzera, Marc Rich fece da mediatore tra Saddam Hussein e le maggiori compagnie petrolifere americane. Nel frattempo, continuò a mantenere rapporti con il Mossad. Un anno dopo aver ottenuto il perdono da Clinton Rich divorziò dalla moglie che aveva contribuito con un milione di dollari alla campagna di Hillary, ormai da tempo divenuta senatrice. Denise Rich regalò alla first lady anche 80.000 dollari di mobili e finanziò parzialmente la biblioteca del marito.

Lewis Libby non ha mai ammesso di aver avuto un ruolo nelle decisioni di Clinton, ma nella motivazione ufficiale lo stesso Clinton afferma di aver sottoposto la decisione a tre avvocati di chiara fama, uno dei quali è proprio Libby, che da diciassette anni era il legale di fiducia di Rich. Per la sua testimonianza e per altri servizi resi, Libby ricevette una parcella di due milioni di dollari, niente affatto disprezzabile.

Per queste e per molte altre ragioni, numerosi membri del partito democratico americano ritengono che Hillary Clinton farebbe bene a tacere, giacché dal suo armadio potrebbero uscire nuovi scheletri. Il ritratto che fa di lei Carl Bernstein, che insieme a Bob Woodward portò alla luce sul Washington Post lo scandalo “Watergate” ed ora autore di una biografia non ufficiale dell’aspirante presidentessa uscita il 19 giugno scorso, è tutt’altro che positivo.

Un opinionista del New York Times ha scritto invece che Hillary è un male inevitabile. Ma nessuno, nei media o nell’intellettualità progressista statunitense si azzarda a dire che la moglie in carriera dell’ex-presidente possa davvero rappresentare la svolta politica e morale di cui gli Stati Uniti hanno bisogno. Anche al garbo nei confronti degli aspiranti presidenti c’è un limite.