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Categoria: Esteri
di Raffaele Matteotti

Si apre l'attesa conferenza nazionale di Mogadiscio indetta dal governo somalo, ma alla conferenza arrivano in pochi visto che la capitale somala è terreno di battaglia e che le stessi sedi del governo sono da giorni prese di mira a colpi di mortaio. Il premier Ghedi aveva detto che la conferenza si sarebbe tenuta anche se fosse esplosa una bomba atomica, ma la qualità ed il numero dei partecipanti porta a credere che si tratterà di qualcosa di assolutamente inutile. Nemmeno gli inviati della UE, tra i quali il nostro stoico Raffaelli, si sono presentati e i piloti che dovevano portare gli “ospiti” stranieri si sono semplicemente rifiutati di atterrare in un aeroporto che è uno degli epicentri della violenza. La situazione nel paese è pessima, la violenza nella capitale è ormai endemica ed è di pochi giorni fa l'ennesima fuga in massa degli abitanti, che li porterà a raggiungere gli altri somali che fanno la fame nelle zone più decentrate del paese. La fame, nel paese “liberato dagli islamici” è una minaccia più attuale ed imponente di quella della guerra. Particolarmente significativa e preoccupante è la situazione dipinta dalle agenzie umanitarie, che denunciano il governo di ostacolare gli aiuti e parlano di un paese in mano alle bande armate nel quale centinaia di migliaia di profughi sono abbandonati al loro destino. Il governo, che vorrebbe controllare gli aiuti, ha accusato le ONG di sostenere i cattivi, poi è sembrato che avesse cambiato idea, ma la realtà continua a raccontare di aiuti saccheggiati anche dalle bande governative. Di un esercito disciplinato nemmeno parlarne. La guerra d'invasione etiope, cominciata il Natale scorso con il pretesto di un pericolo d'attacco somalo all'Etiopia, continua con un'occupazione scandita da attentati, scontri a fuoco di varia intensità.

A questo scenario si aggiungono saltuarie distruzioni di interi villaggi da parte dell'aviazione americana che, come in Afghanistan, bombarda interi abitati cercando di uccidere qualche manata di “terroristi” e poi giustifica le stragi commesse dicendo che i vili usano gli abitanti come “scudi umani”. Un po' come bombardare Milano per eliminare Abu Omar, ma se si fa in Somalia, Iraq o Afghanistan, nessuno dice niente.

Intanto il dittatore etiope Zenawi ha condannato a morte gli oppositori in patria, con l'accusa paradossale di aver provocato la morte dei dimostranti pacifici, uccisi dietro suo ordine nelle strade di Addis Abeba. Il resto dei politici dell'opposizione, che non sono stati condannati da nessun tribunale, è da due anni rinchiuso in lager nel deserto insieme a decine di migliaia di studenti, colpevoli di trovarsi in disaccordo con la dittatura.

Dittatura peraltro simpaticissima all'Amministrazione Bush, forse perché utile fantoccio per il lavoro sporco in Somalia, forse per la comunanza di stile; a capodanno Zenawi aveva annunciato la “missione compiuta” e che l'Etiopia si sarebbe ritirata nel giro di un paio di settimane. Provate a controllare quanti politici in Occidente parlino male della sanguinaria dittatura etiope e scoprirete che sono molti meno di quanti parlino male di un Chavez o di un Morales.

La Somalia è sparita dall'orizzonte informativo italiano. E’ un fenomeno curioso, se si pensa che quando era tutto sommato pacificata, campeggiava sui nostri media quasi quotidianamente per i provvedimenti presi dagli “islamici” al governo in qualche remota provincia somala o per il sollevarsi di un isolato clan contro la trasmissione dei mondiali di calcio. Oggi che i somali muoiono come mosche, vittime di un'invasione illegale e di bombardamenti non meno illegali, oggi che a milioni sono minacciati dalla morte per fame, la cosa non sembra interessare nessuno. Eppure qualche responsabilità verso la Somalia, non solo storica, l'abbiamo sicuramente in quanto italiani.

La Somalia non fa più notizia, perché per i misteriosi meccanismi dell'informazione nostrana, qualche migliaio di neri disperati è un'emergenza molto più vendibile che la morte di milioni di neri a casa propria per mano di criminali dei quali siamo “alleati”. Poveri somali, destinati a sperare in un rigurgito leghista per elemosinare uno sguardo sul proprio martirio, mentre potenze straniere disintegrano il loro paese e lo consegnano in mano a banditi armati ed impiegati allo scopo. Disperato è il paese nel quale nemmeno gli eroi possono sperare in qualcosa di diverso da un destino già segnato.