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Categoria: Esteri
di Eugenio Roscini Vitali

Il 6 luglio, non lontano dalla città di Ingall, Niger settentrionale, è stato rapito un dirigente cinese della compagnia di estrazione di uranio Sino-U, società legata al colosso dell’energia China nuclear engineering and construction group corporation (Cnec). Il fatto, avvenuto nei pressi del sito di Teguidan Tessoumt , oltre mille chilometri a nord della capitale Niamey, segna una evoluzione nella lotta contro il regime del presidente Mamadou Tandja. Anche se dopo dieci giorni l’ostaggio è stato liberato, il coinvolgimento dei lavoratori stranieri indica che la strategia dei ribelli inizia a ricalcare quanto sta già accadendo in Etiopia, dove l'Ogaden national liberation front (Onlf) ha lanciato l’assalto agli impianti cinesi di prospezione del petrolio, e nella Nigeria meridionale, dove il Movimento di emancipazione del Delta del Niger (Mend) combatte contro il saccheggio del territorio e rivendica il trasferimento del controllo delle risorse petrolifere dal governo alle comunità locali. In Niger la rivolta è guidata dal Movimento nigerino per la giustizia (Mnj), formazione spesso definita come la ribellione Tuareg, ma che comprende tutte le etnie della regione settentrionale e un numero sempre crescente di ex-ufficiali che abbandonano l’esercito. Il movimento, entrato in azione per la prima volta lo scorso febbraio, combatte per difendere i diritti delle popolazioni minacciate dalla fame e per una più equa distribuzione delle ricchezze. Il Mnj rimprovera alle aziende straniere (soprattutto a quelle francesi e cinesi) di non investire nello sviluppo delle aree sfruttate e di preferire alle popolazioni locali la manodopera straniera; contesta al governo la non applicazione degli accordi di pace sottoscritti il 24 aprile 1995; accusa le compagnie minerarie di aver reso inutilizzabile gran parte dei territori utili per i pascoli e di aver danneggiato in modo irreversibile le attività di pastorizia delle tribù nomadi.

I ribelli si definiscono una coalizione che combatte contro l’ingiustizia sociale, i crimini contro le etnie e la corruzione politica, fattori che hanno portato il Niger all’ultimo posto nella classifica sull’Indice di sviluppo umano, la graduatoria stilata dalle Nazioni Unite che valuta il reddito, la sanità , l’educazione e le aspettative di vita in 177 Paesi.

Prima del sequestro di Ingall, le azioni del Mnj erano esclusivamente rivolte contro obbiettivi militari: il 24 luglio, tra Gougaram e Iferouane, nel nord del Paese, il lancio di granate contro con le forze armate nigerine (Fan) aveva provocato almeno una decina di vittime. nella stessa zona, la settimana precedente, l'esplosione di una mina anti-carro aveva ucciso altri tre soldati e il 22 giugno, a Tezirzayt, località ai piedi del leggendario monte Tamgak nel cuore del massiccio dell’Aïr, l’attaccato contro un distaccamento militare posto a guardia dei giacimenti di uranio aveva causato la morte di 15 soldati con altri 72 fatti prigionieri.

Il 16 giugno era stato messo a segno un blitz contro l’aeroporto di Agadez, capoluogo dell’omonima regione e città che rappresenta il cancello d’ingresso verso il Sahara e in aprile, un attacco agli impianti di estrazione del colosso energetico-nucleare francese Areva aveva causato la morte di un militare. In segno di rappresaglia contro i voli di ricognizione delle Fan, nel febbraio scorso era stata colpita la guarnigione di Iferouane. Recentemente, il Niger era però entrato a far parte della cronaca in occasione del rapimento di 21 escursionisti italiani, avvenuto nell’agosto del 2006. Il sequestro, che si era concluso con la liberazione degli ostaggi, era stato rivendicato dalle Forze armate rivoluzionarie del Sahara (Fars), milizie della popolazione Toubou che dopo anni di inattività erano riapparse sulla scena internazionale.

I messaggi pubblicati sul blog del Mnj parlano della lotta armata come risposta ai crimini che l’esercito governativo continua a perpetrare nel nord del Paese. Il leader del movimento, Agali Alambo, denuncia gli allarmanti livelli di contaminazione registrato nella regione, con valori 100 volte superiori alla norma, e la presenza di rifiuti radioattivi lasciati lungo le strade delle città mineraria.

Il più eclatante è certamente il caso della cittadina mineraria Akokan, portato alla luce dalla Commissione di ricerca e d’informazione indipendente sulla radioattività e dall’organizzazione non governativa nigerina Aghir in Man e denunciato alle autorità governative. Intanto, Mamadou Tandja continua a dipingere i ribelli come un gruppo di narco-trafficanti e nega l’esistenza di qualsiasi organizzazione anti-governativa, attribuendo lo stato di insicurezza a bande di assassini che operano nella regione pre-desertica dello Sahel.

Agli attacchi del Mnj, il governo risponde con l’uso della linea dura: ad Agadez, dove vige il copri-fuoco, è vietata la vendita del gasolio e le strade sono sorvegliate dai militari. Il Consiglio Superiore della comunicazione (Csc) ha addirittura minato la libertà di stampa, sospendendo o minacciando di sospendere la pubblicazione di alcuni giornali perché ritenuti colpevoli di raccontare fatti che demoralizzato le truppe e sfiduciano la popolazione.

Della lotta tra le autorità di Niamey e il Mnj potrebbe approfittare il gruppo Areva. Il presidente Tandja accusa infatti la compagnia francese di servirsi dei disertori dell'esercito governativo per fomentare la ribellione allo scopo di mantenere bassi i prezzi dell’uranio e ostacolare la presenza delle società cinesi impegnate nell’estrazione del metallo radioattivo e nella ricerca di nuovi giacimenti petroliferi.

Anche se l'Areva nega qualsiasi coinvolgimento, il presidente nigerino è intenzionato a rivedere al rialzo le licenze di prospezioni minerarie e il prezzo dell'uranio, che attualmente si aggira intorno ai 100 euro al chilo dei quali solo il 30% arriva nelle tasche dello Stato. In questa ottica, il governo ha ordinato l’espulsione dal paese di un dirigente dell’Areva, accusato di aver finanziato una sorta di esercito privato per proteggere il personale della società.

In Niger il problema principale riguarda la fame e la siccità. Oltre un terzo della popolazione è sottoalimentata e il 45% non ha accesso all’acqua potabile. Il 60% degli abitanti vive con meno di un dollaro al giorno e le speranze di vita non superano i 45 anni. Il tasso di mortalità infantile, insieme al tasso di analfabetismo, è il più elevato al mondo: un bambino su quattro muore entro i primi cinque anni di vita. A questo scenario devastante va aggiunto il fatto che entro i prossimi otto anni il tasso di crescita annua della popolazione sarà il più elevato sulla Terra.

Nel campo dell’istruzione si sta assistendo ad un sensibile e pericoloso aumento nelle scuole coraniche, aperte dai Paesi arabi del Golfo e unica alternativa all’assenza delle strutture statali. Indipendente dal 1960, oggi il Niger è politicamente controllato dal partito del presidente Tandja, il Movimento nazionale per la società dello sviluppo (Mnsd), e dalla formazione dell’ex capo dello stato Mahamane Ousmane, la Convenzione democratica e sociale (Cds). La scoperta dei giacimenti di uranio risale ai primi anni 70’.

Tra alti e bassi, politiche del disarmi e nuove potenze militari, fine della guerra fredda e corsa al nucleare, in Niger l’uranio non ha mai portato un vero benessere e reali cambiamenti sociali ma ha piuttosto scatenato la rivolta delle popolazioni del nord, minacciate dalla modernizzazione e dal liberismo economico che ha calpestato ogni tradizione e ha minato la loro stessa sopravvivenza.

Anche se il Mnj è di recente costituzione, la resistenza Tuareg risale agli inizi del secolo scorso, quando gli uomini in blu combatterono contro l’occupazione francese. A causa della decolonizzazione, i dominatori del deserto videro il loro territorio frammentato in Nazione, diviso tra Mali, Niger, Libia, Algeria, Burkina Faso e Ciad. Per le continue siccità furono spesso costretti a migrare e questo aumentò l'attrito con i governi di Mali e Niger. Nel 1990 il contrasto sfociò in aperti scontri e alle richieste Tuareg d’indipendenza, i due Stati risposero con un massiccio intervento delle forze armate, che in pochi anni causò migliaia di morti. I militari si resero responsabili di veri e propri massacri e solo il trattato di pace firmato nel 1995 pose fine alle violenze.

L’accordo, disatteso da entrambe i governi, prevedeva l’integrazione di parte dei ribelli negli eserciti nazionali e l’autonomia di alcune regioni. Unico risultato del negoziato fu che alcuni dei capi che avevano preso parte alle rivolte ebbero la possibilità di ricoprire posizioni di prestigio all’interno delle strutture governative, voltando le spalle al loro stesso popolo. Le nuove generazioni hanno però ripreso in mano le redini della rivolta e dal 2004 la ribellione armata, che ha insanguinato il Paese negli anni ’90, è tornata a farsi sentire, prima in Mali ed ora in Niger.

Oggi, dopo un secolo di lotte, il popolo Tuareg si interroga ancora sul proprio destino, una sorte legata alle decisione prese dai consigli di amministrazione delle società minerarie che potrebbe diventare ancora più cupa se oltre all’uranio dovesse arrivare anche l’oro nero.