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Categoria: Esteri
di Fabrizio Casari

Volete meno armi? Possiamo discuterne. Ci chiedete di distruggere una parte del nostro arsenale militare? Possiamo farlo. Ma solo se, in cambio di armi, riceveremo salute. Il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, ha gettato sul tavolo del contenzioso regionale centroamericano sugli armamenti una proposta semplice quanto efficace. “Ci chiedono di eliminare i missili terra-aria di cui disponiamo, necessari alla difesa del paese. Non li distruggeremo tutti, ma una parte si. Quattrocento missili non verranno toccati - ha detto Ortega - essendo necessari alla nostra sicurezza, ma gli altri possono essere eliminati. In cambio – ha tenuto a precisare il Presidente - vogliamo attrezzature sanitarie d’avanguardia che aiutino il Nicaragua a dotarsi di apparecchiature diagnostiche utili al miglioramento della sanità pubblica”. Il Nicaragua, in possesso di 1051 missili terra-aria SAM-7, di fabbricazione sovietica, è quindi disposto a distruggerne 651, purché il governo statunitense consegni macchinari tecnologici e medicine di valore equivalente. Macchine per la TAC e per la dialisi in primo luogo, oltre che medicine. La proposta di Daniel Ortega, presentata durante le celebrazioni per il ventottesimo anniversario dell’aereonautica militare nicaraguense, supera quella del vertice castrense, che chiedeva elicotteri in cambio dei missili, proposta comunque rimasta senza risposta da parte di Washington. L’offerta del Presidente sandinista ha avuto l’immediato consenso di tutte le forze politiche nicaraguensi e lo stesso ambasciatore statunitense a Managua, Paul Trivelli, ha qualificato come “molto buona” l’idea dello scambio.

Ortega ha poi voluto precisare agli Stati Uniti che il Nicaragua “non accetta materiale usato o di vecchia fabbricazione, bensì macchinari di ultima generazione e specifici corsi di formazione per il personale sanitario nicaraguese.

Dura da almeno quattro anni il contenzioso sulle dotazioni militari tra il Nicaragua e il resto dei paesi della regione centroamericana. Contenzioso che ha per oggetto il bilanciamento di forze e di attrezzature belliche, che si vorrebbero omogenee a livello regionale. Di per sé, una delle classiche questioni di principio con scarsa attinenza nel mondo reale, data la diversa storia di ognuno dei paesi coinvolti e, soprattutto, data la diversa natura delle relazioni tra ognuno di essi e gli Stati Uniti, che se formalmente dell’emisfero non fanno parte, ne sono comunque l’elemento decisivo per le politiche, riguardino esse i rapporti commerciali, politici e - soprattutto - militari. D’altra parte, com’è noto, la storia per la quale il Centroamerica è “area d’interesse vitale” di Washington è premessa ormai sancita, pur risultando evidente come ormai tale particolarità sia estendibile all’intero pianeta.

Ebbene, gli Usa da sempre sostengono che il Nicaragua possiede un numero eccessivo di missili SAM-7, eredità dell’armamento dell’Esercito Sandinista, che li acquisì obbligato dalla guerra d’aggressione terroristica che i Contras, diretti dagli Usa, scatenarono negli anni ’80 contro il governo sandinista. Washington ritiene che ora quella dotazione sia eccessiva, giacché sbilancerebbe a favore del Nicaragua l’equilibrio militare delle regione e, aggiunge, non vi sarebbe certezza che alcuni dei missili non riescano ad arrivare nelle mani di organizzazioni terroristiche che potrebbero usarli per colpire obiettivi civili e militari.

Argomento, quello del possibile uso da parte di soggetti diversi, caro all’esercito statunitense, conscio che solo di fronte ad eserciti disarmati può esprimere minacce dotate di una qualche credibilità. Proprio l’ex Segretario alla difesa Usa, Donald Rumsfeld, nel suo ultimo viaggio in Nicaragua, alla vigilia della vittoria del Fsln alle elezioni del novembre scorso, sostenne che “dalle nostre informazioni risulta che centinaia di missili non sarebbero sotto il diretto controllo dell’esercito nicaraguense”, dando ad intendere che il Fsln potrebbe disporre di una quota dei SAM-7.

Ma le cose stanno in maniera diversa. E in ogni caso, già durante il governo precedente, l’esercito nicaraguense aveva distrutto circa mille dei 2000 SAM-7 disponibili, ma il Parlamento, tramite una apposita legge, impedì al governo filo-statunitense guidato da Enrique Bolanos, di accedere ai desiderata di Washington che avrebbe voluto la totale distruzione dei missili, anche in previsione del ritorno al governo dei sandinisti dopo 17 anni di opposizione.

Già nel 2003, del resto, gli Usa avevano tentato di forzare. Lo fecero in occasione della visita dell’allora Segretario alla Difesa Usa, Colin Powell, che arrivò a Managua – probabilmente pensando di trovarsi in Honduras - per ordinare ai nicaraguensi di smantellare completamente la riserva di SAM-7. Ma l’ordine non venne recepito.

La proposta del Presidente Ortega sembra dunque una mediazione efficace tra le necessità difensive del paese e l’accoglimento delle richieste dei paesi vicini e degli Usa. Lo stesso esercito nicaraguense ha più di una volta dichiarato come il mantenimento di alcune centinaia di missili sia "necessario per le esigenze di sicurezza nazionale, anche alla luce delle dotazioni militari dei paesi confinanti”. Si deve infatti ricordare che paesi come Honduras e El Salvador dispongono di forze aeree nettamente superiori a quelle del Nicaragua. Anche in virtù di questa asimmetria, il Capo dell’esercito del Nicaragua, Generale Omar Halleslevens, aveva richiesto un incremento di aerei ed elicotteri per bilanciare il quadro militare nell’area, senza però ottenere risposte da parte degli Usa.

Adesso la proposta di Ortega si trova all’esame del Comando sud dell’esercito statunitense, del Pentagono e dei paesi dell’area, che faranno finta di riflettere e discutere per poi firmare quello che sceglierà la Casa Bianca. Questo non senza contraddizioni ed asprezze interne al blocco dei paesi "vicini" a Washington. Sarà però difficile dire di no alla proposta del Nicaragua, anche solo sul piano dell’immagine interna ed internazionale che un rifiuto determinerebbe. In questo senso, la recente visita a Managua del Presidente honduregno Zelaya, ospite alle celebrazioni per l'anniversario della Rivoluzione Sandinista, alimenta le ipotesi di un nuovo dialogo tra Nicaragua e Honduras. La carta giocata dal comandante sandinista è dunque una di quelle che riescono a smascherare il gioco. E, forse, a far saltare il banco.