MOSCA. La guerra, la tragedia, i morti, l’occupazione, la distruzione sistematica di una comunità, i pogrom, gli scontri etnici e religiosi. Tutto - direttamente o indirettamente - va sul conto della Nato, che ha scatenato il conflitto contro la Jugoslavia (per metterne in carcere il capo, Milosevic) e per fingere poi di salvare il Kosovo e le sue genti. E’ stato ed è un grande bluff, epocale, vergognoso, assurdo. Con un occidente in veste di aiutante di campo di una America sempre più arrogante perchè certa di rappresentare il verbo della libertà e della democrazia. Ed ora - mentre si avvicina il momento della verità per l’intera regione a cavallo tra Belgrado e Tirana - cominciano a chiarirsi le varie posizioni in vista di quelle elezioni politiche, che dovrebbero svolgersi nel novembre prossimo in tutto il Kosovo, concludendo così, almeno sulla carta, quel negoziato di 120 giorni svolto dalla cosiddetta “trojka” composta dagli uomini dell’Unione Europea, degli Usa e della Russia. Come sempre, la vicenda del “contenzioso” verrà condensata nelle righe di un freddo e burocratico documento che il 10 dicembre troverà posto nella scrivania del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon. Dal testo di questo rapporto notarile scompariranno, ovviamente, le vicende reali di un paese distrutto e sconvolto. Prevarrà la norma della correttezza tipica delle cancellerie ministeriali e si cercherà di non offendere o chiamare in causa i boia che hanno tutti cognomi a stelle e strisce.
Le truppe di occupazione verranno presentate come truppe di pace cariche di ramoscelli di ulivo e non si parlerà di soldati-zombi che si aggirano in una realtà sociale che li respinge. Non si farà cenno al fatto che gli albanesi-kosovari si sentono padroni e castigano i serbi che sono pur sempre i proprietari di una terra da secoli legata al mondo slavo. E così la situazione continuerà ad aggravarsi di giorno in giorno e l’Europa (che porta il fardello delle maggiori responsabilità insieme ai falchi americani) assisterà alle esplosioni del caos balcanico con politiche ambigue. Questo, in sintesi, lo scenario possibile. Ma vediamo anche le varie posizioni che si registrano nell’area dei paesi interessati alla vicenda kosovara.
ALBANIA. Il governo di Tirana è da sempre schierato in favore della annessione del Kosovo. Ma è anche disposto a trattare su una forma di autonomia con un collegamento alle istituzioni albanesi. E, comunque, per un allontanamento graduale di Pristina dai giochi di Belgrado. Ecco perchè gli albanesi seguono ora con interesse quanto sostiene l'analista liberal-moderato belgradese Cedomir Antic (giovane ideologo del movimento liberista G17, il minore degli attuali partiti di governo serbi) il quale liquida quanti si ostinano, per opposte ragioni, ad escludere la spartizione del Kosovo dal novero delle soluzioni possibili per sciogliere in extremis il groviglio diplomatico sul destino della provincia contesa.
Una opzione di una qualche forma di suddivisione del Kosovo - regione storicamente serba, ma popolata ormai da una larga maggioranza etnica albanese che ne reclama con crescente impazienza la secessione - rimane al momento sotto traccia, in attesa dell'avvio il 30 agosto dell’estrema tornata di trattative promosse dalla nuova troika negoziale (euro-russo-americana) del Gruppo di Contatto. La posizione di Antic, comunque, si scontra con le riserve avanzate sia dall'entourage del primo ministro serbo, Vojislav Kostunica, che del premier albanese kosovaro, Agim Ceku. Da un lato c’è Belgrado che parla di ''difesa assoluta'' dell'integrità formale della Serbia; dall'altro Tirana alza il tiro auspicando un ''Kosovo indipendente senza mutilazioni''. E sono, tutte, posizioni poco realistiche, a giudizio di Antic. Il quale ritiene che l'orizzonte della spartizione sia, a questo punto, ''nelle cose''. D'accordo con Goran Svilanovic, già ministro degli Esteri nel primo governo democratico serbo del dopo-Milosevic, Antic osserva che nel momento dell'eventuale proclamazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo - minacciata di nuovo proprio da Ceku - la divisione diventerebbe immediatamente evidente. Con il prevedibile sganciamento dell'enclave serbofona del Nord della provincia, dove è concentrato, sotto protezione del contingente internazionale del Kfor, il grosso di ciò che resta della minoranza non albanese. Enclave che ha confini comuni con il resto della casa madre serba e ''non potrebbe riconoscersi mai come parte d'uno Stato kosovaro''. Di fronte a questa prospettiva, Antic giudica “miope” l'approccio rigido di Kostunica e dell'ala più oltranzista del governo.
Quanto agli albanesi-kosovari, l'invito è a puntare a loro volta su un compromesso. E ad abbandonare ''i riferimenti di maniera'' a un immaginario ''Kosovo multietnico'' (richiamato da Ceku), che si scontra con una realtà laddove le residue minoranze serba e rom si sono più che dimezzate dopo l'avvento dei secessionisti albanesi al potere seguito ai raid Nato del '99. Lasciando i pochi connazionali rimasti in riserve “indiane” garantite solo dai militari stranieri.
JUGOSLAVIA. La posizione di Belgrado è netta. Sul Kosovo non si tratta, perchè quella terra è terra jugoslava. Di conseguenza, anche nei giorni scorsi, il ministero degli Esteri di Belgrado ha denunciato come ''improprie'' e ''inaccettabili'' le dichiarazioni del neopresidente dell'Albania, Bamir Topi, a favore dell'indipendenza del Kosovo. Affermazioni che, secondo i serbi: ''attentano alla sovranità e all'integrità territoriale di un Paese democratico membro dell'Onu, i cui confini sono internazionalmente riconosciuti e non contribuiscono a consolidare rapporti di buon vicinato, nè a cementare quella stabilità di cui l'intera regione balcanica ha fortemente bisogno''. La protesta giunge a pochi giorni di distanza dalle affermazioni di pieno sostegno alle pretese indipendentiste della maggioranza albanese del Kosovo ribadite da Topi a margine di un incontro col presidente kosovaro, Fatmir Sejdiu, in vacanza in Albania.
L’agenda kosovara prevede la partecipazione della Jugoslavia alla riunione del “Gruppo di contatto” (Usa, Russia, Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna) che si terrà il 30 agosto a Vienna. Qui si svolgeranno gli incontri con i delegati di Belgrado e di Pristina. Ma saranno solo colloqui informali perchè il mandato affidato ai negoziatori riguarda soltanto l’incentivazione delle trattative. Sui risultati ottenuti saranno inviate apposite relazioni al segretario generale dell’Onu. E così l’intero processo rimarrà nell’ambito delle Nazioni Unite e la soluzione finale sarà presa dal Consiglio di sicurezza.
Intanto il ministro serbo per il Kosovo, Slobodan Samardzic, ha invitato gli Stati Uniti a desistere dalla creazione di uno stato della Nato in Kosovo. Un progetto del genere - ha detto l’esponente di Belgrado - non ha niente a che fare con lo sviluppo economico, del Kosovo e con la riconciliazione tra serbi e albanesi. Un Kosovo “indipendente” servirebbe soltanto agli interessi strategici degli Stati Uniti e della mafia albanese e il suo futuro pacifico sarebbe impedito per sempre. A tutte queste dichiarazioni fa riferimento poi il Consiglio nazionale del Kosovo settentrionale, (quello dove vivono i serbi) che rivendica la presenza in Kosovo di un contingente di militari serbi, conformemente a quanto stabilito nella Risoluzione 1244 dell’Onu.
Il Consiglio sottolinea che la realizzazione di questa iniziativa sarebbe l’unico modo per dare una protezione alla popolazione serba, tenendo presente che “esistono indizi attendibili che gli albanesi stiano preparando nuovi disordini”. Ed ecco che in conseguenza di questi allarmi il premier serbo Vojislav Kostunica fa sapere che Belgrado ritiene ormai di poter rimettere sul tavolo il tema del ritorno nella provincia secessionista albanofona del Kosovo di un proprio contingente militare e di polizia. Richieste in merito vengono dalla comunità serbo-kosovara che chiede da tempo la protezione delle minoranze non albanesi, la cui sicurezza resta per ora garantita esclusivamente dalla Kfor schierata nella regione sin dal 1999. Tra l’altro - si dice a Belgrado - non è stata mai annullata quella direttiva tesa a far tornare in Kosovo unità di sicurezza serbe.
USA. Gli americani sono interessati alla completa destabilizzazione del centro Europa. Mantengono le loro basi ovunque e le rafforzano. Hanno operato per la distruzione dell’Est Europeo, hanno favorito lo smembramento dell’Urss, hanno pilotato la dissoluzione della Rdt con la conseguente annessione nella Rft, hanno applaudito alla divisione della Cecoslovacchia e, poi, hanno battuto il tasto della distruzione della Federazione Jugoslava mettendo in campo la loro forza militare aiutati dai fedeli alleati come è stato il caso dell’Italia.
Ora gli americani sollevano il tema della “pericolosità” del conflitto kosovaro che - dicono - potrebbe estendersi all’Europa. Ed insistono nel far notare che nel continente si aggira lo spettro di ''un nuovo conflitto sanguinoso''. Ma c’è anche un fronte americano che presenta valutazioni diverse. E’ il caso dell’International Crisis Group: un think-tank animato da democratici e repubblicani - veterani, della politica e della diplomazia Usa. In un loro documento questi esponenti delle vecchie cordate dell’amministrazione statunitense evocano una situazione di ''caos alle porte'' nel caso che le ambizioni secessioniste della maggioranza albanese della provincia serba - sostenuta a spada tratta da Washington e avversata strenuamente da Belgrado e da Mosca - non verranno soddisfatte in tempi brevi.
RUSSIA. Sulla vicenda kosovara e sulle implicazioni internazionali pesa la posizione del Cremlino. Perché lo stop imposto da Mosca in Consiglio di Sicurezza al controverso piano di ''indipendenza sorvegliata'' del Kosovo (partorito a suo tempo con il placet dell'Occidente dall'ex emissario dell'Onu Martti Ahtisaari) rappresenta ancor oggi un motivo di seria riflessione per le diplomazie interessate all’area. E’ chiaro - allo stesso tempo - che se Mosca manterrà la sua opposizione, i maggiori Paesi dell'Ue dovranno prendersi la responsabilità ''di riconoscere unilateralmente, con gli Usa, l'indipendenza sorvegliata della provincia”. Resta il rischio dello smembramento di fatto del Kosovo che, in mancanza di ulteriori appoggi occidentali, potrebbe vedere Pristina affermare autonomamente la sua indipendenza ''prima della fine del 2008''.
Come ultima ipotesi gli analisti russi rilevano che si potrebbe registrare ''una proclamazione priva di sostegno europeo, con un Kosovo avviato a dividersi: con l'annessione alla Serbia di una fetta di territorio a Nord del fiume Ibar, con la fuga degli ultimi serbi dal resto della provincia. Tutto questo in un clima di smacco e con la palese ammissione di uno spreco di 8 anni di lavoro istituzionale della comunità internazionale rivelatasi impotente.
Sempre per quanto concerne le soluzioni da dare al Kosovo vanno evidenziate determinate idee che circolano negli ambienti della diplomazia del Cremlino. Si esaminano gli scenari che potrebbero aprirsi nel caso di una divisione della regione. Potrebbe verificarsi - questo dicono gli analisti di Putin - una catastrofe geopolitica perchè dividendo quel paese l’Europa, con le sue proprie mani, potrebbe dar vita ad un altro stato mussulmano, il Kosovo albanese appunto. Uno stato illegittimo e criminale da organizzare sul 15 % del territorio serbo.
Ma la Russia alza anche il tiro su questioni politico-diplomatiche di natura strategica. Escono nuove ed importanti affermazioni “ufficiali” che contribuiscono a rendere chiari molti aspetti della diplomazia della nuova Russia di Putin. Sono “tesi” che sconvolgono pagine di storia recente e che riportiamo per dovere di cronaca. Le riprendiamo letteralmente dalla radio di Mosca.
Seguiamo la registrazione: “Nel Kosovo gli americani hanno una gigantesca base militare che si estende per una trentina di ettari, ed è la più grande mai costruita dai tempi del Vietnam. Una base che dovrebbe servire a coprire le retrovie di una nuova espansione. Ecco, quindi, che c’è da chiedersi se non sarà stata questa la colpa dell’ex Jugoslavia? L’essersi rifiutata di concedere ospitalità alla Nato nella sua espansione ad Est.? E non è per questo obiettivo che viene potenziata la base americana di Vicenza? Ma un altro peccato della Jugoslavia - continua l’emittente del Cremlino - era rappresentato dalla sua posizione geografica. Un paese attraversato dal Danubio, il più importante fiume europeo al di fuori della Russia. Una via diretta e a basso costo per il trasporto di petrolio e gas dal Caspio e dal Caucaso che americani e Ue vorrebbero tenere sotto controllo, tanto più che i due terzi del petrolio mondiale si trova nel Caspio. Aggiungiamo le ricchezze naturali del Kosovo e le miniere di piombo e zinco valutate intorno ai 5 miliardi di dollari”.
”Ma cambiamo argomento - continua sempre la radio di Mosca - e chiediamoci perchè è aumentata a dismisura la droga nell’Afghanistan (occupa il primo posto nel mondo) proprio quando vi sono arrivati i consiglieri militari americani ed europei. E’ semplice: il Kosovo si è trasformato nella roccaforte della droga in Europa. E in Afghanistan e in Kosovo tutte le infrastrutture, fra cui quelle aeroportuali, sono controllate dagli americani. Una filiera di trasporto al sicuro da incidenti e da imprevisti. Inutile dire che proprio la droga rappresenta la fonte primaria per il finanziamento del terrorismo. In questo contesto si spiega meglio quanto scritto dal Global research. E’ giunto il momento di ammettere che gli americani non pensano ai mussulmani kosovari o che Belgrado sia stata bombardata per liberarla da Milosevic. Queste sono mezze verità: una disinformazione o una totale menzogna. Agli americani interessano soltanto le basi e il petrolio. Allora si capisce perchè Bush e Condoleeza Rice continuano a ripetere: “Noi vogliamo l’indipendenza del Kosovo e l’otterremo in ogni caso”.
Per Mosca, quindi, l’America è sempre quella dell’arroganza al potere con modelli export di democrazia e libertà che vanno considerati come “cavalli di Troia”: vecchie talpe che scavano per far crollare quei paesi che gli Usa ritengono aree di interesse vitale. Il loro interesse.