In tre anni si sono suicidati sei dipendenti della centrale nucleare EDF di Chinon, in Francia. Il Paese transalpino si interroga su questa inquietante serie di suicidi a catena. L'ultimo suicidio, ha portato alla ribalta a livello nazionale il caso. Lavoratori che si sono dati la morte, appartenenti a categorie diverse, che vanno dal tecnico Dominique Peutevinck, fino ad un quadro 50enne, con un incarico di alta responsabilità nella conduzione del reattore. È stato proprio il suicidio del quadro, avvenuto il 27 febbraio scorso, a far riaprire il caso del suicidio di Peutevinck, risalente all'agosto 2004. Per lui, il Tribunale degli Affari di sicurezza sociale di Tours, al termine di una causa che vede contrapposta la famiglia del defunto alla EDF, ha deliberato che l'atto suicida vada considerato come risultante di una malattia professionale. EDF ha già fatto ricorso contro tale sentenza. Fatto sta, che quasi tutti i lavoratori suicidi hanno compiuto il loro gesto estremo dentro la centrale, sul luogo di lavoro.
Il direttore generale di EDF, Pierre Gadonneix, da Parigi, si è dato molto da fare, negli ultimi mesi, a organizzare missioni e incontri tra dirigenti, sindacati e lavoratori, cercando di comprendere il fenomeno. Diversamente dalla direzione generale, il giovane e dinamico direttore dell'impianto di Chinon, Eric Macourt, si è affrettato a minimizzare la catena di suicidi, dichiarando più volte che si tratta di "casi personali", slegati dalla situazione lavorativa. In realtà, sia i servizi di medicina del lavoro sia i rappresentanti sindacali, hanno a più riprese, negli ultimi anni, lanciato allarmi rimasti inascoltati fino al marzo scorso. Allarmi che riguardano sia il sovraccarico di lavoro che grava su ciascuno dei 1300 dipendenti, sia delle "difficoltà morali" espresse dai lavoratori.
Ma di quali difficoltà, di quali mali soffrirebbero i lavoratori del comparto nucleare francese? "Chi lavora attualmente a Chinon, e più in generale nel comparto nucleare francese, è esposto a vari tipi di sofferenza professionale, e anche etica", dice il dottor Dominique Huez, il più attivo dei quattro medici che operano presso la centrale. Il dottor Huez, prima nel maggio 2003 e poi nel marzo 2004, aveva diagnosticato a Dominique Peutevinck una forma di "depressione professionale". Poi, sempre nel 2004, aveva indirizzato alla direzione dell'impianto un "allarme di rischio psicosociale", riguardante il reparto dove lavorava il tecnico, poi suicidatosi.
"Nell'impianto", continua il medico, "c'è una situazione di estremo degrado professionale, che abbiamo annunciato fin dal 2001, con il 45,8% di lavoratori in stato di sofferenza professionale". Ma di quali "sofferenze" si tratta? Anche su questo punto, il medico non esita ad alzare la voce: "Il carico di lavoro è in perenne aumento, non ci sono nuove assunzioni mentre aumenta il quantitativo di energia prodotta nella centrale. I turni sono massacranti, si unisca questo a una mancanza di riconoscimenti, non solo economici, ma anche umani, e si capirà che spesso i dipendenti dell'impianto si sentono vittime di un'ingiustizia."
Il sindacato rincara la dose, come racconta Michel Lallier, rappresentante della CGT, c'è, ad esempio, l'incredulità e l'incomprensione di fronte alla decisione del gruppo EDF di avere un solo magazzino nazionale per i pezzi di ricambio dei reattori, il che rallenta le operazioni di lavoro, e spesso un intervento, anche "di emergenza", dura più giorni, in attesa dell'arrivo dei pezzi di ricambio. Il tutto in una centrale nucleare, quindi con una grossa responsabilità sulle spalle dei lavoratori, in caso di incidente, e non ci si può permettere errori.
In un impianto come quello di Chinon, il rischio pesa di più che in altri settori lavorativi, ogni dipendente si sente personalmente responsabile, e probabilmente non è un caso se, come ricorda il dottor Huez, "la pressione psicologica è così altra che sono stati i lavoratori più coscienziosi, ad essere le prime vittime dei sucidi nella centrale." "Con un nodo nel ventre la domenica sera", racconta un tecnico, "come un uovo in bilico su un tavolo, alla lunga è frustrante". "Lavoro nell'impianto da 30 anni", dice ancora Michel Lallier, "e vedo arrivare alle assemblee sindacali lavoratori 50enni... che non ho mai conosciuto: viviamo e lavoriamo divisi, in solitudine, senza poterci aiutare tra noi, tra i vari reparti." In risposta, dal 2006, la direzione ha ingaggiato un'equipe esterna di psicologi, un rimedio che non convince affatto i sindacati.
Lo scorso aprile, il quotidiano francese Le Monde ha dedicato ampio spazio a un'intervista alla sociologa Annie Thébaud-Mony, specializzata in questione riguardanti la salute del lavoro. Secondo la sociologa, "Il nucleare è un'industria pericolosa per i suoi stessi lavoratori, principalmente per il rischio dell'esposizione alle radiazioni. Da circa 20 anni, il problema è stato risolto da EDF appaltando alcune operazioni di manutenzione a delle ditte esterne, che funzionano secondo il principio del lavoro a dose: quando un lavoratore raggiunge il limite massimo di radioattività ammessa dalla legge, viene sostituito. Molti lavoratori sono quindi precari, con timori per il loro salario. Il tutto viene fatto accettare loro per un motivo specifico: la sicurezza nucleare. Questo fino a tutti gli anni ’80, cioè prima dell’inizio delle privatizzazioni e dei subappalti ad aziende esterne, non succedeva".
È una delle contraddizioni della Francia di oggi. Da un lato, viene rappresentata pubblicamente un'industria nucleare sicura, senza falle, senza incidenti. Dall'altro, chi vive quotidianamente in quell'industria, ed è addetto all'efficienza e alla manutenzione, ha un lavoro fragile, con responsabilità elevatissima, con forte rischio personale, e spesso con poche relazioni sociali sul posto di lavoro. I tecnici delle centrali nucleari francesi sanno che se commettono un errore può accadere una catastrofe. Eppure devono sempre correre per produrre di più, e se c'è qualcosa che non va devono sostanzialmente vedersela da soli.
Intanto, anche altri settori del mondo del lavoro francese non risultano più immuni dal fenomeno. Quattro suicidi in quattro mesi al Technocentre Renault a Guyancourt, un centro di ricerca sulla produzione automobilistica. Mentre presso la Peugeot-Citroën di Mulhouse ci sono stati quattro suicidi in appena 15 giorni, a cavallo tra l'aprile e il maggio scorsi. Tutti i lavoratori suicidatisi erano di età compresa tra 30 e 40 anni, assunti con contratto a tempo indeterminato. Sempre in Peugeot-Citroën, in febbraio, c'era stato un altro suicidio, ma in quel caso il lavoratore aveva lasciato una lettera nella quale ha parlato delle sue condizioni di lavoro. In attesa di statistiche ufficiali che finora non esistono, restano i nomi dei morti.