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Categoria: Esteri
di Daniele John Angrisani

Negli ultimi mesi più volte sono riecheggiati toni da guerra fredda. L'uso politico dell'arma energetica da parte del Cremlino, la preoccupante situazione dei diritti umani e della democrazia in Russia, la decisione americana di impiantare uno scudo spaziale nel cuore dell'Europa e la decisione russa di ritirarsi più o meno definitivamente dal trattato Cfe, hanno riportato alla mente tensioni che molti di noi speravano essere seppellite nella storia del Novecento. È curioso però notare che tra tutte le materie di scontro che in questo momento dividono la Russia dall'Occidente, manca una, forse la più importante: il genocidio in atto in Cecenia dal 1999, di cui l'Occidente sembra aver completamente dimenticato l'esistenza. Lungi dall'essere una terra pacificata, come vorrebbe far credere la propaganda del Cremlino, la Cecenia attuale è infatti una terra degli orrori, dove torture, sparizioni, uccisioni indiscriminate e attacchi terroristi, sono ancora all'ordine del giorno. Il regime di Ramzan Kadyrov, uomo forte della Cecenia imposto dal Cremlino, si basa infatti sul terrore diffuso e sul culto della personalità del suo leader. Lo stesso Ramzan Kadyrov, in una intervista di qualche mese fa al quotidiano russo Kommersant, è stato molto chiaro sul suo credo politico: "Putin è un dono di Dio, dovrebbe essere presidente a vita", ha affermato il leader ceceno filo-russo, aggiungendo che "la democrazia è una invenzione dell'America, la Russia non ha bisogno della democrazia, ma di un uomo forte". E da uomo forte sprezzante della democrazia, lo stesso Kadyrov si è sempre comportato da quando è assunto al potere, dopo la morte del padre Akhmad Kadyrov, primo proconsole di Mosca nella Cecenia "pacificata" di Putin, e dopo l'interregno di Alu Akhlanov. Il pugno di ferro, da lui praticato, ha reso praticamente impossibile qualsiasi tentativo di opposizione in Cecenia e chiunque fosse anche solo sospettato di legami con i gruppi militanti indipendentisti, rischia di essere passato per le armi in assoluta impunità, o di finire nelle carceri private dello stesso Kadyrov. Una esperienza da non augurare a nessuno. Per chiarire ancora di più la questione, come ha affermato lo stesso Kadyrov nella intervista già citata: "Opposizione? Di cosa si tratta?"

Mentre nelle strade della capitale Grozny, tra le rovine che sono testimonianza della ferocia della guerra e i palazzi in ricostruzione, si possono trovare giganteschi poster con la faccia del presidente Kadyrov, in una sorta di Grande Fratello di orwelliana memoria, i ceceni "normali" si affannano, in qualche modo, a portare avanti la propria vita. Capita spesso però che, per motivi anche veniali, propri parenti o amici, vengano sequestrati dalle milizie kadyroviane, oppure da formazioni paramilitari russe, e riconsegnati solo dopo il pagamento di cospicui riscatti. Così come che gruppi di militari russi, spesso ubriachi fradici, organizzino delle cosiddette "zaciskas", delle specie di spedizioni punitive che finiscono inevitabilmente con stupri, uccisioni indiscriminate e pestaggi delle vittime. Il tutto, ovviamente, con garanzia di assoluta impunità da parte delle autorità cecene filo-russe, che si guardano bene dal perseguire chiunque faccia la sua parte per partecipare al clima di terrore sul quale si basa il regime di Kadyrov.

Anche le poche Ong che agiscono in Cecenia sono state sottoposte a forti restrizioni. E' proprio notizia degli ultimi giorni un ultimatum imposto da Kadyrov a queste ONG: registratevi e aprite uffici a Grozny, altrimenti vi toglieremo la possibilità di lavorare in Cecenia. Ufficialmente è per garantire la sicurezza dei dipendenti delle ONG e creare nuovi posti di lavoro nella capitale cecena, ma secondo i difensori dei diritti umani è l'ennesima scusa da parte delle autorità cecene per controllare il lavoro delle ONG, che spesso sono le uniche organizzazioni capaci di raccontare in maniera indipendente ciò che sta accadendo in Cecenia.

È anche per la mancanza di qualsiasi reale alternativa al regime sanguinario di Kadyrov, che spesso per i giovani ceceni vi è una sola alternativa: prendere le armi ed associarsi ai gruppi militanti nelle montagne inaccessibili a sud del Paese. Militanza, bisogna però dire, che risulta essere piuttosto disorganizzata e spesso sconfinante in vero e proprio banditismo.

Infatti, dopo quasi 8 anni di guerriglia ininterrotta, della eroica resistenza cecena che aveva sconfitto i russi nella prima guerra cecena nel 1996, vi è rimasto ben poco. Gli scontri intestini, le influenze di potenze esterne (soprattutto islamiche) e la ferocia delle truppe e dei servizi segreti di Mosca, hanno fatto in modo che quasi tutta la classe dirigente cecena sia stata eliminata negli ultimi anni. A ben vedere, il loro declino è stato speculare all'ascesa al potere dell'attuale presidente russo. Dopo le misteriose esplosioni in alcuni appartamenti di Buynaksk, Mosca e Volgodonsk nel settembre 1999, per le quali era stata data la colpa ai terroristi ceceni, l'allora semisconosciuto Primo ministro russo, Vladimir Putin, aveva affermato letteralmente dinanzi alle telecamere della tv russa: "I terroristi li prenderemo a tutti i costi, fin dentro al cesso". Questa frase, poi divenuta storica, è considerata da molti come l'inizio della sua folgorante carriera politica.

Sull'effettiva colpevolezza dei guerriglieri ceceni riguardo gli attentati del 1999 molti ancora dubitano. Aleksander Litvinenko, prima di essere brutalmente ucciso con il polonio 210 nel pieno centro di Londra, aveva scritto un libro, "La Russia salta in Aria: Terrore dall'Interno", in cui accusava l'Fsb, i servizi segreti di cui Putin era a capo, prima di diventare Primo ministro, di aver organizzato gli attentati. L'obiettivo, riuscito, sarebbe stato quello di permettere allo stesso Putin di diventare presidente, facendo leva sul terrore della popolazione.

Tale tesi verrebbe suffragata dal cosiddetto "Incidente di Ryazan": la sera del 22 settembre 1999, un abitante di un edificio della città di Ryazan, aveva notato degli sconosciuti muovere dei sacchi, apparentemente pieni di zucchero, da un auto nei sotterranei del palazzo. Subito aveva chiamato la polizia ed i primi test avevano confermato la presenza di esplosivi. Dai controlli effettuati dalla polizia sui telefoni dei presunti terroristi, era però apparso chiaro che uno di questi in realtà apparteneva ad un ufficio dell'FSB di Mosca. Una volta reso pubblico questo particolare, l'FSB si era trovato costretto a difendersi, affermando che si trattava solo di una esercitazione. Ma i dubbi permangono tuttora.

In ogni caso, anche grazie all'ondata di orrore suscitata nei cittadini russi da questi attacchi terroristici, Vladimir Putin era diventato talmente popolare tra i russi che Boris Eltsin, dimessosi il 31 dicembre 1999 a causa della sua malattia, lo aveva nominato presidente ad interim. Appena ottenuta la presidenza, Putin ha subito fatto capire di voler far seguire i fatti alle parole. La sua prima azione da presidente ad interim è stata infatti quella di convocare i vertici militari al Cremlino e consegnare loro, in piena tradizione zarista, un coltello affilato, immagine ripresa dalle televisioni di tutto il mondo: Vladimir Putin aveva così dato carta bianca ai militari per risolvere il problema ceceno una volta e per tutte. Vediamo ora come lo stesso presidente russo ha deciso di mantenere la sua promessa riguardo ai "terroristi ceceni".

Zelimkhan Yandarbiyev, primo presidente della Cecenia liberata dai russi nel 1996, è stato ucciso da agenti dei servizi segreti di Mosca in Qatar il 13 febbraio 2004. Per questo crimine, le autorità del Qatar hanno arrestato due cittadini russi, che alla fine di un processo farsa segnato da parzialità e torture, sono stati condannati all'ergastolo. Dopo uno scontro diplomatico con Mosca, le autorità del Qatar alla fine hanno deciso di consegnare i due russi alle autorità del proprio Paese, con la promessa che avrebbero scontato la propria condanna nelle carceri russe. Ma una volta atterrati a Mosca, salutati come eroi dalle autorità russe, di loro non si è saputo più nulla.

Aslan Maskhadov, successore di Yandarbiyev e primo presidente democraticamente eletto della Cecenia, dopo aver gestito la resistenza dalle montagne a sud della Cecenia e cercato più volte di intavolare trattative con Mosca, si è ucciso l'8 marzo 2005, per non cadere vivo nelle mani dei servizi segreti russi che lo avevano accerchiato. Mashadov temeva, probabilmente a ragione, di fare la fine di Salman Raduyev, leggendario capo guerrigliero ceceno, catturato dai russi nel 2000 nella sua casa di Vympel, condannato nel dicembre 2001 all'ergastolo per attività terrorista dopo un processo farsa e poi trovato morto l'anno seguente, il 14 dicembre 2002, nella colonia penale di Solikamsk. L'autopsia ha dichiarato che ufficialmente la sua morte è avvenuta per "emorraggia interna", eufemismo usato spesso per far capire che qualcuno è stato picchiato a morte in carcere.

Il successore di Mashkadov, Abdul-Halim Abu-Salamovich Sadulayev, è stato invece ucciso il 17 giugno 2006 ad Argun, in una battaglia tra i militanti e le forze dell'FSB. Il suo corpo è stato poi portato a Tsentoroi ed esposto come trofeo di guerra, nella città natale di Kadyrov, il quale ha affermato poco dopo la sua morte che "le forze ribelli non si riprenderanno mai dal colpo decisivo che hanno subito con la morte di Sadulayev". Anche Shamil Basayev e Ibn Al-Khattab, i più estremisti tra i capi della guerriglia cecena, sono stati ammazzati dalle truppe russe. In particolare il primo è morto a seguito delle ferite, dopo lo scoppio di un camion di rifornimenti ad Ekazhevo, nella vicina Inguscezia, il 10 luglio 2006.

Shamil Basayev era considerato dall'Fsb come la mente delle azioni più sanguinarie compiute della guerriglia cecena: in particolare, il terribile sequestro dei bambini alla scuola elementare di Beslan, finito nel sangue dei sequestrati e dei sequestratori dopo l'assalto delle truppe speciali russe. Su quella operazione, ancora oggi si sa ben poco. Un filmato di cui è venuto in possesso alcuni giorni fa l'"Associazione delle Madri di Beslan", mostrerebbe che, a differenza della versione ufficiale, le esplosioni all'interno della scuola, che avrebbero causato la gran parte dei morti, sarebbero da attribuire in realtà alle truppe russe e non ai sequestratori ceceni. La tragedia di Beslan è stata comunque usata da Putin come valida scusa per poter eliminare definitivamente l'elezione popolare dei governatori, gli unici in grado, potenzialmente di sfidare il Cremlino: nella migliore tradizione zarista, finalmente la "verticale del potere" russo è stata ripristinata.

L'ultimo grande episodio che ha visto in azione la guerriglia è stato l'attacco compiuto contro Nalchik, una città della Kabardino-Balkaria che conta circa 250.000 abitanti, nell'ottobre 2005. Secondo fonti locali più di 100 persone sono morte durante gli scontri, incluso 14 civili, e molti altri sono stati feriti. Nelle settimane successive al ritiro dei miliziani, le forze russe hanno provveduto ad arresti di massa nel circondario e sono riportati diversi casi di persone torturate o scomparse nel nulla. Da allora, della resistenza si segnalano solo casi sporadici di scontri a fuoco con le truppe russe ed attacchi mirati.

Il successore di Sadulayev, Doku Umarov, manca, secondo molti, del carisma e dell'autorità dei suoi predecessori, ovvero proprio di quelle qualità che servirebbero oggi per ridare fiducia e nuova linfa ad una resistenza ormai allo stremo delle forze. Il risultato è che oggi non sembra esserci nessuno che sia in grado, anche solo di scalfire, il potere di Ramzan Kadyrov in Cecenia. Almeno fin quando il Cremlino sarà dalla sua parte.

Sia a Grozny che sulle rive della Moscova, tutti coloro che contano pendono ora più che mai dalle labbra di Vladimir Putin. Sarà lui a decidere, alla fine, chi dovrà essere il suo successore e da questa decisione dipenderà il futuro, non solo politico, di molti personaggi che in questi anni hanno fatto carriera all'ombra del Cremlino. Ramzan Kadyrov è tra questi. Come tante altre volte nella storia, saranno quindi altri, e non il popolo ceceno, a decidere del suo futuro. Nell'attesa, in mezzo all'assordante silenzio dell'ipocrisia internazionale, la Cecenia, tra una "zaciska" e l'altra, continua la sua lenta agonia senza che nessuno muova un dito per salvarla.