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di mazzetta

Il generale Musharraf negli ultimi tempi è un po’ in difficoltà e ad aiutarlo sono arrivati alcuni fini strateghi americani, “illuminati” sulla strategia da seguire nienttoemeno che dalla famiglia reale saudita. La distruzione della Moschea Rossa sembra aver determinato lo stato di guerra tra l'esercito pachistano controllato dal dittatore e le numerose formazioni d'ispirazione islamica nel paese. Da allora si sono succeduti numerosi attacchi ad obbiettivi militari, in un bagno di sangue che ha pochi precedenti nella storia del Pakistan. Più dell'insorgere islamista a vendicare le vittime dell'assalto alla moschea, più ancora dell'aspro confronto con il chief of justice Chaudry; a preoccupare è una crisi generale del paese che, nonostante la crescita del PIL, esclude gran parte dei cittadini dall'istruzione e dalla partecipazione al godimento del reddito nazionale. Il Pakistan è ancora oggi un paese saldamente nelle mani dell'esercito, un esercito che ha una propria agenda, propri interessi economici e una lunga storia di proficui rapporti con la famiglia reale saudita e la famiglia Bush. Quando, in seguito agli attentati del 9/11, gli USA invitarono Musharraf ad arruolarsi nella “war on terror” minacciando in caso contrario di “riportare il Pakistan all'età della pietra” (così almeno ha riferito Musharraf nella sua ultima fatica letteraria), l'esercito pachistano aderì con entusiasmo, salvo proseguire sottotraccia nel sostenere e guidare i Talebani in Afghanistan. Dopo sei anni i risultati sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto di Bush, e non sono per niente soddisfacenti. Nelle regioni del North e South Waziristan gli islamisti “stranieri” hanno resistito a quattro campagne militari, che hanno peraltro avuto anche la conseguenza di minare la credibilità degli anziani leader tribali fino a determinarne l'estinzione fisica, alla quale è seguita la costituzione di un autoproclamato emirato. Nelle regioni frontaliere i talebani circolano liberamente, con grande soddisfazione delle casse dei militari pachistani che trafficano in armi e droga. Molto meno soddisfatti sono il presidente afgano Karzai e quello americano Bush, che devono rispondere del disastro che coinvolge la campagna afgana. Ecco allora che l'esigenza di fare qualcosa, senza avere chiaro cosa, ha portato il Dipartimento di Stato a buttare nel pentolone quello che c'era a portata di mano e a rimescolare un po'.

Il risultato del brainstorming tra sauditi ed americani ha portato al riciclaggio di Benhazir Bhutto. La Bhutto vive da anni in (dorato) esilio, perchè durante i suoi due mandati da premier la sua famiglia aveva approfittato un po’troppo delle casse pubbliche del Pakistan. Dall'esilio la Bhutto si propone da anni come “risorsa democratica” per un paese controllato dai militari, con lei fino a poco tempo fa c'era anche Nawaz Sharif, ultimo premier pachistano in ordine di tempo ad essere stato sostituito con un golpe.

I due sono del tutto impresentabili, ma soprattutto inelegibili, visto che la costituzione pachistana prevede il limite dei due mandati. Entrambi hanno inoltre pesanti conti in sospeso con la giustizia del loro paese, per via delle libertà che si sono presi nell'implementare i patrimoni familiari. Entrambi sono sfuggiti alla condanna (probabilmente capitale) in virtù di accordi con i quali si davano ad almeno all'esilio dal Pakistan in cambio del non luogo a procedere. Accordi che una recente pronuncia del Chief of Justice Chaudry ha definito nulli, in quanto siglati con un'autorità priva di legittimità.

Sharif e Bhutto ultimamente avevano dato un ultimatum, scadente a luglio a Musharraf, avrebbe dovuto lasciare la divisa e indire elezioni; ultimatum ignorato. La strana coppia di leader si è sciolta non appena sauditi ed americani hanno contattato la Bhutto con un'idea meravigliosa. I dettagli dell'idea sono stati discussi con dovizia di particolari dalla stampa internazionale, ma il riassunto è che Musharraf dovrebbe lasciare la divisa, andare ad elezioni e divenire presidente del Pakistan, mentre la Bhutto sarebbe il nuovo primo ministro. Per realizzare il piano il partito della Bhutto supporterebbe la candidatura del generale, il quale si impegnerebbe a rimuovere il limite dei due mandati.

I frenetici contatti tra gli emissari dei due non hanno ancora portato ad alcun annuncio ufficiale, ma i lavori sembrano a buon punto. A rimanerci male è stato prima di tutti Nawaz Sharif, che si è visto tagliato fuori dai giochi e ha provato il gesto clamoroso. Sharif è sbarcato in Pakistan preceduto dall'annuncio che, forte della pronuncia di Chaudry, intendeva riprendere l'attività politica in patria, cominciando cun un rally nazionale tra le principali città.

La cosa non è piaciuta a nessuno degli altri protagonisti della vicenda. I supporter di Sharif, scesi in piazza con entusiasmo, sono stati duramente malmenati ed arrestati ovunque, Sharif è stato rispedito al mittente poche ore dopo aver toccato il suolo pachistano. Ad attenderlo c'erano il leader libanese Saad Hariri e il principe saudita Muqrin bin Abdul Aziz. Il principe ha invitato Sharif a rispettare l'accordo per l'esilio e la parola data al re saudita (garante dell'accordo), ma a convincere Sharif sono stati gli ufficiali pachistani presenti, i quali hanno fatto presente al riottoso che, se da un lato la pronuncia di Chaudry invalidava l'accordo dal punto di vista legale, allo stesso modo rivitalizzava i procedimenti che avrebbero portato lo stesso Sharif in carcere. Sharif è quindi volato in Arabia Saudita

Finita l'avventura di Sharif è stata la volta della Bhutto ad annunciare il ritorno a casa. Secondo il suo partito (PPP) l'atteso rientro dovrebbe verificarsi il 18 ottobre, data per la quale la Bhutto ha anche chiesto il permesso di importare un veicolo blindato per i suoi spostamenti; tre giorni dopo le elezioni presidenziali. Il problema resta il consenso di Musharraf e dell'esercito, che non è ancora esplicito e tantomento da dare per scontato, nonostante le pressioni americane. Ad unire i due ci sarebbe solo la lotta contro gli estremismi e l'interesse per il potere, per il resto è mistero.

Il problema degli americani è che hanno bisogno di qualcuno che collabori e quindi non possono rivolgersi ad altri leader pachistani (su tutti Imra Kahn) per tentare di diluire il potere di Musharraf. Da qui scelta della Bhutto, con la quale in passato c'era stato un buon feeling, anche perchè Sharif è un po' troppo islamico per dare garanzie in questo senso. Infatti appena fallito il rientro si è alleato pubblicamente con i partiti “talebani”.

L'altro problema degli americani, forse il principale, è che la soluzione che chiama in causa la Bhutto non sarà in grado di spostare di una virgola la determinazione dell'esercito pachistano nel perseguire la propria agenda, che da tempo si è capito essere ostile agli interessi americani. Già ai tempi della sua destituzione la Bhutto si dimostrò incapace del minimo controllo sulle attività dei militari, non appena gli americani la sollecitarono ad interrompere il programma di arricchimento dell'uranio ad uso militare e lei manifestò questa intenzione, i militari la destituirono e dovette fuggire dal paese.

Il piano saudita fatto proprio da Bush sembra perfetto per cambiare qualcosa affinchè nulla cambi. Il Dipartimento di Stato comunque nega qualsiasi coinvolgimento e afferma che gli USA non ingeriscono negli affari pachistani e non supportano candidati. Musharraf andrà alle elezioni e immediatamente dopo affronterà il ritorno della Bhutto, ma l'unica alternativa a Musharraf sembra essere ancora Musharraf.