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Categoria: Esteri
di Eugenio Roscini Vitali

Il 9 settembre scorso, a Baghdad, il contrammiraglio statunitense Mark Fox ha annunciato che l'ideatore dell’attentato compiuto nel nord dell'Iraq il 14 agosto 2007, nel quale erano morte 400 persone, era rimasto ucciso la settimana precedente in un bombardamento sferrato da un aereo della coalizione. Le vittime di quel sanguinoso atto terroristico, compiuto con quattro camion-bomba esplosi simultaneamente nei villaggi di Al Khataniyah e di Al Adnaniyah, nella provincia di Niniveh, erano tutti curdi-iracheni appartenenti alla setta religiosa yazidi. Dall’inizio del conflitto (marzo 2003), la piccola comunità yazidi è stata colpita numerose volte dalla furia omicida del terrorismo islamico ma in seguito al devastante attacco del 14 agosto i membri del gruppo sono stati costretti a chiedere la protezione del governo. Una situazione di costante pericolo che il portavoce dell’Associazione yazidi per la pace, Hebert Yegorova, definisce inaccettabile, soprattutto se si pensa alle discriminazioni subite e alla condizione di isolamento nella quale sono costretti a vivere gli yazidi. Pochi mesi prima di quest’ultimo atto terroristico, il gruppo avevano subito un altro barbaro attacco. Nel mese di aprile, nei pressi di Mosul, un uomo armato si era impadronito di un autobus di lavoratori tessili diretti a Bashika; dopo aver fatto scendere tutti gli uomini di fede cristiana e musulmana, il terrorista aveva giustiziato i 23 individui rimasti a bordo del mezzo, tutti curdi-iracheni appartenenti alla setta yazidi. Dall’inizio dell’invasione Americana sono morti più di 600 yazidi, niente in confronto agli oltre 70 mila iracheni rimasti uccisi negli ultimi quattro anni di guerra ma una percentuale rilevante se si considera l’esiguo numero di seguaci, non più di 700 mila in tutto il mondo.

Quali sono le ragioni che hanno portato ad una profonda avversione per un gruppo che ha scelto la strada dell’isolamento? La risposta è nelle origini dello yazidismo, nel difficile rapporto di convivenza con le altre religioni e nella figura del male che viene associata alla loro mitologica divinità, una figura angelica che i musulmani e diversi rami dei cristiani considerano essere il diavolo.

Secondo alcune stime, gli yazidi rimasti oggi in Iraq sono circa 400 mila, la maggior parte dei quali vive concentrata nelle città di Bashika e Sinjar, sotto il controllo del governo regionale curdo. Altri piccoli gruppi vivono sparsi nell’Iraq settentrionale mentre una piccola comunità risiede ancora a Baghdad. In numero minore, gli yazidi sono presenti anche in Siria, Turchia, Iran, Georgia, Armenia, Russia e Germania, dove si sono rifugiati in 30 mila.

Lo yazidismo è nato in Asia più di quattromila anni fa; in esso sono confluiti elementi di altre religioni come giudaismo cabalistico, cristianesimo mazdeo e il misticismo islamico. Da dopo l'avvento dell'Islam gli yazidi sono stati spesso vittime di accanite repressioni; odiati dai musulmani perché non sono mai riusciti a convertirli, sono considerati dagli arabi più radicali come una vera calamità. I wahhabiti gli hanno dato la caccia perché apostati; i sunniti li giudicano adoratori del diavolo, teoria che nasce dal fatto che gli Yazidi venerano la figura di Malak Taus, un angelo dalle sembianze di un pavone caduto in disgrazia. In alcune zone la comunità religiosa yazidi sta praticamente scomparendo; basti pensare che negli ultimi 40 anni,nel villaggio turco di Diyarbakir, i seguaci sono scesi 80 mila a meno di 400.

Dietro all’odio di tipo religioso si nascondo però anche motivazioni meno retoriche. La città yazidica di Mosul è stata per secoli al centro di aspre lotte che hanno visto di fronte i persiani e gli ottomani. Ai piedi delle montagne del Kurdistan, Mosul era un punto di grande importanza strategica per le carovane che dall’Asia trasportavano le merci in Siria e verso le coste del Mediterraneo. Nel 1892, gli yazidi rischiarono l’estinzione per mano degli ottomani che, penetrati nella valle di Lalish, massacrarono migliaia di abitanti. La loro sorte non è cambiata neanche durante il regime di Saddam Hussein che, nonostante li avesse assimilati alle popolazioni arabe per alterare gli equilibri demografici del Kurdistan, ha continuato ad emarginarli.

Gli yazidi si ritengono gli unici veri discendenti di Adamo e credono in un dio ancestrale che ha creato l'universo ma che non interagisce con la vita degli uomini. Melek Ta'us è invece un'entità attiva, la cui adorazione deriverebbe da un antico culto pre-islamico, riformato intorno alla metà del XII secolo dal maestro Adi Ibn Mustafa. Le sacre scritture contenute nel Libro della Rivelazione e nel Libro Nero associano Melek Ta'us a Lucifero e lo descrivono come un angelo benigno dalle sembianze di un pavone, che resosi conto della propria colpa, diventa la forza ordinatrice e creatrice del cosmo e della materia.

Dopo il suo pentimento l’angelo piange per settemila anni e le sue lacrime riempiono sette vasi con i quali spegne il fuoco dell’inferno. I musulmani associano invece a Melek Ta'us (Lucifero) l’immagine di Shaytan (Satana), il diavolo che corrompe gli uomini per allontanarli da Allah. Proprio a causa di tale interpretazione, gli yazidi sono stati a lungo perseguitati con l'accusa di adorare l’immagine del diavolo.

Secoli di angherie ed ingiustizie hanno costretto i membri della comunità all’isolamento, rendendoli sospettosi e diffidenti al punto tale che la preghiera che si effettua due volte al giorno non può essere recitata in presenza di persone estranee al culto. Gli yazidi non accettano le conversioni e i matrimoni interreligiosi che puniscono con l'espulsione dalla comunità e, in alcuni casi, con la violenza fisica portata alle estreme conseguenze, come il recente caso di una ragazza uccisa mediante lapidazione perché colpevole di essersi convertita all’Islam per poter sposare un ragazzo musulmano.

Secondo alcuni esperti, questa barbaro omicidio sarebbe stato la causa scatenante della strage di aprile, una vendetta indiretta che suona come una sorta di punizione, una scusa per rilanciare l’ondata xenofoba contro la comunità yazidi e che era stata annunciata dalle minacce degli estremisti sunniti con un messaggio nel quale avevano annunciato l’inizio di una lunga serie di attacchi.

Nonostante Sinjar rappresenti una importante via di collegamento che unisce l’area di Mosul alla minoranza curda che vive nella Siria settentrionale, la comunità yazidi continua a soffrire la totale indifferenza del governo regionale curdo, impegnato sul fronte del referendum su Kirkuk che dovrà stabilire la normalizzazione della situazione nella contesa provincia irachena.

Ricordati soli in eventi tragici come l’attentato del 14 agosto, gli yazidi continuano a non godere degli stesi diritti di cui gode il resto della popolazione del Kurdistan iracheno e alle richieste degli abitanti di Sinjar e Bashika, che denunciano la mancanza di servizi, di scuole e di protezione contro le minacce degli integralisti, la comunità internazionale risponde con vacue promesse. Un destino crudele che continua ad essere legato alla triste sorte del dio pavone, figura centrale per la religione degli yazidi e al quale si affidano per la loro salvezza.