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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

Nell’Estremo oriente russo sono già presenti in massa. Lavorano nei campi e nei boschi. Trafficano nei mercati di Kabarovsk e di Vladivostock. Hanno invaso città come Irkutsk, Omsk, Tjumen, Tobolsk, Ulan Udè, Novosibirsk. Sono i cinesi che approfittano delle buone relazioni tra Pechino e Mosca per cercare il loro “posto al sole” nelle sconfinate lande siberiane. Ma ora puntano sulla capitale scegliendo le rive della Moscova come obiettivo finale della loro penetrazione silenziosa e pacifica. Ed eccoli accanto al Cremlino. Sono già in 500.000 secondo i dati ufficiali. Di loro un 40% lavorano nei mercati (in quello di Cerkisovo le loro bancarelle offrono bigiotteria classica con un giro di 15milioni di dollari l’anno), un 20% operano nel settore dei servizi (ristoranti e negozi). Tutti gli altri sfuggono ai pur severi controlli di polizia e sono, per lo più, collegati al mondo criminale. Quanto alle condizioni di vita gli organismi della Mosca ufficiale non riescono a dare risposte precise. I cinesi vivono in zone “grigie” e sfuggono ad ogni controllo: si nascondono e, di volta in volta, scompaiono. Vivono comunque in pessime condizioni: in 10-15 in una stanza di quei “casermoni” della più lontana periferia. Si sa che lavorano 12-13 ore al giorno e che a fine mese portano a casa circa 300 dollari. E più della metà li spediscono in patria… Ora però scatta una grande operazione che è destinata, in parte, a portare “il problema cinese” entro una certa normalità. Perché il comune di Mosca decide di costruire una vera e propria “China town” e convoca attorno a questo progetto sociologi, economisti, architetti, urbanisti. L’idea portante consiste nel creare un intero rione tutto cinese. Ma non sarà un ghetto proprio perché avrà le caratteristiche di un supermoderno centro commerciale. Sorgerà sulle rive del fiume Jauza, sempre nel comprensorio moscovita. L’estensione di questo business center sarà di cinque ettari dove sorgeranno palazzi, abitazioni, ristoranti, centri di informazione, sale per conferenze e, soprattutto, hotel da tre a cinque stelle. Tutto tenendo conto del fatto che attualmente tra Russia e Cina c’è un giro d’affari di 30 miliardi di dollari e che si prevede per il prossimo anno un tetto di 60 miliardi.

“China town” a pieno titolo. con 2000 posti lavoro per impiegati russi e cinesi: economisti, banchieri, traduttori, rappresentanti. I “colletti bianchi” di Pechino e di Shangai troveranno, in questo nuovo rione moscovita, una fedele riproduzione del loro ambiente. Tanto più che al centro dell’intera area sarà realizzata una gigantesca statua di Confucio che sarà la prima in tutta la Russia. Mosca, quindi, si appresta ad essere, nei confronti della Cina, una città leader nel campo dei rapporti commerciali fornendo soluzioni civili e moderne ad un’immigrazione finora considerata marginale e, spesso, pericolosa.

In Russia televisione e giornali preparano l’ambiente avanzando idee e proposte per la creazione di una zona franca con vantaggi fiscali e doganali alle porte di Mosca. E pur essendo consapevoli di avere a che fare con un singolare impasto di legalità e illegalità, la Russia sa che il governo di Pechino punta ad una concreta politica di internazionalizzazione delle sue imprese che, entro il 2015, secondo la classifica di “Fortune”, saranno ben 500. Intanto i dati più recenti sui quali i russi riflettono seriamente sono quelli che si riferiscono al 2006 che hanno visto Pechino investire all’estero 16 miliardi di dollari, con una conseguente riserva impiegabile che tocca i circa 300 miliardi...

E sempre in questo contesto di grandi prospettive economiche, i russi fanno riferimento alle condizioni che sono offerte ai cinesi in altri paesi e, precisamente, in Moldavia (ex repubblica sovietica), in Polonia, Ungheria, Romania e Serbia. L’attenzione si rivolge in particolare verso la città moldava di Kisciniov, dove si è già formata una “China town” che, pur se di modestissime proporzioni, è già un concreto esempio di coabitazione moldavo-cinese. E subito l’esperienza moldava diviene per Mosca un vero modello. Perché gli economisti della amministrazione locale ritengono che non bisogna perdere tempo e muoversi in maniera pragmatica. Aprendo le porte della capitale a tutte le delegazioni cinesi e favorendo il colloquio e gli eventuali accordi di cooperazione. Si tratta di una strategia che punta anche a far tornare di moda quelle tradizioni di grandi aperture sociali che erano tipiche dell’era sovietica, quando, negli anni della grande amicizia, i cinesi erano di casa a Mosca e quando la grande via dove si trovava (e si trova) la sede dell’ambasciata cinese era definita come “Via dell’amicizia”.

Altro paese europeo nei confronti del quale si focalizza l’attenzione russa (sempre nel contesto della problematica della “China town”) è l’Ungheria, paese che ha ora una comunità di 45mila cinesi, con un interscambio con Pechino di 340 milioni di dollari nel 2004 e un giro di merci cinesi - importate - per 3 miliardi di euro. Mosca sa bene che non può competere con un paese come l’Ungheria che si trova proprio nel cuore della vecchia Europa e che è un punto di transito obbligato per il flusso delle merci cinesi. Ma si nota anche che la Russia, con la sua “China town” e con tutte le infrastrutture presenti nel paese (porti, ferrovia transiberiana che unisce Pechino a Mosca, aeroporti e scali per container) potrebbe divenire una perfetta retrovia per l’ulteriore espansione cinese in Europa. Di conseguenza, quel continente che la geopolitica descrive ora come “Eurasia”, dovrà essere sempre più considerato come un vero e nuovo fattore di politica economica che unisce Russia e Cina. Molto di più, quindi, che una chinatown.