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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

C’è sempre spazio nella bandiera americana. Tra poco arriverà la stella n.51 e sarà quella del Kosovo. E’ chiaro, infatti, che l’obiettivo della Casa Bianca, del Pentagono e della Cia consiste nell’accelerare il processo di disgregazione della (ex) Yugoslavia per favorire la costituzione di un Kosovo “indipendente” e, in prospettiva, di una “Grande Albania”. Tutto questo per imporre una pratica politica ed economica capace di trasformare radicalmente i Balcani in un “territorio americano”. Ed ecco oggi - dopo il voto di Pristina del 17 novembre scorso - un nuovo appuntamento per il futuro del Kosovo. E’ quello del 10 dicembre quando nell’arena geopolitica si dovrà decidere lo status della provincia. Inizierà in quel momento il vero e pericoloso conto alla rovescia. Ma già si sa che il governo di Belgrado si muoverà per impedire l’indipendenza del suo territorio che i serbi definiscono come Kosovo-Metohija. Scende in campo, in questo contesto di eventuale ristrutturazione geopolitica, il ministro degli Esteri serbo, Vuk Jeremic, il quale annuncia che la Serbia non farà guerra e non contribuirà alla destabilizzazione dei Balcani, ma farà “assolutamente tutto” nel senso politico, diplomatico, economico e giuridico per proteggere la sua sovranità e integrità territoriale. Il diplomatico di Belgrado, comunque, ricorda che sarà possibile il proseguimento del dialogo sullo status (sotto il patrocinio dell’Onu), anche dopo il 10 dicembre. E sottolinea poi che la Serbia crede nelle Nazioni Unite e nella neutralità dell’organizzazione mondiale. Proprio per questo ribadisce che le decisioni di importanza strategica - di rilievo geopolitico - dovranno essere adottate all’interno del Consiglio di sicurezza. Intanto da Bruxelles l’’International Crisis Group (Icg) annuncia che il Kosovo potrà divenire indipendente nel maggio 2008 se gli Usa e i principali paesi europei sosterranno questo processo e se ne faranno carico.

''Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna e Usa, nonostante l'opposizione di Serbia e Russia, dovrebbero cominciare - scrive in un suo documento questo Gruppo che è dominato da esponenti americani - a implementare un piano per orchestrare la transizione pacifica che culminerà con un'indipendenza condizionata, nel maggio del 2008''. E sempre secondo l'Icg l'Occidente dovrà mantenere la pressione e gli incentivi sulla Serbia affinché accetti la realtà. Una tale posizione - stimano gli esperti americani - prenderà tempo, ma è necessaria per far fronte ai rischi di un aumento dei sentimenti nazionalisti in Serbia e di un affievolimento della volontà di integrazione europea. Nel piano di azione previsto poi dall’Icg, si precisa che dopo il fallimento dei negoziati tra Pristina e Belgrado - sotto l'egida della troika Usa-Ue-Russia - gli occidentali dovrebbero cominciare a dare attuazione al piano dell'inviato speciale dell'Onu Martti Athisaari, che prevede un'indipendenza sotto sorveglianza internazionale. Il Piano prevede, infatti, che la missione Onu-Unmick, sotto il cui protettorato il Kosovo si trova dalla fine della guerra del 1999, sia rimpiazzata da una missione dell'Unione europea di 1.800 uomini, di cui 1.400 poliziotti, con il compito di restaurare uno Stato di diritto.

Secondo il think tank, (di marca statunitense) la missione, che ha un costo stimato di 150 milioni di euro l'anno, potrebbe cominciare all'inizio del prossimo anno, dopo l'approvazione del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon entro il mese di dicembre. Il 10 dicembre intanto è prevista alle Nazioni Unite la presentazione dell'inviato Inschinger sul round negoziale della Troika, mentre il 19 dicembre si terrà il dibattito al Consiglio di sicurezza. E sempre l’Icg prevede che ''gli Usa, la Gran Bretagna e la Francia avranno un duro lavoro a New York e dovranno essere pronte ad accettare qualche danno nelle loro relazioni con Mosca, per assicurare che una chiara maggioranza del Consiglio di sicurezza possa dare sostegno a questo tipo di corso''. Dopo questo passaggio, il think tank prevede che in gennaio il nuovo governo del Kosovo possa dichiarare ''la propria intenzione di dichiarare l'indipendenza in maggio sulla base dei termini previsti dal Piano Ahtisaari''.

La decisione dei 27 Stati membri della Ue sullo status del Kosovo sarà assunta dai capi di Stato e di governo al Vertice europeo del 14 dicembre. ''La Ue - questa l’indicazione americana -dovrà dire ufficialmente che considera che i negoziati tra la Serbia e il Kosovo sono terminati e che è pronta a dispiegare la sua missione''. E comunque sia la realtà ci dice che il Kosovo e l’intero scacchiere balcanico sono ancora zone a rischio. Vediamone, in sintesi, alcuni dettagli geopolitica.

LA REGIONE KOSOVARA. Il territorio oggi è teoricamente amministrato dalla Comunità Internazionale ma in pratica è sottoposto al controllo della Nato. L’etnia albanese locale rivendica l’intera regione e ne chiede, con l’appoggio americano e del governo di Tirana, la completa indipendenza da Belgrado. Intanto nel paese, in base alle Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1999, esiste un governo provvisorio che opera sotto il protettorato internazionale dell’UNMIK e della NATO. In tutti questi ultimi anni si sono svolti incontri bilaterali (Belgrado-Pristina) e conferenze internazionali allo scopo di trovare una soluzione politico-diplomatica.

C’è stata anche una trattativa a livello dell’Onu condotta dal mediatore Martti Ahtissari relativa ad un futuro status della provincia serba. Il piano finale non è stato però condiviso né dai serbi, che non vogliono perdere la sovranità sulla regione, né dai kosovari, che ambiscono alla piena indipendenza. La situazione è in sospeso, e in mancanza di avvicinamenti tra le parti si prospetterebbe l'imposizione alle stesse di una decisione definitiva del Consiglio di Sicurezza Onu. Le trattative attualmente in corso vedono comunque attivi, oltre che i leader di Kosovo e Serbia, anche quelli di Unione Europea, Russia e Stati Uniti.

Tuttavia, l'Unione Europea sta preparando una missione militare che dovrebbe insediarsi in Kosovo al momento della decisione definitiva sullo status. Parallelamente, esperti europei ed albanesi stanno lavorando sul progetto di una nuova Costituzione. Gli albanesi kosovari minacciano però di dichiarare unilateralmente l’indipendenza il 10 dicembre 2007. Tutto questo dopo che il 17 novembre scorso si sono tenute le elezioni per rinnovare sia l'assemblea parlamentare del Kosovo che i comuni. Non si è registrato però nessun passo avanti. Anche per il fatto che le profonde divisioni con la Serbia hanno portato al boicottaggio elettorale degli stessi serbi del Kosovo.

Ha prevalso comunque il Partito democratico (Pdk) del terrorista dell’Uck, Hashim Thaci, che ha superato per la prima volta la Lega democratica (Ldk) del defunto presidente Rugova. Thaci intende ora avviare (subito dopo il 10 dicembre) un governo albanofono di grande coalizione per gestire il processo verso la piena indipendenza del Kosovo. Il 10 dicembre, infatti, è la data prevista per la presentazione all’Onu del rapporto della cosiddetta "Troika" (Usa-Russia-UE) impegnata nella mediazione fra Pristina e Belgrado per risolvere lo status della regione.

PIANI E PROSPETTIVE.Sono al momento (dicembre 2007) possibili i seguenti scenari: ritorno alla Serbia, con lo statuto di autonomia molto più largo della Voivodina; oppure un processo di indipendenza, che è la soluzione preferita da parte della maggioranza albanese (ha come precedente il caso di Timor Est). Ed è questa una delle soluzioni prese in considerazione dalle Nazioni Unite e auspicata dagli Stati Uniti. Ma Spagna, Grecia, Cipro, Slovacchia e Romania mostrano serie perplessità dal momento che l’indipendenza del Kosovo potrebbe costituire un precedente a livello di dichiarazioni spontanee di indipendenza da parte di altre minoranze etniche presenti all'interno di questi stati.

Tuttavia, con il passare dei mesi tutti gli Stati dell'Unione (a parte Grecia e Cipro) sembrano alla fine convergere a favore dell'ipotesi di indipendenza. Tale ipotesi è naturalmente osteggiata dalla Serbia e dalla minoranza serba in Kosovo, per il rischio di perdere una parte non trascurabile del territorio. C’è poi l’eventualità di una unificazione con l’Albania, soluzione preferita da gran parte della maggioranza albanese e fortemente osteggiata dalla Serbia e dalla minoranza serba.

In questo caso si correrebbe tuttavia il rischio di provocare un risveglio irredentista degli albanesi in Macedonia e in Montenegro ed un generale risveglio nazionalista nei Balcani. In ogni caso, un mancato accordo internazionale renderebbe ancora valida la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, che contempla la sovranità serba sul Kosovo. Il perdurare di una situazione instabile non conviene tuttavia neppure alla stessa Serbia, in quanto allontana negli anni le prospettive di integrazione del paese all'interno dell'Unione Europea. E sempre nel quadro della situazione generale dei Balcani c’è da rilevare che fonti russe sostengono che la Nato è già in stato d’allarme prevedendo disordini in Kosovo tra serbi ed albanesi. E i riferimenti in merito sono tratti da una serie di dichiarazioni del generale John Craddok, comandante in capo delle forze Nato in Europa.

UNIONE EUROPEA.L’Unione Europea ha già deciso di attivare al massimo i negoziati necessari per l’ingresso del Kosovo e della Serbia nella Unione stessa ed in tale contesto negoziale potranno essere chiariti e definiti gli elementi necessari a soddisfare ragionevolmente ogni esigenza che sarà rappresentata dai serbi, dai kosovari e da altre minoranze. Non vi è alcun dubbio che alla fine del percorso negoziale il Kosovo dovrebbe arrivare in Europa con uno Stato organizzato ed efficiente, in grado di gestire il paese che sarà anche formalmente indipendente, avendo regolato i rapporti con la Serbia e con le minoranze, tenendo attentamente conto dei loro interessi politici, economici, sociali e culturali, nonché salvaguardando i siti che ricordano il loro contributo alla storia del paese. L’Europa mostra in sintesi di volere un Kosovo sviluppato e civile e non un altro “fallimento balcanico”. Ma qui entreranno in gioco i diktat americani…

SCONVOLGIMENTI BALCANICI. Se ciò dovesse accadere, è quasi certo che una Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza sarebbe resa dalla metà serba della città di Mitrovica e probabilmente anche dalla regione serba della Bosnia, la Repubblica Srpska, come già annunciato da entrambe. Inizierebbero, quindi, una serie di dichiarazioni di indipendenza unilaterale che metterebbero a rischio la stabilità dei Balcani e che potrebbero anche destabilizzare la Moldavia (con il riconoscimento russo dell’indipendenza della Transnistria) e la Georgia, con il riconoscimento russo dell’Abkhazia e dell’Ossetia del sud. Quest’ultima crisi potrebbe vedere a confronto truppe georgiane e truppe russe.

YUGOSLAVIA: IL RUOLO DEL VATICANO. Va ricordato, in tutto questo contesto, il ruolo disintegratore messo in atto dalla Chiesa di Roma soprattutto in Croazia. Già nel 1918, infatti, Il Vaticano si pronunciò contro la formazione unitaria del Paese (decisa a Versailles da Francia e Inghilterra) ritenendo che le popolazioni cattoliche sarebbero finite nell'orbita ortodossa dei serbi, popolo egemone del nuovo Stato. Successivamente, fra il 1918 e il 1941, si registrò lo sviluppo di una fortissima opposizione della Chiesa ortodossa (diventata nel frattempo indipendente da Costantinopoli) a un accordo fra Belgrado e il Vaticano relativo ai rapporti tra lo Stato e i cattolici.

La mancata firma del concordato provocò poi un’ulteriore tensione tra Belgrado e la Chiesa slovena e croata. Fra il 1941-1945 a Zagabria, l'arcivescovo Alojzije Stepinac salutò il nuovo stato indipendente croato di Ante Pavelic. E fu allora Stepinac - chiamato l' “arcivescovo del genocidio" - a dare vigore al clero cattolico croato, bloccando e ostacolando il processo di riconciliazione tra gli slavi ortodossi e i cattolici.

Successivamente, tra il 1987 e il ‘91 le Chiese di Lubiana e Zagabria attaccarono il "centralismo belgradese" e i tentativi egemonici di Milosevic. Intanto il Vaticano, mise in atto una sua campagna diplomatica e politica tesa a favorire l'indipendenza delle due repubbliche di Slovenia e Croazia. Nel 1992 lo Stato Vaticano riconobbe poi l'indipendenza di Slovenia e Croazia mettendo in luce il suo atteggiamento antiserbo. E fu il Papa che, nel 1994, a premere per un intervento in favore dei musulmani e contro gli "aggressori di Sarajevo", cioè i serbi.

La Storia passata, quindi, macina ancora i territori dell’ex Yugoslavia. E il Kosovo di oggi è sì una “stella” americana, ma è anche una mina vagante che potrebbe tornare ad esplodere.