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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

Il Kosovo è una bomba ad orologeria, con una sicurezza inesistente e un’economia disastrosa che rappresentano una frattura nel sistema delle relazioni internazionali. Con un territorio (10.887 chilometri quadrati) attraversato da secolari e mai sopite tensioni interetniche. Ed ora si è ad un nuovo giro di boa che pone sul terreno di uno scontro epocale le due grandi comunità: due milioni di abitanti divisi tra la forza egemone albanese-kosovara (appoggiata dalle forze atlantiche) e quella serba che basa nell’ortodossia e nello spirito nazionale il suo passato e il suo futuro. Guerra interetnica, quindi, dai veri e propri tratti antichi e che, forse, va anche considerata come l’ultimo prodotto collaterale della Grande Guerra. Con un’accentuazione del tentativo di ideologizzare le religioni delle due etnie e di usarle per scopi geopolitica. Oggi si è nuovamente al momento delle decisioni. Che sono prese - questo è il dramma - fuori del Paese. A Washington, in particolare, e a Bruxelles. E, poi, solo poi, nella sede dell’Onu. L’agenda del contenzioso è più che mai ricca ed anche piena di trappole. Perché il futuro della regione e le prospettive di integrazione della Serbia nell'Unione sono i temi più controversi, considerati anche gli scogli che si incontrano nelle varie trattative. Ora al centro dei lavori del Consiglio di sicurezza (che vede l’Italia assumere, con D’Alema, la presidenza) si troverà l’intera questione kosovara. Il tentativo consisterà nel trovare una formula capace di sbloccare la situazione di stallo. L’Italia dovrà svolgere un notevole lavoro di mediazione e toccherà proprio a D’Alema (uno degli uomini che al tempo della guerra contro la Yugoslavia si trovò a mettere la sua firma su molte azioni di repressione contro il Kosovo) operare per portare Pristina, Belgrado e Tirana sulla stessa lunghezza d’onda.

Per il momento, comunque, è probabile che la riunione all’Onu di queste ore avrà solo un carattere ministeriale. Pur se è certo che il primo ministro serbo, Vojislav Kostunica, ha accettato di parteciparvi. L’Italia, a quanto risulta, dovrebbe svolgere una pressione notevole nei confronti dell’Unione Europea che porta la principale responsabilità nel dossier kosovaro. Inoltre, per il suo ruolo e la presenza nella regione, l'Italia raccomanderebbe un processo regolato e controllato. Insistendo su una prova di responsabilità da parte di serbi e kosovari. Evitando, pertanto, decisioni precipitose in accordo con la comunità internazionale. E, una volta chiarita la posizione in sede di Nazioni Unite, l'Unione Europea dovrebbe proseguire l'analisi della situazione e prendere le sue decisioni. Comunque sia nella situazione attuale l’Europa mostra di farsi garante per il Kosovo dando contemporaneamente il via libera all’invio nella regione di una forza “civile” che dovrebbe avere come obiettivo quello di stabilizzare la provincia accompagnando il processo di transizione in atto verso un nuovo status per la provincia serba a maggioranza albanese. Ma su tutto pesa il fatto che le diplomazie occidentali ritengono l'indipendenza del Kosovo come ineluttabile. Pur se comprendono che è necessario offrire una prospettiva europea alla Serbia per non condannarla all'isolamento.

Intanto sull'invio della missione Ue, Prodi ha detto che è stata presa questa "importante decisione politica, le cui modalità di esecuzione saranno decise dai ministri degli Esteri in una prossima riunione", che dovrebbe essere con ogni probabilità quella che si terrà entro la fine del gennaio 2008. Si parla di 1.800 funzionari, per lo più magistrati, poliziotti e doganieri, che dovrebbero affiancare e presto sostituire la missione Unmik dell'Onu che, di fatto, ha amministrato la provincia serba dal 1999. Parallelamente, si è evidenziata la volontà di accelerare la marcia di avvicinamento di Belgrado all'Ue attraverso la firma, non appena possibile, dell'accordo di associazione e stabilizzazione con il riconoscimento alla Serbia dello status di Paese candidato all'adesione. Bisognerà vedere ora, in concreto, l’atteggiamento che prenderà Belgrado.

Perché l’atmosfera generale resta pesante. Con il presidente di Belgrado Kostunica che ripete in continuazione che per la Serbia sono inaccettabili le conclusioni dal summit dell’UE relative al futuro status della provincia del Kosovo e Metohija, e che è inaccettabile parlare della provincia serba come di un futuro stato legale e democratico. E che, inoltre, è particolarmente offensivo e inaccettabile offrire alla Serbia mutilata un premio per accettare la violenza in forma dell’accelerata adesione all’UE. Così, mentre Belgrado insiste sulla sua “autorità” anche a livello kosovaro, nelle cittadine della regione - da Pristina a Prizren, da Pec a Urosevac, da Gnjilane a Kosovo Mitrovica - i serbi sono in stato d’allarme. Temono una ripresa delle azioni repressive delle milizie dell’Uck. E nessuna forza civile - si sa - potrà impedire agli uomini del terrorista-premier Hashim Thaci di ostacolare eventuali processi distensivi e democratici. Ne consegue che il Kosovo resta a rischio. E, con lui, la pace nei Balcani.