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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

Putin torna all’attacco e sceglie l’arena della Nato per avviare una politica di nuove, forti e dure critiche, usando come teatro le stesse strutture dell’Alleanza Atlantica dove la Russia ha diritto ad un suo posto non decisionale, ma pur sempre di rilievo. Tutto avviene nel momento in cui la questione del Kosovo è il nervo scoperto del rapporto tra Mosca e Washington. Ed ecco che il Cremlino - con una mossa che si rivela subito come strategica - richiama dalla Nato il suo ambasciatore (“rappresentante permanente”) Konstantin Totskij e lo sostituisce con Dmitrij Olegovic Rogozin (classe 1963). Il nuovo quadro diplomatico è un personaggio di spicco della vita politica russa di questi ultimi anni. Si è sempre vantato di non aver aderito al Partito Comunista dell’Urss e, per questo, di aver pagato anche in termini di carriera… Lungo e tormentato il suo rapporto con il potere. Emotivo, impetuoso, incapace di controllare le sue reazioni, ma sempre schierato apertamente nel settore della destra nazionalista e sciovinista. Ha organizzato una formazione denominata “Congresso russo”. Alle spalle ha una laurea in scienze politiche, varie presenze nel mondo del giornalismo, uno stage a Cuba per studiare la propaganda americana e, poi, una significativa parentesi che lo vede - nel 1990 - vice presidente di una società costituita nell’ambito dell’Università americana di Mosca. Diviene poi deputato alla Duma e assume, praticamente, la leadership tra le varie formazioni nazionaliste. Ed è in questo periodo di transizione dal vecchio sistema sovietico alla “democrazia” di Eltsin e di Putin che opera per far riaffiorare tutti i vecchi motivi del conflitto tra “Grande Russia” ed Europa. In pratica si deve a lui la diffusione del bacillo del nazionalismo in un paese bisognoso, invece, di una buona dose di spirito europeo.

Ma Rogozin costruisce la sua immagine basandosi sulle aspirazioni dei russi sconvolti dal crollo di quell’impero che era sì sovietico, ma anche russo. E così la filosofia nazionalista di Rogozin diviene una filosofia religiosa. Per far sviluppare il movimento del “Congresso russo” si collega agli ambienti del complesso militare-industriale e a quegli strati di intellighentsija umanistica preoccupati per la poca attenzione dedicata nel paese allo sviluppo della cultura nazionale russa. Forma, di conseguenza, una forte lobby nazionalista che - approfittando della crisi generale del marxismo di un tempo - va sempre più alla ricerca dell’ideologia religiosa ortodossa.

Rogozin in tutti suoi discorsi di questi ultimi anni non manca di riferirsi alla condizione dei russi divenuti “stranieri” nei territori dell’ex Urss. Segue il processo di delegittimazione delle varie entità governative e, di fatto, sponsorizza l’emergere di nuovi soggetti politico-militari. I quali, appunto, nel vuoto di cultura politica e civile lasciato dal sistema comunista, si rifanno a vecchie identità etniche e religiose.

Nasce in questo contesto il “fenomeno Ragozin”. Poi, con la gestione a tutto campo di Putin, il giovane deputato subisce una sorta di ridimensionamento. Ma è (lo si comprende oggi…) una carta di riserva. Ed ecco la mossa di queste ultime ore. Putin licenzia il fedele Totskij (un generale, quadro del Kgb) e porta in primo piano il nazionalista Rogozin dimenticando una pagina nera della sua attività. E precisamente quella sua campagna elettorale basata sulla lotta agli “immigrati” (gli extracomunitari della Russia…) che erano definiti come “spazzatura”. Ma a parte questi dettagli di ordine biografico per Putin quello che conta in questo momento è dimostrare alla Nato che la politica del Cremlino sta cambiando. E così Rogozin (che si è spesso distinto per dichiarazioni antioccidentali al limite della xenofobia) diviene l’uomo giusto al posto giusto. Lo conferma il politologo Vjaceslav Nikonov che così commenta la scelta presidenziale: “Considerato che Rogozin per anni ha criticato duramente la Nato, soprattutto la sua espansione, la nomina di questo politico ad ambasciatore presso la Nato stessa è una prova indiretta che la dirigenza russa è irritata dall'attività dell'Alleanza». E così cominciano le previsioni e le analisi più disparate sul ruolo che il nuovo ambasciatore svolgerà nel covo della Nato dovendo affrontare la questione kosovara.

Come prima mossa Rogozin dichiara che quel metodo proposto per “tranquillizzare” gli albanesi-kosovari - e cioè la ricetta della spartizione della sovranità della Serbia - è inammissibile poiché contrario al diritto internazionale; e per questo motivo Mosca chiede che si smetta di umiliare la Serbia e che sia rispettata la sovranità di Belgrado. Ma nello stesso tempo - questa la tesi di Rogozin - non è un segreto che i paesi della Nato si dirigeranno verso il riconoscimento unilaterale del Kosovo poiché la ferma opinione della Russia prevede l’arresto del riconoscimento unilaterale dell’indipendenza della regione serba attraverso l’Onu e altre strutture.
Rogozin sostiene poi, a radio Glas Russia, che la Serbia non accetterà i diktat occidentali e richiederà la protezione della sua sovranità secondo la Costituzione. E così dicendo rileva che per la Russia è di vitale importanza l’integrità territoriale della Serbia poiché la trasgressione dei principi generali potrebbe causare l’effetto domino. Questo, pertanto, sarà il motivo per cui la Russia: “Non permetterà a nessuno di iniziare la guerra per interesse egoistico, e bloccherà il tentativo di dare sostegno alle forze estremiste nell’Europa”.

La situazione si fa, quindi, sempre più incandescente. E tutto sta a dimostrare che si è ad un punto di non ritorno. Lo evidenzia il ministro degli Esteri della Romania Adrian Corojanu che avanza molte riserve riguardo all’eventuale indipendenza del Kosovo. E soprattutto il diplomatico di Bucarest fa notare che: “La separazione del Kosovo potrebbe causare una valanga di simili richieste nelle zone che hanno pretese separatistiche”. Su tutto cala come un macigno una nota che arriva da Belgrado. Si apprende, infatti, che il governo della Serbia ha approvato il piano di azione da attuare nel caso che il Kosovo proclami l’indipendenza in modo unilaterale. Il governo serbo precisa che saranno tutelate la “sovranità statale e l’integrità territoriale”. E il senso di una tale affermazione è ben chiaro tenendo anche conto di una Russia che ora - nella sua condizione di “rappresentante permanente” - ha una nuova voce nel cuore stesso della Nato. E il personaggio mandato da Putin nella sede dell’Alleanza non è un muto. Parla - oltre al russo, ovviamente - l’inglese, lo spagnolo e l’italiano. E anche questo vuol dire che non sarà un puro osservatore…