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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

MOSCA. Il significato di questo voto serbo - che ha visto la vittoria ai punti di Boris Tadic su Tomislav Nikolic - non può restare entro i confini della giurisdizione belgradese. Perché da questo momento, con l’ufficializzazione dei risultati, si ripresentano - di riflesso - problemi di geopolitica che coinvolgono sempre più l’intera Europa e gli Usa evidenziando, allo stesso tempo, il ruolo strategico di una terra ora definita come “Ex Jugoslavia” che si caratterizza con nuovi ed imprevedibili segnali contraddittori. Ed è in questo quadro che il referendum di Belgrado va analizzato, nell’ottica di una nuova fase di “guerra fredda” che si va sviluppando nel cuore dei Balcani dove i gomitoli della politica sono sempre più imbrogliati. Il “grande gioco” è complesso e vede varie cancellerie occidentali soffiare sul fuoco delle tensioni locali. Con i media che - ispirati dalle centrali d’oltroceano - gettano benzina sull’incendio che già sconvolge Belgrado e Pristina. Ma vediamo cosa è avvenuto con queste elezioni presidenziali che hanno segnato la vita politica e diplomatica delle ultime settimane. Con Mosca che ha seguito i due candidati cercando di non cadere (almeno a livello ufficiale) nella trappola degli appoggi multilaterali. LA CONTESA. Il punto centrale delle discussioni e degli scontri in tutta la Serbia è stato (ed è) quello relativo all’atteggiamento nei confronti della regione serba del Kosovo-Metohija che è attualmente sotto il pieno controllo delle truppe Nato. E questa situazione evidenzia chiaramente la volontà dell’Occidente di operare attivamente per il definitivo smantellamento della Jugoslavia. Il Kosovo, pertanto, è divenuto il cavallo di Troia dell’Alleanza Atlantica. I kosovari-albanesi - riuniti sotto la direzione dell’organizzazione terroristica dell’Uck - hanno dato il via ad una politica di secessione e ad una conseguente attività per la definitiva separazione da Belgrado.

Tutto questo è avvenuto (ed avviene) nel quadro di quella espansione della Nato ad est che si effettua a tappe e in forme diverse. Prima la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria che hanno appoggiato la Nato e le sue mire annessionistiche. E’ poi seguita l’azione di intervento diretto e militare in Croazia e in Bosnia. E’ iniziata quindi la penetrazione in Romania, in Bulgaria, in Ucraina ed ora gli atlantici puntano alla Bielorussia e alla stessa Russia. Ed è chiaro che anche l’Europa ha pesanti esponsabilità nell’incendio balcanico.

In pratica è avvenuto che quella che i media hanno definito come “Guerra del Kosovo” è stata, in effetti, una guerra contro la Serbia con l’obiettivo (già auspicato dalla Germania con la benedizione vaticana) di conquistare - dal punto di vista dell’egemonia politica ed economica - le terre dell’ex Repubblica Federale Jugoslava.

Ora con il “referendum” presidenziale di Belgrado sono venuti avanti due schieramenti nazionali. Da un lato le forze che si riconoscono nel presidente (uscente ed ora riconfermato) Boris Tadic e, dall’altro, quelle che appoggiano Tomislav Nikolic. Le differenze tra i due hanno avuto come punto-chiave la questione del Kosovo. Tadic si è accreditato come “filoeuropeista” con la stampa orientata dagli Usa che lo definisce come “garante della transizione democratica” e Nikolic come “radical-nazionalista”, “bestia nera delle cancellerie occidentali” e “campione della retorica slavofila”. Il primo ha puntato le carte (ottenendo una maggioranza del 52%) nel collegamento con l’Europa anche a costo di perdere il Kosovo. Il secondo ha basato la sua campagna sul “credo” nazionalista e sull’integrità del territorio serbo e, quindi, contro la secessione organizzata dai kosovari-albanesi. Ha vinto Tadic, ma i problemi restano e la spina kosovara è entrata più a fondo nella politica di Belgrado.

USA E RUSSIA. Sulla base degli eventi geopolitici di questi anni si è visto che l’Amministrazione americana di George W.Bush si è sempre impegnata per controllare e influenzare la condotta e le tendenze della politica estera del Cremlino. Washington ha utilizzato, in tal senso, la dottrina della “sovranità democratica” sviluppata da Putin. Ha poi operato sfruttando le difficoltà russe interne e per realizzare, di conseguenza, un cordone sanitario (atlantico) intorno alla Russia. In questo contesto gli americani si sono impegnati a fondo contro la gestione di Putin vedendo nel capo del Cremlino un ostacolo concreto per la loro penetrazione all’Est.

Questo tipo di politica statunitense ha però permesso al capo del Cremlino di rafforzare la sua base nazionalista. E così lo sciovinismo dei “grandi russi” è divenuto una sorta di collante per il partito del potere. Il quale decide ora di far arrivare al vertice il giovane Medvedev lasciando a Putin l’intera regia del Paese e, con tutta probabilità, le decisioni di stampo geoeconomico. Non a caso c’è stata una pragmatica decisione della stessa amministrazione Putin di sottoscrivere con Boris Tadic (e con il premier Vojislav Kostunica, vero interlocutore serbo del Cremlino) il patto di ferro energetico tra Gazprom e Nis. Un approccio geoeconomico da non sottovalutare perché tende a legare Belgrado a Mosca.

Il Cremlino, nonostante tutto, teme reazioni improvvise per il fatto di aver difeso sino ad oggi la Serbia sullo scacchiere internazionale. Ora potrebbe assistere ad un effetto domino con la secessione delle regioni russofone in Georgia e in altre Repubbliche ex sovietiche. Per non parlare della cecenia e del Caucaso... E così l’indipendenza del Kosovo - ultimo atto della dissoluzione dell’ex Jugoslavia - potrebbe segnare l’inizio di un nuovo ciclo di rotture e divisioni traumatiche. Intanto a Pristina - praticamente “liberata” dall’egemonia serba - arrivano i rinforzi dell’Unione Europea. Sono 1800 poliziotti ed esperti legali (la co¬siddetta missione “Eulex”) che dovranno accompagnare i primi passi del nuovo Stato.

LE REAZIONI. ''Tadic o Nikolic, per il Kosovo in effetti cambia poco'', dichiara alla stampa belgradese Dusan Janjic, un analista liberale, esperto di relazioni serbo-albanesi. ''L'agenda - dice - potrà subire piccole modifiche, se Usa e Ue lo concorderanno, poi si andrà alla reale secessione''. Ma al di là dei vari aspetti di politica estera la vicenda minaccia d'incidere sulla tenuta della coalizione di governo, già scossa dal mancato sostegno elettorale a Tadic del primo ministro Vojislav Kostunica: alleato-rivale assai più coriaceo nel rapporto con l'Occidente. ''Avendo vinto da solo - spiega il politologo Vladimir Goati - Tadic cercherà ora di rafforzare l'influenza del proprio partito (Partito Democratico, Ds) all'interno dell'esecutivo e di mettere Kostunica in minoranza su alcune decisioni concrete''. Ma ''difficilmente - rimarca il collega Djordje Vukadinovic - si spingerà fino a provocare una crisi che il Paese non capirebbe nel pieno dell'emergenza nazionale sul Kosovo''. E che finirebbe per rimettere in pista Tomislav Nikolic.

Dibattiti e scontri, quindi, non sono ancora archiviati. E l’Europa - viste le divisioni reali che permangono dopo il voto in Serbia - potrebbe ritrovarsi di nuovo invischiata nel ginepraio dei Balcani.