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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

MOSCA. Il grande gioco balcanico è al capolinea. Le bandiere del cosiddetto mondo libero sventolano a Pristina mentre si scatena l’odio contro i serbi e gli slavi. E per un certo occidente questo è uno spettacolo valido per i media, tra colori e grida, con una musica in sottofondo che ricorda le melodie zigane underground di Goran Bregovic per i film di Emir Kusturica... Ma all’angolo - e precisamente al nord per la precisione geografica - c’è in lista d’attesa un nuovo problema. Quello di Mitrovica serba che, già divisa dai kosovari-albanesi, potrebbe proclamare il suo “strappo” ed uscire, quindi, dal Kosovo albanese-americano. Il nuovo terremoto geopolitico è alle porte e questa volta i grandi del mondo (che hanno benedetto la secessione attuata dai terroristi dell’Uck guidati da Thaci) si troveranno a dover decidere avendo già perso in partenza. E dovendo ammettere che il Kosovo non è solo terra di corvi e monasteri, ma è anche un grosso e complicato puzzle fatto di popoli, religioni, storie, tradizioni... Arrivano, di conseguenza, altre pagine di una tragica storia che va scritta ora, a caldo. E una capitale come Mosca, pur se impegnata nei baccanali elettorali del duo Putin-Medvedev, non può chiudere gli occhi. Lo ricorda indirettamente, con autorevolezza e saggezza, un personaggio come Evghenij Maksimovic Primakov (vera figura di stratega che da sempre domina intellettualmente la politica estera russa) trascinato in tv per parlare dei Balcani e del Caucaso. Le sue considerazioni annunciano tempi duri. Parla di una balcanizzazione totale e ribadisce che i serbi kosovari non molleranno. Dice anche che le entità regionali (filo-russe) che si trovano all’interno della Georgia (Abchasia e Ossetia del Sud) potrebbero alzare il tiro chiedendo ora la secessione mettendo i “padroni” americani con le spalle al muro. Come dire che se si è con il Kosovo albanese per il distacco dalla Serbia, perchè non essere dalla parte degli abchasi e degli ossetini che vogliono lasciare la Georgia?

E’ in conseguenza di queste situazioni a rischio che sui tavoli del Cremlino, dei ministeri degli Esteri e della Difesa, si allineano gli scottanti dossier che si riferiscono a quei punti caldi che coinvolgono sempre più la Russia, all’interno e all’esterno. La Cecenia in primo luogo, che non è assolutamente normalizzata nonostante le belle parole di Putin. Il quale ha dato per risolta la questione di Grozny consegnando al suo successore una polpetta avvelenata presentandola come un dolce. Sempre a scadenza immediata, si aprono altri tre dossier che si riferiscono a realtà russe collocate territorialmente in Georgia e che ora presentano i conti alle diplomazie di Mosca e di Tbilisi, guardando anche a quelle cancellerie occidentali che hanno favorito lo strappo del Kosovo albanese. Comincia un nuovo e grande gioco caucasico. E questa volta è quello che ricorda l’effetto domino...

Torna a muoversi l’Ossetia. Un paese che si divide tra Nord e Sud. Con la parte settentrionale che fa parte (“integrante”) della Federazione Russa (con capitale Vladikavkaz) e quella meridionale che si trova in Georgia. Ed è da questa area (con capitale Chinvali) che negli anni ’80, sull'onda delle riforme gorbacioviane, vennero sempre più alla luce forti aspirazioni autonomiste nei confronti di Tbilisi. E tutto scaturì praticamente con la richiesta di uscire dalla Georgia e di unirsi al Nord russo. Non più quindi una “Ossetia del Sud”, ma una Ossetia tutta russa. Va infatti ricordato che questa entità del Sud è indipendente “de facto” dal 1993, quando emerse vittoriosa dalla breve guerra di secessione contro Tbilisi all'indomani dello scioglimento dell'Urss. Una secessione appoggiata dai russi che, grazie ai movimenti indipendentisti riesplosi nelle altre regioni, poterono rientrare nella repubblica caucasica diventata indipendente in funzione di peace-keepers, costruendo basi militari sul suo territorio in zone non controllate da Tbilisi. E i russi, in questa loro penetrazione a tappe hanno sempre contato sulla minoranza ossetina che sa bene che la Georgia punta ad avviare una pulizia etnica che “georgizzi” il loro paese.

Nello stesso tempo si sono riaccesi i movimenti indipendentisti in Abchasia, una regione (la capitale è Suchumi) che ha già proclamato la piena sovranità nel 1991 e si è separata di fatto da Tbilisi nel 1994 pur rimanendo istituzionalmente sotto giurisdizione georgiana. E si muove - pur se per ora in secondo piano - anche l’Adzarija, entità autonoma che si trova all’interno della Georgia (con capitale Batumi) e dove le tentazioni filo-russe sono notevoli e comunque prevale una politica che tende a prendere sempre più le distanze dalla capitale georgiana.

E’ sullo scenario di queste realtà - praticamente incontrollabili - che il potere locale teme che Mosca, pressata dai fatti kosovari, decida di scendere apertamente a fianco dei secessionisti abchasi e ossetini. In tal senso si è già mosso il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov il quale - conversando con i leader dell’Abchasia Sergej Bagapsh e dell’Ossetia meridionale Eduard Kokojty - ha dichiarato che “il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, indubbiamente, dovr? essere tenuto presen¬te in rapporto alla situazione in Abchasia e Ossetia del Sud”. Immediata la reazione della diplomazia georgiana con il ministro degli Esteri David Bakradze, che ha ricordato ai russi che il governo georgiano aspira alla normalizzazione dei rapporti con Mosca, ma che “le relazioni di buon vicinato non possono essere stabilite a scapito degli interessi nazionali della Georgia”.

Intanto contro il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo si è pronunciata l’opposizione georgiana. Il leader dell’Unione, Levan Gaceciladze, ha detto in un’intervista televisiva che “la Georgia non può riconoscere l’indipendenza del Kosovo finchè non lo farà Belgrado, in quanto esiste un parallelo diretto con la situazione georgiana”. Dello stesso avviso anche il partito laburista georgiano, il quale che ha chiesto a tutte le opposizioni di firmare un appello contro un eventuale riconoscimento dell’indipendenza kosovara. Dal canto suo il presidente Saakashvili mantiene - per ora - un atteggiamento di prudente riserbo.

Ma è sempre più evidente che il “grande gioco” vede al tavolo della geopolitica caucasica e balcanica, in posizione chiave, l’America di Bush. Perchè, ad esempio, per quanto si riferisce alla Georgia l’appoggio di Washington non nasce tanto da spiccate propensioni americane a favorire Saakashvili (personaggio, tra l’altro, che è a busta paga dell’amministrazione d’oltroceano) nella sua disputa territoriale con osseti ed abchasi, ma dalla volontà di isolare in modo drastico Mosca dal trasporto degli idrocarburi del mar Caspio verso l'Europa. E non c’è solo questo.

I russi sanno che la loro cacciata dalle basi ossete ed abchase vorrebbe dire l'emarginazione da qualsiasi gioco caucasico e il diffondersi della ribellione all'interno di diverse realtà autonome della Federazione (Tatarstan, Baschiria, Calmicchia, Sacha...). Anche Mosca, quindi, non abbandonerà la mano se non a seguito di un conflitto catastrofico che potrebbe tragicamente portare alla dissoluzione della stessa Russia in un insieme di staterelli oligarchici gestiti da locali feudatari di Washington.

Per ora l’Ossetia del Sud, l'Abchasia, l'Oltrednestr, il Nagorno-Karabach, la Crimea e il Kosovo sono pedine di spicco nel grande tavolo della roulette della geopolitica mondiale. E sembra avere ragioni da vendere il politologo russo Andrei Fedorov, che dalle pagine dell’autorevole settimanale Argumenti i fedeli prevede che “Kosovo, Abchasia e Ossetia del sud sconvolgeranno il mondo”.