Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri
di Giuseppe Zaccagni

Parte dei Balcani l’effetto domino. E l’enclave del Nagorno-Karabach situata all'interno dell'Azerbagian - che si considera armena, a maggioranza cristiana, e che dal 1991 si è auto-proclamata indipendente - apre di nuovo il contenzioso con Baku. Questa volta alza il tiro cogliendo il pretesto della situazione del Kosovo ed approfittando anche delle elezioni presidenziali dei giorni scorsi che hanno registrato la vittoria del premier Serge Sarkisian (52,86%) lasciando al secondo posto con il 21,5% Levon Ter-Petrosian, primo presidente dell'Armenia indipendente post-sovietica diventato bandiera dell'opposizione e al terzo posto Arthur Bagdasarian con il 16,6%, ex presidente del parlamento. Ma ora l’attenzione generale dell’intero Caucaso si concentrerà non tanto sulla lotta che seguirà ad Erevan per la formazione delle nuove strutture governative ed istituzionali, quanto sulla questione nodale del rapporto con l’Azerbagian - e precisamente sulla questione del Nagorno-Karabach. Perchè subito dopo i risultati delle presidenziali il ministro degli Esteri di Stepanakert (capitale del Nagorno-Karabach) Georgy Petrosyan, si è affrettato a dichiarare che l'indipendenza della regione balcanica del Kosovo dimostra che una regione separatista può agire anche contro la volontà dello stato dal quale vuole essere indipendente. Tutto chiaro e questo vuol dire che a brevissima scadenza la nuova dirigenza di Erevan scoprirà la carta di quell’enclave armeno-azera (4400 chilometri quadrati con 192.000 abitanti) carica di contrasti e sulla quale punta da sempre per estendere la sua influenza. Con la certezza, inoltre, di trovare nuovi e forti appoggi occidentali in particolare tra quelle tante lobby armene presenti in Europa, in particolare in Italia, che svolgono sistematicamente opera di pressione sui media e sugli ambienti economici collegati. Che sono poi quelli che si riconoscono nelle lobby israeliane.

Gli armeni si fanno poi forti del fatto che nel Nagorno-Karabach l’etnia di maggioranza (76%) è armena, mentre gli azeri toccano appena il 23%. E così di fronte a queste statistiche diviene sempre più chiaro il discorso di quanti - a Erevan - si affrettano, sull’onda degli avvenimenti dei Balcani, a sostenere sempre più che la regione ha tutto il diritto a separarsi. Il problema ora consiste nel vedere se questo eventuale processo riguarderà soltanto la forma. E cioè una indipendenza con aggancio al governo di Erevan. Oppure una soluzione del tipo Kosovo.

Gli azeri, dal canto loro, difenderanno la loro area contando anche sulle affinità etniche che esistono al di là dei confini di Stepanakert, a cominciare dalla Turchia. Ancora una volta, quindi, le diplomazie mondiali saranno obbligate a “rileggere” la storia di questa terra dei contrasti. Emersa, con forza, nel momento in cui si dissolveva l’Urss tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Erano, appunto, gli anni in cui si andava registrando sempre più una “azerificazione” della regione operata da Baku e nello stesso tempo, una penetrazione di capitali provenienti da Erevan e da quegli esponenti della forte dispora armena nel mondo composta da ricchi commercianti e banchieri.

Si arrivò anche, nel 1988, ad un voto armeno per riunire il Nagorno-Karabach alla “patria”. Seguirono scontri e pogrom organizzati dai fanatici e terroristi delle due parti in campo. Ci furono morti ad Askeran, Sumgait, Spitak e Ghugark. E molti - azeri o armeni - fuggirono dall’enclve in cerca di una vita tranquilla. L’anno dopo - il 1989 - il governo centrale dell’Urss decise di dare alle autorità azere maggiori poteri, al fine di riuscire a controllare la regione. Ma fu una mossa fallimentare. Seguirono altre proteste e altri scontri. E Mosca non riuscì mai a trovare un accordo reale con le due comunità del Nagorno-Karabach. Ma la tragica contesa divampò ancora più forte quando sia l'Armenia che l'Azerbagian si resero indipendenti da Mosca nel 1991.

Nel vuoto che seguì al crollo sovietico, lo scontro tra le due nuove repubbliche fu praticamente manipolato dalla Russia che fornì armi sia agli uni che agli altri. Ci fu anche una storia gialla che caratterizzò l’intera vicenda. Perchè un generale russo, Lev Rochlin, (poi ucciso in circostanze misteriose) in qualità di presidente di una commissione della Duma, denunciò che c’era stato un trasferimento di armi dalla Russia all’Armenia per un miliardo di dollari tra il 1992 e il 1994. E l'Armenia, in risposta, denunciò il fatto che l'Azerbagian riceveva analoghi aiuti dalla Turchia. Da allora è guerra, calda e fredda. Con Mosca che essendo ora a capo di uno stato autonomo cerca di mantenere le distanze. Ma la questione del Nagorno-Karabach rientra nel grande gioco caucasico.

Intanto mentre il contenzioso tra Erevan e Baku si “arricchisce” di nuovi scontri e polemiche di ordine geopolitico i russi manifestano sempre più la loro preoccupazione per quanto accade nei Balcani. Le fonti ufficiali del Cremlino diffondono - tramite i canali dell’agenzia Itar-Tass - commenti estremamente duri nei quali si accusa l’Occidente di violare le norme del Diritto internazionale, e di creare le premesse per la distruzione del sistema dei rapporti internazionali nel dopoguerra. I riferimenti di Mosca vanno a quel sistema di sicurezza globale che fu concepito dai leader della coalizione antihitleriana alle Conferenze di Yalta e di Potsdam negli anni 1944-45. Sistema che aiutò il mondo ad evitare lo slittamento verso un disastro nucleare nella seconda metà del XX secolo.

Ora è chiaro che questo sistema di sicurezza viene sottoposto ad una dura prova tenendo conto che la base delle norme internazionali è quella dell’inviolabilità dei confini del dopoguerra, del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale. L’uso della forza - si nota negli ambienti della diplomazia di Belgrado - è ammesso solo su autorizzazione della comunità mondiale, ossia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Eppure ciò che si registra nello stato indipendente della Serbia negli ultimi dieci anni è una violazione del rapporto tra il diritto e la forza in ambito internazionale.

La situazione è stata provocata, in larga misura, dagli Usa e dai loro alleati europei. E per molti versi quanto avviene ricorda la situazione creatasi in Europa alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Allora, per soddisfare le pretese territoriali della Germania hitleriana le potenze mondiali si spinsero a concludere il Patto di Monaco e costrinsero la Cecoslovacchia a rinunciare ad una parte del suo territorio, le regioni Sudete. Ne derivò la guerra più sanguinosa nella storia dell’umanità. E allora, come oggi, tutto veniva fatto sotto la copertura di voler salvare la pace. Non è stato così.

Ed ora è sempre più chiaro quanto sta avvenendo nel Kosovo. Perchè per gli Usa i Balcani rappresentano oggi non solo la più grande base militare ma anche la possibilità di costruire un ordinamento mondiale basato sul trasporto delle fonti energetiche. Di qui le proccupazioni che vengono avanti anche ponendo sotto l’occhio della geopolitica gli avvenimenti del Nagorno-Karabach.