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di Agnese Licata

Una gran victoria”. Così, l’ha definita il segretario del Partito socialista spagnolo, José Blanco. 169 seggi contro i 153 dei popolari: 16 deputati in più, come nella legislatura conclusasi con le elezioni di ieri. Una vittoria praticamente certa fin dall’inizio della campagna elettorale, anche di fronte a una situazione economica non più particolarmente rosea. Eppure, una vittoria che il Psoe di José Luis Rodríguez Zapatero ha avuto paura di vedersi sfuggire all’ultimo momento, alla stessa velocità con cui nel 2004, tre giorni dopo l’attentato di Madrid, gli elettori spagnoli avevano deciso di strappare la guida del proprio Paese al popolare José María Aznar per assegnarla proprio a Zapatero. Perché quando un gruppo terroristico come l’Eta torna ad uccidere, non c’è sondaggio capace di prevedere le scelte di voto. Soprattutto se il partito al governo è accusato di aver usato poca fermezza contro lo stesso gruppo armato. Fiducia ai socialisti, quindi. Nonostante le paure per l’esecuzione, venerdì scorso, dell’ex consigliere socialista Isaías Carrasco. Nello stesso giorno in cui a Mondragón (cittadina a due passi dal cuore della provincia basca San Sebastián) si svolgevano i funerali di Carrasco, il 43,64 per cento degli elettori spagnoli, oltre 11 milioni di persone, decideva di confermare il Psoe alla guida del Paese. Il modo migliore per rispondere all’appello lanciato sabato dalla figlia di Carrasco, Sandra: “Quelli che vogliono esprimere solidarietà per mio padre e per il nostro dolore, vadano in massa a votare, per dire agli assassini che non faremo neanche un passo indietro”. Probabilmente non è un caso che l’affluenza sia stata quasi identica a quella di quattro anni fa: 75,32 per cento, rispetto al 75,66 del 2004, specialmente se si considera che in Spagna l’astensionismo prevale soprattutto tra le fila degli elettori socialisti.

Guardando più nel dettaglio i risultati e confrontandoli con quelli del 2004, si nota un’accentuazione del bipolarismo a danno dei partiti minori. Psoe e Pp conquistano entrambi più voti, cosa che permette a Zapatero e al suo sfidante Mariano Rajoy di ottenere cinque seggi in più a testa e passando così, rispettivamente, da 164 a 169 e da 148 a 153. Si è però ridotta la percentuale di voti che divide i due partiti: nel 2004 era pari al 4,88 per cento, oggi si ferma al 3,5. Sommando il 43,6 per cento dei socialisti e il 40,1 dei popolari, si ottiene un 83,7 per cento, oltre tre punti percentuali in più rispetto al 2004. Se si escludono i nazionalisti della CiU - terza forza del Paese con 11 deputati e abbastanza stabili nel numero di voti conquistati - tutti gli altri partiti hanno registrato una flessione. Due su tutti: l’Esquerra Republicana e l'Iu. Il primo, un partito indipendentista catalano, perde cinque seggi su otto e dimezza i suoi voti a favore del Partito socialista catalano affiliato al Psoe. Il secondo, una forza di estrema sinistra, si ritrova in una situazione abbastanza paradossale. Nonostante una percentuale di voti del 3,8 per cento, superiore a quella della CiU, conquista solo due deputati, perdendone tre. Risultato, questo, dell’assegnazione dei seggi su base provinciale e ulteriore dimostrazione che nessun sistema elettorale è perfetto.

Se è vero che vincere è difficile, ma riconfermarsi lo è ancora di più, la fiducia ottenuta dai socialisti è certamente la conseguenza di un quadriennio di importanti riforme che hanno portato la Spagna a fare grandi passi avanti sul fronte dei diritti e a superare l’Italia per Pil pro capite. Proprio paragonando due nazioni per diversi aspetti simili, Il The Guardian ha riassunto tutto con una frase: “La Spagna va avanti mentre l’Italia gira su se stessa”. Aumento dei posti di lavoro, crescita a lungo vicina al 4 per cento; e poi riconoscimento del matrimonio per i gay, capacità di ricondurre il Vaticano a più miti consigli, inasprimento delle pene per le violenze domestiche contro le donne e una forte politica di sostegno agli immigrati. Senza dimenticare la coraggiosa scelta di abbandonare il fronte iracheno.

Di fronte a queste azioni concrete, il partito popolare ha avuto partita persa in partenza, non essendo stato in grado di crearsi un’identità coerente. Troppe, del resto, le forze che convergono nel Pp: liberali ed ex franchisti, clericali e secolarismi, nazionalisti e xenofobi. La mancanza di carisma di Mariano Rajoy ha fatto il resto.

In prospettiva, il lavoro di Zapatero non sarà facile. Dopo anni positivi, l’economia spagnola mostra segni di cedimento. Dopo un 2007 al +3,8 per cento, le previsioni di Zapatero per il 2008 non superano il +3,1 per cento, mentre i pessimisti stimano un +2,4 per cento. La disoccupazione è salita all’8,6 per cento. E poi c’è un’inflazione al 4,3 per cento che inevitabilmente risente del caro-petrolio. Senza dimenticare la bolla immobiliare che potrebbe essere vicina a scoppiare, dopo che negli ultimi anni la Spagna ha costruito nuove case più di Inghilterra, Francia e Germania messe insieme. Durante la campagna elettorale Zapatero ha promesso sgravi fiscali e aumento delle pensioni, sfruttando le entrate derivanti da quei 2,7 milioni di nuovi contribuenti (per la maggior parte stranieri regolarizzati). Per ora, gli spagnoli gli hanno confermato la loro fiducia.