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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

MOSCA. Si aprono di nuovo gli archivi della vecchia Unione Sovietica e sulla Cecenia si leggono altre pagine di verità relative all’arco di tempo che va dal 1922 al 1934. Sono gli anni di Stalin e della polizia politica (la Ogpu) diretta da quel potente Ghenrich Grigor’evic Jagoda che nel 1938 sarà comunque fucilato... Ora nei sotterranei della Lubjanka - sede da sempre dei servizi repressivi - e del Cremlino si allineano chilometri di documenti, relazioni, rapporti stenografici, lettere, confessioni e denunce. Tutto in relazione alla situazione interna sovietica e al controllo della polizia e dei servizi militari. I dossier sulla Cecenia di quei tempi sono, a dir poco, impressionanti. Li troviamo - grazie ad una rara possibilità che ci è stata offerta - allineati in moderne scaffalature, e sappiamo che verranno inclusi in una opera monumentale intitolata “Dalla Lubjanka a Stalin sulla situazione del Paese”: 6127 pagine di documenti originali che comprenderanno tutti i rapporti di polizia che arrivavano sui tavoli del Cremlino e, in particolare, nella scrivania di Stalin. Nessun ritocco, nessun commento fuori luogo, solo testi e “mattinali” redatti con lo stile tipico delle questure di quei tempi. E, ancora una volta, la realtà supera l’immaginazione. Nei questi dossier che scorrono ora sotto i nostri occhi, c’è la radiografia completa del Paese. Un labirinto che va dalle regioni baltiche all’estremo oriente sul Pacifico, dai villaggi del Nord siberiano alle zone asiatiche dove infuria la lotta contro quei mussulmani che non si arrendono al nuovo potere sovietico. Ma noi scegliamo i dossier sul Caucaso e, in particolare, quelli sulla Cecenia, dal momento che il problema di Grozny è sempre estremamente attuale. Carico di incognite, di scontri e di attentati con i quali anche il nuovo inquilino del Cremlino dovrà confrontarsi...

Ed ecco i primi dossier che possiamo leggere. Si riferiscono al gennaio 1921 quando viene costituita a Vladikavkaz una "Repubblica sovietica autonoma dei popoli montanari", la cui autonomia è così grande che al suo interno viene applicata la sharia, la legge islamica. Negli uffici pubblici compare il ritratto dell’Imam Shamil. Ai ceceni vengono restituite le terre che erano state confiscate sotto gli zar e assegnate ai coloni cosacchi. Ma tutto è destinato a crollare sotto l’evidenza dei fatti che i servizi segreti illustrano con rapporti e documenti.

E’ il 15 ottobre del 1922. La Gpu informa che “in Cecenia e in tutto il Caucaso la situazione è fuori controllo”, si sviluppano “proteste di massa contro il potere sovietico”. L’11 novembre arriva un telegramma firmato da Jagoda: “Abbiamo inviato rinforzi militari e reparti di polizia perchè in Cecenia la situazione è seria e non esiste un potere stabile”. E ancora, il 22 novembre: “La popolazione si sta sempre più schierando dalla parte dei nazionalisti e l’Islam locale è con quanti lottano contro il potere sovietico”.

Il 1923 si apre con un messaggio allarmante. E’ quello del 21 gennaio con Jagoda che, con pochissime parole, annuncia: “La Cecenia vive nell’anarchia”. Ad aprile: “Il clero islamico attacca il potere sovietico mentre a Groznij e nel Daghestan si vanno rafforzando sempre più le bande armate antisovietiche. Abbiamo intensificato le azioni repressive, ma poi le abbiamo attenuate perchè si è visto che provocano nuove e più ampie proteste”.

Nel 1924 Stalin scioglie la "Repubblica della montagna" e inserisce nella Federazione russa le varie nazionalità ridotte al rango di regioni autonome. E subito arrivano al Cremlino informazioni allarmanti: “In questi primi mesi dell’anno abbiamo individuato nuove organizzazioni clandestine antisovietiche” e a luglio arriva la notizia relativa a gruppi armati di ceceni che “stanno attaccando gli edifici dove si trovano le sedi del nostro potere”. Ad agosto l’allarme riguarda la linea ferroviaria che collega la Cecenia al Daghestan. Si segnalano poi azioni terroristiche mentre le popolazioni locali si rifiutano di pagare le tasse...

Nel 1925 i servizi di sicurezza annunciano da Groznij l’avvio di una grossa operazione tesa a disarmare i ceceni. “Dal 23 al 26 agosto - questo il telegramma che arriva al Cremlino - abbiamo mobilitato 4840 soldati di fanteria e 2017 guardie a cavallo. Grazie a questa operazione sono state confiscate 130 apparecchiature valide per la fabbricazione di fucili e munizioni varie”.

Nel 1926 i “sentimenti antisovietici” si fanno sempre “più forti” e si registrano scontri tra russi e ceceni. A settembre “si teme uno scontro militare a vasto raggio”. Nel 1927 Jagoda è più che mai sintetico, segno che la situazione è veramente fuori controllo: “Ora è lotta aperta”. E a marzo gli organi della sicurezza segnalano che in tutta la Cecenia si va diffondendo lo slogan: “Non abbiamo bisogno del potere sovietico”. Contemporaneamente circolano, con sempre maggiore insistenza, “voci su una possibile guerra tra l’Urss e l’Inghilterra”. E i ceceni fanno capire che se questo avverrà “sarà la volta buona per fucilare i comunisti”.

Nel 1928 alla lingua cecena, che veniva trascritta usando l’alfabeto arabo, viene imposta la trascrizione in caratteri latini (e poi, successivamente, in quelli cirillici, nel quadro di una russificazione strisciante). Contemporaneamente comincia la collettivizzazione forzata dell’agricoltura e della pastorizia, che per il Caucaso significa anche una sedentarizzazione forzata dei nomadi. Nello stesso anno vengono abolite le scuole coraniche.

Intanto - così segnalano gli organi di polizia - “i kulaki stanno alzando sempre più la testa”. Nel 1929 si segnalano numerose azioni terroristiche mentre “si prepara un’insurrezione generale contro la Russia” e i documenti che seguono sono tutti bollettini di una guerra che Mosca combatte tra le montagne con i ceceni che non mollano. I chilometri di documenti allineati nelle cantine della Lubjanka e del Cremlino potrebbero portarci a leggere quei dossier relativi alla deportazione dei ceceni organizzata da Stalin, ma il viaggio sarebbe, in questo labirinto, troppo lungo.

Così, lasciando gli archivi, il cronista torna a vedere l’altra realtà. Quella di una repressione russa che si serve di personaggi come Kadyrov. Ma ora in Russia, sulla base delle recenti elezioni presidenziali, si riapre anche il discorso generale sulla “questione cecena”. In particolare vengono evidenziate le posizioni di quelle forze che, pur trovandosi all’opposizione del Cremlino, mostrano unità di vedute ed approcci di stampo prettamente nazionalista sulla questione del conflitto caucasico.

Il che vuol dire che sulla Cecenia - quanto a stabilità politica a livello del nuovo governo - Putin e Medvedev possono stare tranquilli. Non ci sono discordanze perchè anche quelle forze che dovrebbero difendere i diritti delle minoranze, si ritrovano dalla parte di quanti considerano la Cecenia come una terra di banditi e di terroristi alla quale negare ogni diritto ad una autonomia reale.

Il Cremlino trova così ampi consensi quando, per coprire le sue responsabilità, parla della necessità di ristabilire la “vita normale” di quella regione e si riallaccia, per sostenere tale tesi, a quanto va dicendo il leader dei comunisti Zjuganov e cioè che nel Caucaso c’è una generazione che è stata “rovinata da una guerra decennale, vissuta in mezzo al banditismo e all’illegalità”. Banditismo ed illegalità - nessuno lo mette in dubbio - sussistono certamente. Ma non sono le caratteristiche di un popolo che punta alla vera liberazione nazionale. Zjuganov, in tale contesto, individua vari approcci per risolvere la questione nel suo complesso parlando di una Cecenia dove si sarebbe concentrato “il peggio di ciò che si manifesta in qualsiasi regione russa”.

E così parla del regime “criminale-oligarchico che vige in Russia” per poi affermare subito che è in atto un processo che punta allo smembramento della Russia. E qui l’obiettivo di un simile ragionamento è chiaro. I comunisti puntano a presentarsi come i difensori dell’unità nazionale e dell’integrità territoriale del Paese. Ma in questo caso dimenticano che dalle popolazioni caucasiche vengono sempre più avanti posizioni storiche che ricordano ai russi i mali subiti dalla regione, sia nel passato zarista che nel periodo sovietico, con vessazioni e deportazioni della popolazione locale.

Si dimentica, volutamente, il fatto che la Cecenia non è russa e non vuole essere russa. E’ un’entità a parte, sia come tradizioni che come storia, religione e, tutto sommato, politica. E su questo aspetto quelle forze che ora cercano di opporsi all’autonomismo ceceno sono costrette a fare serie ammissioni di colpa. Ma il Cremlino non indietreggia ed insiste sostenendo che la repubblica caucasica negli anni passati è stata “trasformata in un centro di raccolta di elementi criminali di ogni risma e nazionalità”; di conseguenza si sostiene che la guerra dei caucasici non è una guerra di liberazione nazionale. E’ invece una sorta di sedizione a tutto campo alla quale è stata applicata l’etichetta di lotta religiosa che ha una sua base sociale forte di schiere di disoccupati e, soprattutto, di criminali. C’è in atto, in pratica, un processo di criminalizzazione di quella parte importante della popolazione che non si riconosce nei russi e nella Russia.

Il problema, ora, è il “che fare” nel momento in cui le spinte nazionaliste che vengono dal Kosovo soffiano fortemente sull’intera regione del Caucaso. I russi fanno così appello al senso di patriottismo. E in questo contesto si registra una intesa tra quelle forze che si definiscono “internazionaliste” e quelle che si richiamano al “grande nazionalismo russo”. Un fronte chiamato a lottare contro l’indipendenza nazionale definita, in senso spregiativo, come separatismo. Ma in questo contesto si dimenticano storie e tradizioni.

Perchè in Cecenia non c’è mai stata una unità statale con Mosca, non sono mai stati radicati quei principi che il potere zarista prima e quello sovietico poi avevano tentato di affermare. Ora il Cremlino (unito alle forze dell’opposizione) fa appello a sforzi generali che tendano all’integrazione dei popoli della Cecenia facendo riferimento anche a “provvedimenti eccezionali”. Sappiamo come si è mosso Putin, ma come si muoverà Medvedev non è ancora chiaro.