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Categoria: Esteri
di Giuseppe Zaccagni

In un Iran segnato da forti problemi economici, da una inflazione galoppante e da polemiche e accuse a livello interno e internazionale, il presidente Mahmud Ahmadinejad e i suoi seguaci (tutti su posizioni ispirate ad un populismo di stampo iraniano e affascinati da grandi ambizioni) cantano vittoria per aver superato la prima parte della prova elettorale, confermando il controllo sulla composizione parlamentare che li dovrebbe portare ad avere i due terzi dei seggi. Escono invece battuti dalle urne quei fondamentalisti alternativi (riformisti) che a Teheran, in particolare, si sono caratterizzati sfidando direttamente lo schieramento favorevole al presidente in carica. Ma i giochi politici, ovviamente, non sono conclusi e si prevedono - in vista di ulteriori ballottaggi - nuove azioni anche per il fatto che i riformisti mostrano di mantenere le posizioni che avevano nell'assemblea precedente, sperando così di avvicinarsi al 20 per cento dei seggi. Tutto fa dire al portavoce della Coalizione dei riformisti, Abdollah Nasseri, che "malgrado le restrizioni, siamo riusciti a disturbare il gioco dei nostri avversari". Seguono a ruota le polemiche sul valore del voto che, secondo la “Guida suprema” del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei, (passato da “padre spirituale” di Ahmadinejad a sponsor del radicale moderato Larijani), deve essere considerato come "un dovere politico e religioso". I giochi del potere si fanno quindi sempre più complicati, pur se i risultati delle legislative non comportanto (per ora) cambiamenti sostanziali di direzione sui principali temi di politica internazionale, a partire dal braccio di ferro con l’Occidente sul programma atomico. Lo stesso ayatollah Khamenei, nel vivo di questa battaglia, cerca di affermarsi sempre più come mediatore tra le varie tendenze e fazioni. Il suo obiettivo sembra essere quello di un “padre spirituale” che si muove con estrema pragmaticità influenzando il pensiero e la politica al fine di trovare l’equilibrio giusto tra i poteri e permettere al regime di sopravvivere. Non, quindi, un “pro Ahmadinejad” né un “pro Larijani”, ma un esponente che punta a prendere tempo tenendo conto che Ahmadinejad ha vinto, ma non ha sconfitto i concorrenti...

L’obiettivo è quello di reggere sino al 2009, quando si svolgeranno le elezioni presidenziali. Sarà in quel momento che i giochi si faranno pesanti non solo all’interno dell’ampia coalizione dei riformisti. Entreranno in campo schieramenti che ora sembrano “in sonno” ma pronti ad alzare il tiro riprendendo in qualche modo il controllo della situazione, sfruttando anche il malcontento popolare per una economia sconvolta dall’inflazione e per una realtà sociale sempre più minata dalla disoccupazione (oltre la metà della popolazione ha meno di 30 anni). Pur se il paese è il quarto produttore al mondo di petrolio - ed ha ampiamente beneficiato dell’impennata dei prezzi del greggio, le cui vendite hanno portato nelle casse dello Stato 63 miliardi solo nell’ultimo anno - la normalità economica e sociale è ancora lontana.

Sono in molti a contestare le spese a pioggia del governo Ahmadinejad e la sua decisione di tagliare il costo del denaro, con una conseguente crescita dell’inflazione. Tanto che la Banca centrale sostiene che l’aumento dei prezzi al consumo sfiora il 20% annuo, rispetto al 12%. Proprio dalla situazione economica sono nati i malumori che hanno portato una parte del campo conservatore a prendere le distanze dal leader maximo, raggruppandosi sotto la guida di Ali Larijani. Ora, comunque, la realtà delle cifre riporta il discorso sulle percentuali reali e sul senso generale del voto che un grande ayatollah come il dissidente Hossein Ali Montazeri contesta apertamente sostenendo che “queste non sono vere elezioni ma nomine”. Una posizione di attacco che consente al diretto oppositore di Ahmadinejad, appunto Ali Larijani, ex negoziatore sul nucleare (eletto con il maggior numero di voti nella città santa sciita di Qom), di alzare i toni polemici e riproporre il problema della leadership. Tanto più che nell’arena politica degli ultimi mesi si sono andati sempre più delineando vari gruppi di “conservatori” molti dei quali riuniti attorno al sindaco di Teheran, Mohammed Baqer Qalibaf, un radicale moderato.

Quanto al voto delle settimane scorse secondo il ministro dell'Interno, Mostafa Pur-Mohammadi, la percentuale dei partecipanti sarebbe stata del 60%" degli aventi diritto. Ma i riformisti sottolineano che se si parla di 25 milioni di elettori che si sono recati ai seggi, ciò fa scendere la percentuale al 57 per cento su un totale di 43,8 milioni di elettori iscritti. E si fa notare che, in questo quadro, a Teheran l'affluenza non è andata oltre il 40 per cento. Ahmadinejad tuttavia, in un messaggio di congratulazioni inviato a Khamenei, afferma: "La presenza del popolo ha impresso il marchio della vergogna sulla fronte dei nemici, che ora si pentono". Un gesto plateale, questo, carico anche di demagogia volta a riprendere in qualche modo il controllo della situazione.

Molte, però, le ombre sulla prima vittoria: nella capitale, dove sono in palio 30 dei 290 seggi del Parlamento, secondo dati non ancora definitivi, 11 candidati risulterebbero eletti direttamente e si tratta di esponenti conservatori. Per gli altri 19 bisognerà ricorrere ai ballottaggi, che si terranno alla fine di aprile tra altri 38 candidati. Tra coloro che andranno al secondo turno figurano anche alcuni riformisti. Al ballottaggio vanno i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti senza aggiudicarsi almeno il 25 per cento delle preferenze espresse in una circoscrizione.

Sin qui i dati nudi e crudi relativi agli schieramenti che si sono evidenziati nella battaglia elettorale. Ma i veri problemi della politica locale sono a monte e di ordine ideologico. Soprattutto per il fatto che le eredità del passato sono estremamente pesanti e molte riferite al periodo degli anni Ottanta quando nel Paese il problema centrale, unificante, era quello di difendersi dall’invasione irachena e dalle conseguenze di quello che veniva definito come “complotto internazionale”. In questi contesti si andavano delineando i confini tra quanti si consideravano monarchici e quanti manifestavano idee di sinistra. Ma a prevalere nei due campi erano pur sempre posizioni mistiche e totalitarie segnate dall’intransigenza più radicale.

Va ricordato, tra l’altro, che furono proprio quelli che oggi si considerano conservatori moderati ad appoggiare prima il presidente Khatami e poi ad averlo abbandonato, ritenendolo debole di fronte alle pressioni americane. Ora la situazione contemporanea si caratterizza anche con forti pressioni di stampo occidentale. C’é una certa liberalizzazione degli spazi pubblici e una frammentazione del potere politico tra riformisti e fondamentalisti. Si registra una fioritura di giornali, di Internet e di trasmissioni satellitari che inducono a pensare che la società potrebbe avviarsi verso i lidi di una tolleranza, meno religiosa e tradizionalista. Proprio perché, nonostante le imposizioni del sistema politico di Ahmadinejad, la religione vive la propria modernità con una certa pluralità di forme, opzioni e diritti. Un processo, questo, che si va sviluppando in un contesto globale e mediatico (dove coesistono tradizione e modernità) che dovrebbe emarginare le tendenze radicali. Ogni discorso di ordine sociologico è possibile, ma saranno gli avvenimenti internazionali (e soprattutto quelli del vicino Iraq) a dettare l’agenda di Teheran in vista delle presidenziali del 2009.