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Categoria: Esteri
di Luca Mazzucato

Il sei settembre dello scorso anno la notizia di un attacco israeliano alla Siria fa il giro del mondo e i commentatori fanno a gara per scoprirne i dettagli, si suggerisce un obiettivo nucleare. Se ne parla in tutto il mondo, ma non in Israele: la censura militare dell'IDF vieta per un mese intero la diffusione della notizia su tv, radio, giornali e stampa online. L'unica menzione permessa è la frase virgolettata “Secondo fonti straniere un raid israeliano ha colpito un obiettivo siriano.” L'affaire siriano ha mostrato la potenza e la pervasività della censura militare, che in Israele ha un potere di intervento illimitato. In quei giorni di settembre, per capire cosa stesse succedendo, se ci fosse il pericolo di una guerra imminente con la Siria dopo che per mesi l'IDF ne ventilava l'eventualità, i cittadini israeliani non avevano molte scelte. Una cortina impenetrabile di “no comment” da parte del governo, dell'esercito, di tutte le istituzioni, faceva il paio con il tono vago e trasognato degli organi di stampa. I telegiornali sparavano la notizia nei titoli di testa: “Secondo fonti straniere..” e non davano alcun dettaglio. Nei giorni seguenti, i programmi di approfondimento cercavano di carpire informazioni dagli esperti militari, ma l'ordine perentorio di non divulgare la notizia trasformava gli show in commedie dell'assurdo, dove giornalisti imbarazzati si prodigavano in performance surreali. Perché dietro la telecamera, nel buio della sala di montaggio, era in agguato il censore militare.

Su tutti i canali, in tutte le redazioni, pronto a tagliare, rimescolare, oscurare se necessario. Nel caso dell'attacco alla Siria, il divieto di divulgazione è ancora in vigore in Israele e solo fra un mese si sapranno alcuni dettagli, nel corso di una prevista audizione dell'intelligence americana al Congresso, che comunque Israele sta cercando di bloccare in tutti i modi.

Una recente inchiesta del quotidiano israeliano Ha'aretz ha svelato i retroscena dell'apparato di censura dell'IDF. Il direttore della Censura militare è nominato dal Ministro della Difesa, ma dopo la nomina gode di discrezionalità illimitata. Secondo la legge istitutiva, che risale al 1945 sotto il Mandato britannico, lo scopo della censura è “proibire la pubblicazione di qualsiasi notizia che metta a repentaglio la sicurezza dello stato.” Ventiquattr'ore su ventiquattro, una squadra di trenta censori setaccia ogni programma televisivo o radiofonico, ogni pubblicazione cartacea e i più importanti siti web, alla ricerca di materiale che possa essere usato dal nemico (nella cui categoria rientrano ad esempio Siria, Hezbollah, Iran, i militanti palestinesi e tutti i paesi arabi) contro Israele.

Il capo ispettore Vaknin-Gil, intervistato da Ha'aretz, spiega i retroscena del suo lavoro. Il novanta percento di tutto il materiale pubblicato passa per la stanza del censore, per venire controllato prima della pubblicazione (il restante dieci percento è comunque innocuo). Circa un ottavo del materiale totale subisce una censura, spesso si tratta di una frase o qualche parola. È comunque raro che un intero report venga interamente cancellato. Se una testata giornalistica non è d'accordo con la decisione del censore, può appellarsi al “Comitato dei Tre,” formato da un militare, un giornalista e un membro del pubblico, che ha l'ultima parola sulle violazioni della censura.

Per quanto riguarda internet, la tattica del censore è di occuparsi dei grossi siti di notizie online, tralasciando completamente i blog e il resto della rete. La quantità delle notizie, infatti, è talmente elevata, e la sua attendibilità talmente scarsa, che il “nemico” annegherebbe tra le newsletter.

Alcuni esempi di censura. Sul sito di Ha'aretz compare un articolo che rivela i particolari di un rapporto dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interno) sul recente attacco alla scuola rabbinica. Il censore, che monitora in tempo reale i principali siti dei quotidiani, chiama immediatamente la redazione, che provvede a rimuovere dall'articolo il dossier in questione.

Per quanto riguarda i network televisivi, nelle redazioni di tutti i telegiornali è presente un censore militare, che visiona i servizi “sensibili” alla ricerca di notizie che potrebbero risultare dannose per la sicurezza israeliana: ad esempio rimuove il volto di agenti della sicurezza ritratti in fotografie o servizi televisivi, oppure censura i dettagli dei piani dell'IDF a Gaza o delle prossime trasferte di Olmert.

In caso di conflitto irriducibile tra stampa e censori, la disputa può finire davanti alla Corte Suprema, come successo nel 1989: la Corte, intervenendo in una causa tra un quotidiano e la censura militare, ha stabilito che la censura è applicabile “solo in casi eccezionali, quando sussiste la certezza immediata che un danno concreto verrebbe causato alla sicurezza dello Stato.”

Nel corso degli anni la censura è diventata più liberale, a parte un forte irrigidimento sulla questione del nucleare israeliano (Israele, pur possedendo un discreto arsenale nucleare, segue una politica di “ambiguità” ovvero non conferma né smentisce la presenza di testate nucleari). Nonostante i continui conflitti tra editori e censura, è opinione diffusa tra i giornalisti che l'attuale sistema è il miglior compromesso raggiungibile e tutti si guardano bene dal chiederne una riforma: se la Knesset si occupasse della censura, di sicuro il cambiamento andrebbe verso una ulteriore restrizione della libertà di stampa.

Proprio questo infatti è accaduto recentemente, quando la Knesset ha approvato in prima lettura una legge che impone agli internet provider di impedire l'accesso a siti contenenti materiale “sensibile” (la definizione è stata lasciata vaga di proposito), a meno di una esplicita richiesta di rimozione dei filtri da parte del cliente.

Secondo il capo censore dell'IDF, l'atteggiamento dei giornalisti israeliani è molto responsabile, anche se sarebbe sbagliato definirlo patriottico. Sono i primi a valutare criticamente se una notizia può giovare al nemico e nel caso esercitano l'autocensura. Inoltre, nel caso in cui degli scontri tra l'IDF e militanti palestinesi provochino delle vittime tra i soldati, i giornalisti si astengono dal pubblicarne la notizia, prima che vengano avvertite le famiglie dei militari colpiti. A questo proposito, sono molto più puntuali e tempestive le news che i siti stranieri pubblicano su Israele in tempo reale.

Nei riguardi della censura, l'atteggiamento dell'opinione pubblica israeliana si è rivelato più realista del re. Durante la Seconda Guerra del Libano, nell'estate 2006, i network televisivi hanno subito l'assedio continuo di orde di telespettatori inferociti. Ma invece di chiedere più dettagli sull'andamento della guerra, il pubblico protestava per l'eccessivo copertura della campagna militare! “Migliaia di telefonate di cittadini isterici,” racconta il capo censore, “bersagliavano i centralini del nostro ufficio,” chiedendo che oscurassero le notizie dal fronte.”

Gli israeliani volevano evitare che il nemico scoprisse i piani dell'esercito dai telegiornali israeliani, una preoccupazione forse giustificata dall'andamento drammatico della guerra sia in Libano che sul fronte interno. Sulle questioni riguardanti la censura militare, dunque, hanno forse ragione i giornalisti israeliani a sperare che lo status quo legislativo non venga modificato. La sindrome di accerchiamento dell'opinione pubblica israeliana, di cui i media stessi sono responsabili, potrebbe portare ad un ampio consenso in favore di un inasprimento della censura.

In questa eventualità, non resta che sperare che il capo censore sia fedele al motto di Thomas Jefferson, incorniciato dietro alla sua scrivania: “Se dovessi decidere tra avere un governo senza giornali o giornali senza un governo, non esiterei un momento a preferire la seconda ipotesi.”