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Categoria: Esteri
di Elena Ferrara

E’ stato il giorno del giudizio per 17milioni e 600mila nepalesi che nell’antico regno himalayano hanno mandato in archivio 240 anni di monarchia indù. Le elezioni per l’Assemblea costituente si sono infatti rivelate un vero e proprio referendum epocale, dal momento che hanno sancito l’inizio di una nuova era di gestione politica e istituzionale. Alle spalle resta quell’accordo di pace firmato nel 2006 con la guerriglia maoista che ha praticamente chiuso 10 anni di guerra civile e segnato la trasformazione dei ribelli in un partito politico. I nepalesi hanno dovuto scegliere 601 rappresentanti che riscriveranno la Costituzione e governeranno il Paese in attesa delle elezioni legislative. Si tratta delle prime elezioni libere dal 1999. L'obiettivo della Costituente sarà ora quello di trasformare l'antico paese in una repubblica. Per conoscere i risultati definitivi dello scrutinio bisognerà però attendere la fine di aprile o i primi di maggio. Grandi sono ora le aspettative di cambiamento tra la popolazione, anche se gli analisti notano che una reale svolta richiederà tempo. “Le giornate dopo il voto saranno difficili e pericolose - avverte l'International Crisis Group - il comportamento dei perdenti più potenti determinerà la fase post elettorale”. Uno dei perdenti più noti è quel re Gyanendra - l’ultimo monarca hindu - che ha cercato di ottenere un potere assoluto, ma che fu costretto a rinunciare al suo trono, due anni fa tra le proteste di piazza. Contro di lui si scatenò, infatti, il partito comunista nepalese che per oltre un decennio lottò per creare una repubblica comunista. E nel conflitto, divampato nel 1996, morirono oltre 13mila persone.

Il voto attuale è stato sancito ufficialmente, pur se la campagna elettorale è stata accompagnata da gravi scontri. Almeno 12 persone sono state uccise in violenze a sfondo politico nelle ultime settimane. Negli scontri sono morti due candidati ed anche sette militanti del Partito comunista marxista. Si è anche appreso - grazie a notizie apparse in alcuni media locali - che in vari seggi provinciali il voto era stato sospeso, dopo che i maoisti avevano cercato di sottrarre delle schede e intimidire gli scrutatori. E mentre si registrano queste notizie c’è chi ricorda che il costo totale del conflitto in Nepal, nel solo biennio 2001-2003, fu di 119 miliardi di rupie nepalesi (Nrp), pari a 1,7 miliardi di dollari.

La novità del Nepal di oggi consiste anche nel fatto che il Paese - che ha conosciuto la libertà religiosa solo nel 1991 - è riuscito ad esprimere una candidata cattolica. Gli osservatori internazionale presenti nella capitale Kathmandu fanno presente che si tratta di una circostanza particolarmente significativa in una nazione nella quale meno di due decenni fa si arrestavano i cristiani perché predicavano in pubblico o anche solo perché si erano convertiti.

Candidata in una lista che rappresenta il "Nepal Family Party", un partito di recente formazione, la donna si chiama Eliza Pradhan (insegna presso la scuola superiore dei gesuiti "St. Xavier's" di Kathmandu) ed ha portato avanti una campagna elettorale per fare conquistare seggi al suo partito sulla base di un sistema di rappresentanza proporzionale, nel tentativo di consentire una presenza più equa delle donne, delle caste inferiori e degli altri gruppi emarginati. Anche alcuni candidati protestanti si sono impegnati per conquistare i voti dei cristiani.
La Pradhan, ha svolto una campagna elettorale nella parte orientale del Paese, dove la concentrazione di cristiani è relativamente alta.

Fra i cattolici in Nepal c'è chiaramente soddisfazione per la possibilità di essere ora rappresentati nell'assemblea costituente, ma anche per la possibilità che si materializzi l'opportunità perché altri cristiani entrino in politica e facciano sentire la propria voce. E questo tenendo conto del fatto - come ha dichiarato il vescovo Anthony Sharma, vicario apostolico di Nepal - che i cattolici non hanno partecipato attivamente alla politica nel Paese. Ora una volta eletta, l'assemblea costituente scriverà una nuova costituzione per il Nepal, con la quale, tra le altre cose, sarà formalizzata la decisione presa dal parlamento nel 2006 di trasformare il Nepal da nazione indù in uno stato laico, e sarà, di conseguenza, deciso il destino della monarchia.

Non tutto, comunque, è chiaro in questo Paese che è sempre gravido di problemi ed incognite. Pesa soprattutto il ruolo dei maoisti che hanno sempre mostrato di operare nel quadro di una costante opera di smantellamento del potere centrale, avanzando strategie alternative. E pur se hanno dichiarato di voler restare fedeli al risultato elettorale, nell’aria ci sono sempre quelle minacce avanzate più volte. La strategia è stata annunciata dal leader maoista Baburam Bhattarai durante un incontro avvenuto il 13 febbraio, quando le associazioni affiliate ai maoisti si riunirono nella capitale per festeggiare il tredicesimo anniversario dalla nascita del Partito maoista nepalese.

In quell’occasione Bhattarai parlò di un piano alternativo da mettere in atto nel caso il Partito avesse perduto le elezioni: “Stiamo combattendo per uno Stato repubblicano e stiamo facendo quanto in nostro potere per vincere le elezioni, ma se non dovessimo farcela prenderemo il potere evitando la violenza. In passato usavamo l’insorgenza armata, ma ora vogliamo combattere con mezzi pacifici. Dobbiamo vincere ad ogni costo. Il trionfo è inevitabile”. Il capo del Partito maoista, Prachanda aka Pushpa Kamal Dahal, ha accusato i monarchici e le forze internazionali di essere responsabili dell’aumento della violenza nella zona di Terai, nel sud del Paese: “I Paesi stranieri e i monarchici - ha detto - garantendo il sostegno ai piccoli partiti stanno in realtà creando impedimenti che mettono a rischio le elezioni”. Pushpa Kamal Dahal ha aggiunto che i partiti a Terai “crescono come funghi” e non costituiscono nuove speranze per la gente, ma soltanto ostacoli nella corsa alle elezioni.

I maoisti che si sentono sempre in piena campagna elettorale acclamano a gran voce Pushpa Kamal Dahal candidato alla presidenza del “Nuovo Nepal”. Inoltre, sembra che stiano impedendo ad altri partiti di associarsi minacciando di morte i vari membri ed esponenti politici. Tra l’altro hanno recentemente attaccato Dilendra Prasad Bandu, leader del Congresso nepalese ed ex ministro mentre si trovava in un’area isolata del Paese per la campagna elettorale. Bishnu Raj Upreti, analista politico esperto di conflitti, commenta: “I maoisti stanno alimentando la confusione nella gente. La minaccia di prendersi il potere genera paura all’interno del Paese e a livello internazionale. Ma il Partito sa che mancherebbe di una base legale per governare”.

Ecco, quindi, che si guarda al nuovo futuro di questo Paese, considerato a livello del turismo mondiale come un’idilliaca regione montuosa, una sorta di Shangri-La ideale per il trekking e l’alpinismo e per esperienze mistiche a buon mercato. La verità è che questo è sempre stato uno stereotipo. Il Nepal è stato un paese oppressivo e diviso durante l’intera dinastia Shah, un regime feudale, aristocratico, monolitico, fondato su uno Stato chiuso e accentratore. Ecco ora che con la nuova fase costituente - post monarchica - bisognerà cominciare ad immaginare quale nuovo regime si instaurerà a Kathmandu, per scongiurare il rischio che il Nepal precipiti nuovamente nel caos.