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Categoria: Esteri
di Michele Paris

A quasi due mesi di distanza dall’ultimo grande successo in una delle primarie in corso per la nomination democratica (1 marzo in Mississippi con un margine di 24 punti percentuali), Barack Obama torna a conquistare uno Stato prevalendo in North Carolina con il 56% delle preferenze contro il 42% della sua rivale. Una vittoria limpida quella del Senatore dell’Illinois che, assieme al quasi pareggio dell’Indiana (49% a 51%), gli permette di consolidare il suo vantaggio su Hillary Clinton sia nel bilancio dei delegati conquistati, sia per quanto riguarda il voto popolare, nonché di guardare con una certa fiducia ai rimanenti appuntamenti in calendario fino ai primi di giugno vedendo aumentare anche le proprie chances di unificare il Partito Democratico intorno alla sua candidatura dopo le polemiche delle ultime settimane. Per l’ex First Lady, sulla quale verosimilmente nei prossimi giorni aumenteranno le pressioni per un ritiro dalla competizione, non è arrivata invece quella vittoria travolgente che auspicava in Indiana sulla scia delle precedenti affermazioni in Ohio e in Pennsylvania, né il margine in North Carolina è stato ridotto in maniera significativa nonostante il potente dispiegamento di mezzi messo in campo dal suo staff. Le due settimane appena concluse, e seguite alla pesante sconfitta incassata in Pennsylvania, sono state probabilmente per Obama le più difficili dell’intera campagna elettorale iniziata con i caucus in Iowa il 3 gennaio scorso. Esposto agli attacchi di Hillary e di buona parte dei media in seguito alla riapparizione sulla scena dell’ex pastore della sua Chiesa di Chicago, il Reverendo Jeremiah A. Wright jr., protagonista di svariate interviste nelle quali ha ribadito le sue accuse al governo americano di essere in parte responsabile per gli attacchi dell’11 settembre e di aver deliberatamente diffuso il virus dell’AIDS per decimare la popolazione di colore, e per le difficoltà da lui incontrate nel conquistare consensi all’interno di una diffidente “working-class”, il Senatore afro-americano alla fine non è stato penalizzato eccessivamente dagli elettori. Entrambi i candidati infatti hanno potuto contare anche in North Carolina e in Indiana in maniera sostanziale sul supporto di quei gruppi sociali, etnici, generazionali e di genere che erano stati alla base dei rispettivi successi dei mesi scorsi.

Il dato più significativo di questa tornata ha riguardato se mai il progresso fatto segnare da Obama in Indiana tra l’elettorato femminile bianco, gli iscritti al sindacato e quanti sono registrati come democratici, tra i quali ha ridotto sensibilmente il divario da Hillary rispetto a Ohio e Pennsylvania. Quest’ultima ha conservato invece un ampio margine tra i maschi bianchi e gli anziani. Si sono confermati poi fedeli ad Obama gli elettori di colore, i giovani e i laureati. Complessivamente, in Indiana e in North Carolina erano in palio 187 delegati e Obama, secondo una recente stima della Associated Press, alla vigilia della consultazione aveva un vantaggio di circa 140 delegati (1.745), inclusi i cosiddetti superdelegati, membri del Congresso ed altri esponenti di spicco del Partito Democratico che avranno libertà di scelta alla Convention di fine agosto quando verrà ufficialmente sanzionata la nomination. Le due primarie appena ultimate dovrebbero determinare un incremento netto di una decina di delegati a favore del primo serio candidato di colore alla presidenza degli Stati Uniti.

Dal momento che nessuno dei due candidati riuscirà a chiudere la serie delle primarie in calendario con i 2.025 delegati necessari per assicurarsi matematicamente la nomination, fondamentale sarà appunto il ruolo dei superdelegati, presso i quali Hillary Clinton sta cercando in ogni modo di suscitare dubbi circa l’eleggibilità del suo avversario in vista dell’Election Day per convincere la maggior parte di essi a schierarsi dalla sua parte ribaltando l’esito del parere espresso dagli elettori. Non potendo più contare ormai sulla speranza di superare Obama nel numero dei delegati accumulati, né nel numero di voti espressi complessivamente, la strada per Hillary si presenta però ancora più in salita e le residue speranze di sovvertire la situazione sembrano essere legate quasi esclusivamente alla discussa questione riguardante l’assegnazione dei delegati di Michigan e Florida.

In questi due Stati infatti le primarie tenute nel mese di gennaio, entrambe vinte dalla Clinton, erano state rese nulle dal Partito Democratico perché anticipate rispetto alla data inizialmente fissata. I dirigenti del Partito, di comune accordo con i due candidati, dovrebbero prendere una decisione definitiva entro la fine di maggio ma risulta assai improbabile che i delegati possano venire assegnati, come sostiene il clan della ex First Lady, secondo l’esito delle consultazioni già avvenute dal momento che in nessuno dei sue Stati è stata svolta una vera campagna elettorale e addirittura in Michigan il nome di Barack Obama non appariva nemmeno sulle schede elettorali.

Nonostante lo scoraggiamento che pervade lo staff di Hillary e una situazione finanziaria sull’orlo del collasso, non ci sono per ora segnali di un suo abbandono della corsa a breve. I commenti degli osservatori tuttavia sembrano condividere il fatto che le possibilità a sua disposizione sono ormai ridotte al minimo. Il tono di stampo populista adottato di recente dalla Senatrice di New York per apparire maggiormente in sintonia con le classi meno agiate, un feeling che le ha permesso di ottenere importanti successi nei grandi Stati industriali penalizzati dalla crisi economica e di far apparire il suo rivale lontano dai loro bisogni e dalla loro sensibilità, non le sarà sufficiente infatti a convincere il proprio Partito, sempre più preoccupato per l’inasprimento dei toni che la campagna elettorale ha assunto da un paio di mesi a questa parte, della presunta pericolosità della scelta di Obama come candidato a sfidare John McCain per la Casa Bianca. Le disastrose conseguenze delle scelte dell’amministrazione Bush sembrano poter assicurare, almeno per ora, un certo margine di tranquillità tenendo lontani i timori che il Senatore dell’Illinois possa ripetere le deludenti prestazioni di candidati del passato come Michael Dukakis, Al Gore o John Kerry, tutti più o meno penalizzati dalle loro posizioni eccessivamente “liberal”.

Archiviate le primarie in North Carolina e Indiana, i prossimi appuntamenti prevedono ora consultazioni in West Virginia il 13 maggio (39 delegati in palio), in Kentucky (60) e Oregon (65) il 20, a Porto Rico (63) il primo giugno per chiudere poi in Montana (24) e South Dakota (23) il 3 dello stesso mese. Alla luce dell’esiguo numero di delegati ancora in palio e dei sondaggi che hanno stimato i rapporti di forza nei sei rimanenti Stati, Obama dovrebbe prevalere in Oregon, Montana e South Dakota, Hillary in West Virginia, Kentucky e Porto Rico, il percorso verso la nomination dovrebbe essere però ormai segnato. L’aspetto sul quale si concentrerà l’attenzione dei democratici nel prossimo mese, a parte la risoluzione della vicenda dei delegati di Michigan e Florida, sarà allora la valutazione dei danni che sei mesi di una durissima campagna elettorale avranno eventualmente causato al candidato ufficiale del Partito in prospettiva delle elezioni presidenziali di novembre.