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Categoria: Esteri
di Bianca Cerri

“Buon viaggio”, queste erano state le ultime parole di Michael Richards prima che i veleni dell’iniezione letale iniziassero ad invadere il suo sangue la sera del 25 settembre 2007. Come tutti i condannati a morte, Richards aveva voluto accomiatarsi dal mondo con un epitaffio personale. Dopo sette mesi durante i quali nessun nuovo epitaffio era andato ad aggiungersi alla lunga serie di quelli esistenti, da ieri la tradizione avrebbe dovuto riprendere con l’esecuzione di William Lynd, la prima portata a termine dopo la decisione della Corte Suprema sull’ammissibilità dell’iniezione letale. Ma Lynd ha preferito finire la sua vita in silenzio, senza lasciare dietro di sé neppure una parola. Poche ore prima il Board of Pardons & Paroles aveva rifiutato di accogliere la richiesta di clemenza presentata dai suoi avvocati. William Lynd è stato giustiziato quasi venti anni la condanna a morte inflittagli per l’omicidio di Ginger Moore, la donna con la quale viveva. Una banale lite scoppiata tra i due conviventi poco prima di partire per una breve vacanza. Un colpo di pistola sparato a bruciapelo da Lynd aveva raggiunto Moore in pieno viso. La donna era ancora viva ma per paura delle conseguenze Lynd l’aveva caricata in macchina per poi tentare un’impossibile fuga attraverso tre stati. Secondo le leggi capitali americane trasportare una persona in fin di vita e dunque incapace di esprimere la propria volontà equivale ad un rapimento in piena regola. Un’aggravante che era andata ad aggiungersi all’accusa di omicidio di primo grado e portato alla condanna a morte di William Lynd.

Alle sette in punto del sei maggio, il guardiano ha dato ordine di procedere con il macabro rituale che precede le esecuzioni. E’ impossibile penetrare la mente tormentata di un condannato che si avvia verso la propria fine e, oltretutto, sarebbe sleale. Ma non è difficile immaginare che Lynd fosse terrorizzato dall’approssimarsi della fine, mentre percorreva il corridoio che conduce alla camera dove avvengono le esecuzioni. L’angusto locale è stato recentemente ristrutturato, forse in vista di altre esecuzioni. Alle sette e sette minuti a William Lynd è stata somministrata l’iniezione letale. Quasi trenta minuti di agonia, poi la fine. Alle sette e quarantuno minuti un medico legale ha firmato il certificato di morte.

Tra alcuni giorni le esecuzioni riprenderanno in altri stati. Earl Berry sarà giustiziato il 21 maggio in Mississippi. Una richiesta di clemenza presentata dai suoi avvocati non ha ancora avuto risposta. Per qualche ragione le decisioni a favore della vita di un uomo pare debbano essere valutate molto più a lungo di quelle che sanciscono la sua morte. Nell’ottobre del 2007 Earl Berry si era già congedato dalla sua famiglia e stava per essere giustiziato quando arrivò l’ordine di fermare l’esecuzione. Non è facile dire se il miracolo si ripeterà di nuovo il 21 di maggio.

Dopo che il sedici aprile scorso i giudici della Corte Suprema hanno stabilito che il metodo dell’esecuzione letale non è da ritenersi crudele - e quindi contrario alla Costituzione - l’America è stata come investita da un desiderio incoercibile di recuperare in fretta i mesi perduti, mettendo a morte un condannato dopo l’altro. Il ventisette maggio toccherà a Kevin Green in Virginia, a giugno 5 condannati verranno messi a morte in Texas, Oklahoma e Virginia.

Altre esecuzioni sono già in programma per luglio, compresa quella dell’unica donna dell’elenco, Antoinette Frank, un’ex-poliziotta accusata di aver ucciso tre persone. Frank, che ha avuto una vita tormentata ed è affetta da una grave forma di depressione, era in forza alla polizia di New Orleans nel periodo in cui avvennero i tre omicidi. Il 20 ottobre del 1995 la donna fu condannata a morte dai giudici del tribunale della contea di Parish perché riconosciuta colpevole di una rapina a mano armata durante la quale avrebbe ucciso i tre proprietari di un ristorante vietnamita. L’udienza durò in tutto 45 minuti. In pratica un mini-processo servito solo a confermare una condanna a morte già decisa. L’avvocato di Frank, uno sprovveduto in materia di leggi capitali, fu costretto a sottomettersi al volere dei giudici. Nell’arringa finale l’accusa affermò che la condanna a morte era una “necessità”. Ogni altra considerazione sarebbe stata superflua.

Nel braccio della morte riservato alle donne in Louisiana Frank passa le giornate in assoluta solitudine. Si alza ogni mattina alle quattro e mezza e una guardia provvede a ferrarle polsi e caviglie prima di accompagnarla in bagno. Non riceve mai visite. Ogni suo respiro è controllato dalle guardie. Se è vero che le tre vittime della sua follia non torneranno mai più è anche vero che l’esistenza di Frank è di gran lunga peggiore della morte. Due anni fa, un tribunale ha confermato la condanna che le era stata inflitta nel 1995. Una decisione accolta con sollievo da Frank. Dopo essere stata privata della vita la morte le appare quasi come un’amica che viene a liberarla….