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Categoria: Esteri
di Bianca Cerri

Il 21 maggio è stato approvato in Minnesota il Reentry Omnibus Bill, una legge che tutela i reduci di guerra americani affetti da problemi mentali accusati di aver commesso reati penali. La stessa legge è già in vigore in California dal 2007 e forse verrà introdotta anche in altri stati. L’enorme numero di reduci finiti nei guai con la giustizia dopo il rientro in patria preoccupa molto le autorità delle zone dove il fenomeno è più consistente. Linda Higgins, co-firmataria dell’Omnibus Bill, teme che la situazione diventi addirittura peggiore rispetto agli anni ’70, quando molti soldati tornati dal fronte del Vietnam con la mente sconvolta iniziarono a delinquere. Forse Higgins non ha tutti i torti visto che sono già più di 300 i reduci di Iraq e Afghanistan condannati per omicidio. I più hanno un’età compresa tra 23 e 27 anni, maneggiavano armi pesanti e una volta tornati a casa non erano riusciti a trovare un’occupazione qualificata come speravano Secondo gli psichiatri, la permanenza in zone di guerra può cambiare profondamente la natura di un uomo e renderlo molto aggressivo. L’impegno messo nell’imparare cose che nella vita civile non servono a nulla genera altra frustrazione, anche in chi si è portato a casa una medaglia. Jonathan Shay, medico psichiatra che ha avuto in cura molti reduci di guerra, afferma di aver notato che i soggetti congedati con menzione d’onore hanno la stessa tendenza a reagire a tutto ciò che percepiscono come un torto con la stessa violenza di tutti gli altri e con le stesse conseguenze spesso fatali.

Al Pentagono non commentano. Dei trecento reduci accusati di omicidio, tre terzi erano ancora in servizio effettivo all’epoca del reato, ma quello che avviene fuori dall’ambito militare, dicono i portavoce, non è di pertinenza dell’esercito e nulla prova che esista una relazione tra i crimini commessi dai soldati e la loro permanenza nelle zone di guerra. Resta il fatto che molti di coloro che tornano dall’Iraq e dall’Afghanistan e che non avevano mai dato segnali di disagio mentale sono oggi affetti da depressione post-traumatica, non riescono a riadattarsi alla società civile e mettono spesso a repentaglio l’esistenza di chi li circonda.

Gli omicidi commessi dagli ex-combattenti avvengono in genere per futili motivi, come se i loro autori avessero annullato completamente i freni inibitori che
che impediscono alla maggior parte degli esseri umani di abbandonarsi alla violenza. Per Jared Terrasas è bastato il pianto del figlio Alexander, sette mesi, a scatenare la follia che lo ha portato ad uccidere il bambino. Alexander morirà dopo un giorno e una notte di atroce agonia in ospedale. Terrasas era già stato riconosciuto colpevole di violenza ai danni della moglie, ma l’esercito aveva messo tutto a tacere prima di spedirlo in Iraq. Secondo l’ordinamento militare Terrasas non avrebbe potuto essere arruolato, ma nel 2003 il dipartimento della Difesa USA non poteva permettersi il lusso di guardare troppo per il sottile.

Christian Ullmon aveva solo tre mesi quando il padre Jessie lo picchiò tanto duramente da renderlo cieco. Anche in questo caso, il comando militare sapeva che l’uomo era già stato condannato per aver abusato della figlia e, secondo le leggi federali, non avrebbe potuto partecipare ad azioni che prevedono l’uso delle armi, ma lo spedì ugualmente in Iraq da dove tornò ancora più aggressivo.

L’Associazione Nazionale Americana dei Medici Pediatri ha spesso invitato il dipartimento della Difesa a verificare le condizioni dei bambini che vivono nelle basi militari. Secondo i dati ufficiali, fra il 1985 ed il 2000 almeno dieci figli di militari hanno perso la vita nelle basi di Fort Bragg, Camp Jeune e New River. Secondo Marcia Herman-Geddes, psicologa e membro della commissione per la protezione dell’Infanzia nella Carolina del Nord, il numero di bambini che hanno subito violenza all’interno delle strutture militari è pari a due volte quello delle comunità civili.

Due anni dopo essere stato selvaggiamente picchiato dal padre il piccolo Christian Ullmon morì in ospedale. I giudici della Carolina del Nord hanno assolto l’uomo dopo che la difesa ne aveva esaltato la “brillante carriera in ambito militare”. Non si sa ancora invece quale sarà il destino del capitano Robert Quiroz, accusato di aver ucciso il figlio Roman in un momento d’ira. Quiroz era rimasto sconvolto dalla morte della moglie poco più che ventenne avvenuta lo stesso giorno della nascita di Roman. Guardava continuamente le sue foto e piangeva disperato. Diceva a tutti che non sarebbe mai riuscito a farcela e tanto meno a prendersi cura dei due figli rimasti orfani. La violenza assorbita al fronte unita al dolore per la morte della moglie hanno gli avevano divorato la mente.

Alla fine, Quiroz ha creduto di vedere nel figlio di pochi mesi la ragione di tutta la sua angoscia e lo ha ucciso. Ora è chiuso in una cella della prigione di Fresno in attesa di processo. La figlia più grande, due anni, è stata affidata ad un istituto per bambini abbandonati. Le due assistenti sociali che avevano visitato i Quiroz e che compilarono un rapporto assicurando che il giovane padre era perfettamente in grado di cavarsela sono finite sotto inchiesta. Purtroppo è ormai troppo tardi.