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Categoria: Esteri
di Elena Ferrara

Ricette contro la fame poche, ma nessuno se le aspettava. Furore ideologico, invece, quanto se ne vuole, com'era da prevedersi. Come ai vecchi tempi della guerra fredda. Le colpe dei misfatti tutte all’Est o all’Ovest. Ed ecco che a Roma, all’assise della Fao, il leader iraniano Ahmadinejad sfodera il teorema dello scontro di civiltà e scarica sugli Usa le responsabilità per quanto avviene in questo mondo dove 862 milioni di persone soffrono la fame e dove lo “tsunami dell'emergenza cibo” rischia di far lievitare in poco tempo questo numero. Avviene così - nonostante le buone intenzioni e i laboriosi negoziati della dirigenza Onu e del suo segretario generale Ban Ki-moon - che il vertice romano della Fao (chiamato a dibattere i temi chiave per la sicurezza alimentare del Pianeta nei prossimi anni, ed esaminare i prezzi delle materie prime agricole, i cambiamenti climatici e il problema dei biocarburanti) si trasforma in una tribuna politica, diplomatica ed ideologica tutta occupata dal discorso e dalle idee di Ahmadinejad in versione ruota libera. La platea del palazzo bianco romano tace mentre piovono le parole dell’iraniano, ormai certo di essere isolato. Per tutti c’è una condanna che va al di fuori dei temi in agenda. E così tocca agli israeliani venuti a Roma per parlare di desertificazione e di fame nel mondo trovarsi sul banco degli imputati, ma con una sentenza già emessa a Teheran. "Il regime sionista criminale e terrorista, che ha una storia di 60 anni di saccheggi, aggressioni e crimini - ribadisce Ahmadinejad - è alla fine e verrà presto cancellato dalle carte geografiche".

Analogo anatema è rivolto agli americani ai quali il leader iraniano manda a dire, a proposito della fame nel mondo, che "il tempo delle potenze tiranniche è finito e con la vigilanza e la solidarietà tra i popoli, gli Usa e tutte le potenze sataniche se ne andranno e la giustizia arriverà". E nella foga oratoria c’è posto anche per uno slogan: “Non è il mondo che ha paura dell’Iran, ma è il mondo che ha paura degli Usa”. E così Ahmadinejad conclude il suo intervento. In sintesi dice che tutti i mali - fame compresa - nascono dall’impero del male d’oltreoceano e che è Bush il responsabile della miseria mondiale.

Gli uomini della Fao non hanno parole e sanno che il quadro potrebbe peggiorare. Le frasi del leader iraniano disturbano gli oltre quaranta fra capi di Stato e di governo e solo la diplomazia evita una catastrofe. E così si cerca di salvare il salvabile tornando a porre l’accento sui temi che dovevano essere al centro dei lavori. Si ricordano, in particolare, gli allarmi sul clima e lo tsunami dell'emergenza cibo che, a livello globale, rischia di far lievitare il numero di 862 milioni di persone che oggi soffrono la fame. E poi si annuncia che se in questo 2008 la produzione di cereali crescerà del 3,8% - arrivando a toccare 2,191 milioni di tonnellate - non vorrà dire che si riporteranno i prezzi alla normalità a causa della necessità di ricostituire le scorte.

Tutto questo anche in seguito all'aumento della domanda globale, proveniente soprattutto dai Paesi emergenti come Cina e India. Realtà asiatiche dove la cosiddetta “dieta” sta cambiando: oggi, in Cina si consumano 50 kg di carne all'anno, rispetto ai 20 kg consumati nel 1985. E c’è poi il problema dell'acqua dal momento che per produrre un kg. di manzo, alimentato con concimi, occorrono 15 mila litri di acqua. Quindi questo vuol dire - annunciano alla Fao - che la sicurezza alimentare è già sotto il livello di guardia. Lo ricorda Jacques Diouf, direttore generale della Fao. Il quale precisa che servono nuove politiche sulle bioenergie, ma soprattutto nuovi investimenti. Almeno trenta miliardi di dollari l'anno, sostiene Diouf, per sfamare "862 milioni di persone che non hanno un adeguato accesso al cibo". La situazione è allarmante, perché "la crisi alimentare attuale va oltre la dimensione umanitaria tradizionale e ha un impatto sui Paesi sviluppati". Di conseguenza servono urgentemente "soluzioni globali sostenibili e praticabili che diminuiscano il gap tra fornitura e domanda mondiale".

Occorrono anzitutto "decisioni coraggiose" - aggiunge Diouf - "accordi di partnership tra i Paesi che hanno risorse finanziarie, capacità di gestione e tecnologie e i Paesi che hanno la terra, l'acqua e le risorse umane". Nello specifico, il direttore generale chiede un piano d'azione di trenta miliardi di dollari l'anno. Infatti, "solo con risorse di questo ordine di grandezza - spiega - si potrà cacciare lo spettro dei conflitti sul cibo che si stanno profilando all'orizzonte".
Di fronte a queste denunce l’iraniano non batte ciglio. Per lui il “diavolo” che ha organizzato e favorito questa situazione apocalittica è ben noto: tutte le colpe sono sulle spalle della dirigenza americana.

Ma la Fao per sviare le polemiche “politiche” porta sul tavolo della discussione romana altri dati. Sostenendo che se la situazione resta quella attuale, l'obiettivo del Millennio di ridurre di metà il numero degli affamati nel mondo entro il 2015 potrà essere raggiunto solo nel 2050. Dal 1980 al 2005 "gli aiuti all'agricoltura sono drammaticamente calati" - ricorda Diouf - passando dagli otto miliardi di dollari del 1984 ai 3,4 miliardi del 2004 "con una riduzione reale del cinquantasei per cento".

E mentre questi dati piombano come macigni sull’assemblea altre pietre vengono lanciate da Ahmadinejad, il quale non mostra di aver paura di un mondo che si oppone alle sue idee. Il leader iraniano passa come un fantasma nella platea della Fao e a chi tenta di chiedergli qualche informazione sulla sua venuta a Roma risponde secco: “Questa visita era destinata solo a partecipa¬re al Vertice della Fao, non avevamo in programma spazio per incontri bilaterali”. Poi, per gettare un’ancora di distensione, fa capire che per ora non cambia nulla con l’Italia: “Le nostre relazioni - dice - sono di antica data e storicamente buone e l’Iran ha un volume di affari con l’Italia più importante rispetto a quello con altri Paesi europei”.

Infine lascia il palazzo invocando, in lingua farsi, “Dio e Khomeini”. E per quanto riguarda l’Italia, pur se snobbato dalla nomenklatura governativa, si incontra con diversi imprenditori italiani che, a quanto sembra, non temono scomuniche. Gli imprenditori corrono verso il business. Gli affamati, invece, da nessuna parte