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Categoria: Esteri
di Giuseppe Zaccagni

Come dire: eppur si muove. Perché il lungo e forte silenzio tra il Vaticano di papa Ratzinger e la Chiesa ortodossa di Alessio II viene di tanto in tanto rotto dal rumore di qualche intervento fuori programma. Questa volta la prima mossa spetta a Paolo Pezzi, arcivescovo cattolico che rappresenta a Mosca la Chiesa di Roma. Il personaggio si è conquistato in terra russa una certa notorietà. Nato nel 1960 in Emilia si è dedicato alla filosofia e alla teologia presso la Pontificia Università di Roma e si è laureato con una tesi - guarda caso - sui cattolici in Siberia. Deve poi a papa Ratzinger il posto di metropolita dell’Arcidiocesi della “Madre di Dio” a Mosca. Ed è qui che risiede dall’ottobre 2007 tentando di stringere i rapporti con gli ortodossi. Funzione, comunque, difficile tenendo conto che Pezzi viene da “Comunione e Liberazione”, movimento che ha ovviamente esportato anche in Russia. E’ questo uno dei lati deboli della sua missione di proselitismo. Per ora, comunque, tutto funziona regolarmente. "La situazione dei cattolici che ho trovato in Russia - dice ora alla stampa il prelato - è quella di una realtà non grande numericamente, ma significativa per la propria fede". E dicendo questo punta a precisare che la preoccupazione non è quella dell’ "ingrossare le proprie fila". E qui Pezzi sa bene di affrontare un terreno minato perché alle spalle ha un Vaticano ricco e potente, sempre pronto a fare la sua crociata all’Est. Ma sa anche che le sentinelle dell’ortodossia russa sono sempre all’erta.

Tutto questo non gli impedisce di ricordare a tutti che la recente visita nella Federazione Russa del cardinale Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha dato un segnale importante. "Lo spunto maggiore di lavoro che ha lasciato a me, ma credo anche all'ambito dell'ortodossia - rileva Pezzi - è stato vedere nel cardinale Kasper una posizione di reale interesse per l'ortodossia, che l'ha portato ad andare incontro, a partecipare a momenti di incontro, coi giovani, con la gerarchia, ad andare a vedere più dal vivo la realtà ortodossa. Questa vicenda l'ho sentita come una provocazione a fare altrettanto”.

Sullo sfondo di queste affermazioni c’è pur sempre quell’idea del viaggio del papa a Mosca. Il rappresentante vaticano precisa che si è già al lavoro “per il dialogo”. "Ci si sta muovendo in tale direzione - dice - con l’obiettivo, comunque, di non fare di questo incontro l'evento mediatico del secolo, ma un momento certamente significativo, che sia davvero costruttivo e porti verso una piena comunione. Dall'incontro del Papa col Patriarca avremo sicuramente un impulso in questa direzione. D'altra parte, se questo incontro non fosse adeguatamente preparato e finisse per rendere più difficoltoso questo cammino, allora è più giusto anche sapere attendere".

L’attesa - lo sappiamo - data da lontano. Da quello scisma del 1504 quando le chiese ortodosse si staccarono da Roma. Caratterizzandosi con l'accettazione dei primi sette concili ecumenici, il rifiuto dell'infallibilità del papa, dall'importanza data al culto e all'esperienza spirituale e dal riferimento alla prassi ecclesiale del I millennio. E con i secoli ognuna delle chiese ortodosse ha poi manifestato la sua indipendenza dalle altre (autocefalia) dal punto di vista amministrativo. Attualmente sono riconosciute quindici chiese suddivise nei patriarcati di Alessandria, Antiochia, Belgrado, Bucarest, Bulgaria, Costantinopoli, Georgia, Gerusalemme e Mosca, negli arcivescovadi maggiori di Cipro, Finlandia e Grecia e le metropolie di Albania, Cecoslovacchia e Polonia. Il totale dei seguaci supera i 130 milioni di persone. E’ sulla Chiesa ortodossa russa che il Vaticano, comunque, concentra la sua attenzione. Ricordando che questa fu repressa dal 1917 al 1988. Ora nell’intero paese -uscito dal crollo dell’Urss - l'autorità centrale è rappresentata dal concilio ecumenico, l'unica istituzione a poter legiferare per tutte le chiese riconosciute.

Quanto ai rapporti fra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica, questi furono interrotti dal 1923 fino al 1990 e questioni aperte restano i rapporti in Ucraina e le attività missionarie dei cattolici. Ci sono poi i problemi prettamente religiosi, con le principali differenze con il credo cattolico che sono il riconoscimento del pontefice (che gli ortodossi ritengono scismatico rispetto alla giusta fede), la struttura collegiale dell'autorità decisionale (il sinodo dei vescovi), la natura non indissolubile del matrimonio, una diversa concezione della Trinità, il non riconoscimento dei dogmi cattolici formulati dopo il 1054 (Immacolata Concezione, infallibilità del papa, l'assunzione di Maria), il sacerdozio celibatario (i sacerdoti ortodossi possono avere moglie) e l'accettazione usuale del calice nella liturgia della comunione (per i cattolici si usa solo in occasioni particolari come il matrimonio).

Ora quegli ortodossi più attenti, che seguono lo sviluppo dei rapporti con Roma guardando alla politologia e all’evolversi delle relazioni, sanno bene - diversamente da Stalin, che valutava la capacità strategica del papa in termini strettamente militari («Quante divisioni ha il papa?») - dell’estrema importanza della Santa Sede come protagonista sui generis della politica internazionale. Vedono nel Vaticano un centro di irradiazione religioso, morale, e insieme l’istanza di un particolare potere, che non può astenersi dal ragionare sullo spazio, sul territorio, sui confini. Ecco perché esplorano ora la Chiesa “straniera” quasi come una terra incognita, da dissodare con gli arnesi della geopolitica.

Il rappresentante Vaticano a Mosca è al corrente di tutto ciò. Ecco perché anche lui si muove utilizzando gli strumenti della diplomazia terrena. Considerando, appunto, gli ortodossi come uno stato col quale fare i conti. E sapendo, soprattutto, che quella vaticana è, in effetti, una geopolitica paradossale. Proprio perché corso della storia al papa è molte volte accaduto di modificare il territorio ecclesiastico secondo criteri geopolitici. Come avvenuto dopo la seconda guerra mondiale, con le diocesi germano-polacche a cavallo della linea Oder-Neisse. L’unità di misura essenziale della geopolitica vaticana è stata sempre la diocesi. E le diocesi cattoliche nella Russia di oggi hanno un valore strategico più che religioso.

Gestirne il territorio, rivederne le frontiere tenendo conto dell’evoluzione della scena internazionale e interna, è anche questa un’attività primaria della Chiesa. Ecco perché il tracciato delle frontiere diocesane è oggetto, a Roma, di una riflessione geopolitica intensa e raffinata. Si tiene conto delle parti in causa, della pertinenza dei loro ragionamenti sul territorio, ma soprattutto dell’interesse complessivo della cattolicità. Quello che per uno Stato si definisce come “interesse nazionale”, per la Sede vaticana è invece ”interesse cattolico”. Di qui le “preoccupazioni” degli ortodossi russi che temono una penetrazione organizzata del Vaticano all’Est. E comunque sia dalla capitale dell’ortodossia russa non è giunta ancora alcuna dichiarazione in merito all’eventuale viaggio di Ratzinger in Bielorussia, così come auspicato dal capo di Minsk Lukashenko nelle settimane scorse. L’attesa continua e per ora il papa è lontano dall’Est perché viaggia in Australia.