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Categoria: Esteri
di Alessandro Iacuelli

E' stato arrestato Radovan Karadžic, in cima alla lista dei più ricercati per i crimini di guerra nella ex-Yugoslavia, dopo oltre dieci anni di latitanza, tredici per la precisione. L’arresto è stato annunciato dal presidente serbo Boris Tadic, Karadžic è stato localizzato e arrestato in Serbia la sera di lunedì, l'operazione è stata compiuta dalle forze di sicurezza di Belgrado. Dai primi comunicati sembra che sia stato arrestato su un autobus, nella capitale serba. Le sue responsabilità sono elevatissime: è noto al pubblico perchè è l'uomo che ordinò di sparare sui civili durante l'assedio di Sarajevo, compensando i cecchini con 50 marchi tedeschi per ogni vittima, ma è anche l'uomo che diede il via libera al massacro di 7.800 persone a Srebrenica nel luglio 1995, sotto gli occhi dei caschi blu olandesi, che non mossero un dito per evitare il più grande sterminio avvenuto in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Oltre questo, le responsabilità di Karadžic sono ben altre, e vanno oltre l'immaginazione. Psichiatra di professione, è stato un allievo di Jovan Raškovic, ed è stato anche il primo ad applicare nei Balcani la teoria psichiatrica di quest'ultimo: quella di usare la psicologia sociale e delle masse come arma da guerra. Raškovic poco prima di morire orgogliosamente affermò: "Sono il principale responsabile della preparazione della guerra in Yugoslavia, anche se non della preparazione militare. Ma se io non avessi creato lo stato emozionale giusto in tutto il popolo serbo, nulla sarebbe successo". Karadžic applica in pieno le teorie del suo maestro, d'altronde anche lui è un bravo psichiatra e, quando è in servizio presso l'ospedale militare di Belgrado, tra i suoi pazienti ha nientemeno che Slobodan Miloševic.

Radovan Karadžic è responsabile, soprattutto nella sua comunità, quella dei serbi di Bosnia, quella che oggi è diventata la Repubblica Srpska, di aver "pompato" attraverso una campagna mediatica soprattutto televisiva (ma anche radiofonica e con i giornali) la popolazione serba di Bosnia a vedere tutti gli altri come nemici. Un'attento attacco psicologico di massa su tutto il suo stesso popolo, per fomentare le atrocità oramai ben documentate. Quindi, non un semplice assassino e mandante di assassinii di massa, ma qualcosa di più sottile: un fomentatore di odio.

L'arresto di Radovan Karadžic rappresenta "un momento storico per le sue vittime, che hanno aspettato tredici anni per vederlo portato di fronte alla giustizia", così il segretario generale delle nazioni Unite, Ban Ki-moon, riassume la soddisfazione di gran parte della comunità internazionale per la consegna dell'ex presidente serbo-bosniaco al Tribunale penale internazionale che si occupa dei crimini di guerra e contro l'umanità compiuti nell'ex Yugoslavia.

E' certamente troppo presto per dare un giudizio storico sul personaggio, poichè è protagonista di cronache non concluse. E' accusato dal "Tribunale Penale Internazionale per i Crimini nella Ex-Yugoslavia" di crimini contro l'umanità, la vita e la salute pubblica, genocidio, gravi violazioni delle convenzioni di Ginevra del 1949, omicidio e violazioni delle norme e delle convenzioni di guerra. Il giudizio politico su di lui invece è abbastanza chiaro. Una volta diventato Presidente della Repubblica Serba di Bosnia, Karadžic non ha ordinato un omicidio, ma uno sterminio, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Tribunale Internazionale, mentre la sua attività psichiatrica basata sull'uso dell'arma psicologica attraverso le TV è classificata come violazione dell'articolo 3 dello Statuto del Tribunale Internazionale: creazione di un clima illegale di terrore tra i civili.

Dovrà rispondere anche di questo, dell'aver fatto una pressione psicologica tale sui serbi di Bosnia, da averli indotti ad attaccare credendo di starsi difendendo da un attacco che in realtà non c'era: la psicologia se usata come arma può essere molto pericolosa. Arma politica, nelle mani di un leader, arma da guerra, nelle mani del capo di un esercito.

C'è naturalmente un rovescio della medaglia: dopo la cattura di Karadžic i Balcani si spaccano di nuovo in due. I cittadini di Sarajevo hanno festeggiato sfilando nelle strade con bandiere bosniache e con un corteo di auto in festa. Sarajevo è in festa e saluta la cattura di Karadzic, ma sembra più che altro uno strano rito per esorcizzare il fallimento della Federazione della Bosnia Erzegovina e fare banchetto, come avvoltoi, sui serbi della Republika Srpska. In Repubblica Srpska, invece centinaia di suoi sostenitori hanno manifestato in sua difesa. D'altronde, i suoi sostenitori affermano che egli non ha maggiori colpe rispetto ad altri leader di Paesi in stato di guerra, e poi quella maledetta latitanza ha fatto di lui un eroe popolare in alcuni ambienti nazionalisti serbi. Ambienti nazionalisti che aveva creato lui stesso, con il suo uso spregiudicato della psicologia dei gruppi.

Dopo la cattura, l'ex ricercato numero uno assieme a Ratko Mladic, "è stato trasferito davanti al giudice istruttore della corte per i crimini di guerra a Belgrado, in accordo con la legge sulla cooperazione col Tribunale penale internazionale per l'ex Yugoslavia", precisa ancora il comunicato del Presidente serbo. Se Karadžic verrà estradato all'Aja, sarà l'accusato serbo numero 44 che finisce nelle mani della corte internazionale. Tra questi anche l'ex presidente serbo Slobodan Milosevic, che è morto nel 2006 durante il processo per crimini di guerra.

Una volta arrestato, è stato immediatamente interrogato da parte del giudice istruttore. Secondo quanto riferisce l'agenzia Beta News, che cita il giudice Milan Dilparic, "L'interrogatorio è terminato, Dilparic, tuttavia, ha rifiutato di rivelare ulteriori dettagli circa l'interrogatorio, definendolo come confidenziale". Secondo quanto riferito dall'avvocato di Karadžic, Svetozar Vujakic, l'ex leader politico dei serbo-bosniaci "è stato arrestato venerdì su un autobus" a Belgrado e da allora è rimasto "detenuto in una cella". L'avvocato ha poi spiegato che Karadžic, ha descritto la situazione come una "farsa" e che avrebbe anche usufruito del suo "diritto di rimanere in silenzio durante l'interrogatorio".