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Categoria: Esteri
di Michele Paris

A poco meno di cento giorni dalle elezioni che stabiliranno il 44esimo presidente degli Stati Uniti, i principali media d’oltreoceano si stanno dando battaglia a suon di sondaggi per prevedere quale sarà l’esito della sfida tra Barack Obama e John McCain. Nonostante la situazione del paese sembri favorire un cambio nella leadership di Washington e il gradimento manifestato dagli americani verso i Democratici in genere sia di gran lunga superiore a quello riservato ai Repubblicani, la candidatura del Senatore afro-americano dell’Illinois continua a non decollare nelle indagini statistiche più recenti. Vero è che Obama risulta in vantaggio in quasi tutti i sondaggi finora resi noti, ma il divario medio che lo separa dal suo avversario è tale da lasciar presagire qualsiasi sviluppo nei prossimi mesi. All’indomani del rientro di Obama dal suo discusso viaggio in Medio Oriente e in Europa, è stata pubblicata inoltre una rilevazione statistica condotta da Gallup per USA Today nella quale John McCain risulterebbe in vantaggio di 4 punti percentuali nella corsa alla Casa Bianca (49% a 45%) tra i votanti che si sono dichiarati praticamente certi di recarsi alle urne a novembre (“likely voters”). Alla luce dell’approssimazione circa il campione esaminato da questo sondaggio e il grande numero di americani ancora indecisi e verosimilmente propensi ad abbracciare la promessa di cambiamento di Obama, l’attendibilità di esso lascia il tempo che trova.

Tuttavia, se a questo dato si aggiunge il fatto che McCain seguiva il candidato democratico di 6 punti solo un mese fa tra gli intervistati, è innegabile che un’inversione di tendenza sia in atto nelle ultime settimane. Ciò potrebbe essere in parte la conseguenza, anche se sembra prematuro trarre giudizi certi, dell’adozione di una strategia più aggressiva da parte del quasi 72enne Senatore dell’Arizona coincisa con l’ingresso nel suo staff di esperti che già avevano contribuito a minare la credibilità di John Kerry quattro anni fa a favore della rielezione di George W. Bush. Una condotta volta ad attaccare da ogni parte l’avversario e plasmata su quella messa in campo dallo stratega principe dell’attuale inquilino della Casa Bianca, Karl Rove.

In ordine di tempo, l’ultimo sondaggio su base nazionale snocciolato dai media americani circa la situazione delle presidenziali è in ogni caso quello condotto dalla CNN tra il 27 e il 29 luglio che assegna un vantaggio pari a circa 7 punti a Obama (51%) nei confronti di McCain (44%). Con tutte le precauzioni del caso comunque, dal momento che nelle elezioni del 2004 il vantaggio di John Kerry su George W. Bush durante quell’estate sembrava ormai consolidato su margini simili a quelli attuali attribuiti a Obama, la grande maggioranza delle rilevazioni statistiche finora pubblicate mostrano appunto un vantaggio più o meno netto di quest’ultimo.

Poiché secondo il sistema elettorale statunitense il futuro presidente sarà colui che avrà raccolto la maggioranza dei grandi elettori nei Collegi Elettorali (la soglia fatidica è fissata a 270), il vantaggio nel voto popolare del candidato democratico che oscilla per quanto riguarda il mese di luglio tra il punto percentuale assegnatogli da Fox News (22-23 luglio) e i 7 da quello appena citato della CNN potrebbe non essere sufficiente a garantirgli il successo o quanto meno ad evitare un testa a testa, come avvenne nelle elezioni del 2000 tra Gore e Bush. Dando dunque per scontato un confronto Obama-McCain in sostanziale equilibrio, una dettagliata analisi recentemente pubblicata dalla testata on-line Realclearpolitcs può essere utile per ricavare un profilo più preciso della situazione.

Tale ricerca assegna a tutt’oggi 183 voti elettorali già praticamente sicuri al candidato democratico e 144 a quello repubblicano. 211 voti elettorali risultano invece ancora in discussione. A favore di Obama, senza praticamente possibilità di cambiamento di campo, sarebbero gli Stati di California, Connecticut, Delaware, District of Columbia, Hawaii, Illinois, Maine, Maryland, Massachusetts, New Jersey, New York, Rhode Island, Vermont e Washington. Già attribuiti a McCain invece Alabama, Arizona, Arkansas, Idaho, Indiana, Kansas, Kentucky, Louisiana, Nebraska, Oklahoma, South Carolina, South Dakota, Tennessee, Texas, Utah, West Virginia e Wyoming. Visto il margine di Obama dal punto di vista finanziario rispetto a McCain, è il candidato democratico che potrebbe teoricamente strappare all’avversario uno o più di questi Stati (Indiana, Kansas, Arizona). Per il candidato repubblicano, anche solo competere seriamente in alcuni Stati solidamente democratici comporterebbe invece un ingente esborso di denaro con poche garanzie di successo.

La rassegna dei vari Stati prosegue poi con quelli ritenuti quasi certamente assegnati e dove un cambiamento viene ritenuto possibile anche se improbabile. Obama può contare su Oregon, forse l’unico Stato della costa occidentale nel quale McCain ha qualche remota chance, e Minnesota per un totale di 17 voti elettorali; McCain su Alaska, Georgia, Mississippi, Montana e South Dakota (30 voti elettorali). In questi ultimi due Stati Obama sta però spendendo ingenti risorse e a suo vantaggio ci sono anche gli attuali governatori, entrambi democratici. Per Mississippi e Georgia invece le speranze per lui risiedono in un’affluenza record da parte dell’elettorato afro-americano. Maggiori possibilità di un ribaltamento delle previsioni attuali esistono poi in altri cinque Stati, per ora orientati verso uno dei due candidati ma senza alcuna garanzia. Iowa e New Mexico (12 voti elettorali) propendono per Obama; Florida, Missouri e North Carolina (53 voti elettorali), tre Stati tradizionalmente repubblicani, per McCain, il quale se dovesse perdere anche in uno solo di essi potrebbe trovarsi in grossa difficoltà.

Ma il vero duello tra i due aspiranti alla Casa Bianca si giocherà verosimilmente sui 99 voti elettorali in palio negli otto Stati considerati totalmente in bilico (“Toss-Ups”), e cioè: Colorado, Michigan, New Hampshire, Nevada, Ohio, Pennsylvania, Virginia e Wisconsin. Obama sembra ben posizionato per incassare la maggioranza dei voti in Colorado e Pennsylvania. Il Michigan inoltre ha una consolidata tradizione democratica, anche se la disputa relativa alle primarie di gennaio, anticipate dalla sezione locale del partito rispetto alla data originariamente assegnata e quindi privato dei delegati alla convention, potrebbe penalizzare Obama. Come nelle due precedenti elezioni presidenziali poi, la situazione in Wisconsin è molto incerta; secondo alcuni sondaggi Obama sembra però in vantaggio. McCain ha un leggero margine in New Hampshire, Stato ceduto da Bush a Kerry nel 2004 e che ha dato il via invece alla riscossa dell’attuale candidato repubblicano durante le primarie di quest’anno.

Con il Nevada ancora pressoché indefinibile, i due Stati che potrebbero decidere le sorti di un eventuale testa a testa sono infine Ohio e Virginia. Il primo, dove Obama è stato travolto da Hillary nelle primarie, risultò decisivo nel 2004 per Bush, ma le difficoltà dell’economia e le elezioni di medio termine del 2006 nelle quali i democratici hanno ottenuto un grande successo, sembrano collocare i suoi 20 voti elettorali nella colonna del partito dell’asinello. La Virginia potrebbe rappresentare invece la grande sorpresa del 2008. Gli elettori di questo Stato hanno infatti votato a favore del candidato democratico alle presidenziali solo una volta nelle ultime quattordici elezioni (nel 1964). I cambiamenti demografici avvenuti negli ultimi anni tuttavia stanno trasformando la Virginia in uno Stato più simile a quelli della costa atlantica del centro-nord rispetto a quelli del Sud, determinando un aumento delle probabilità di un suo passaggio nelle fila del partito democratico.