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Categoria: Esteri
di Luca Mazzucato

Dopo mesi di agonia, il governo Olmert è giunto al capolinea mercoledì scorso. In una conferenza stampa, il premier israeliano ha annunciato che il 17 settembre prossimo non parteciperà alle primarie del suo partito Kadima e si dimetterà, lasciando il posto al nuovo leader, ovvero la favorita Tzipi Livni, ministro degli esteri. Le numerose indagini per corruzione e frode contro Olmert stanno per concludersi portando all'incriminazione ufficiale, ma il premier ha voluto anticipare le mosse della polizia e uscire pulito dal suo incarico. “Sono fiero di essere cittadino di un paese dove il primo ministro può essere indagato come un cittadino qualsiasi” ha dichiarato Olmert. “Il premier non è al di sopra della legge,” è stata la conclusione a sorpresa del suo discorso. Le accuse contro Ehud Olmert sono numerose e si riferiscono principalmente al periodo in cui era sindaco di Gerusalemme e in seguito ministro dei Trasporti e delle Finanze nel governo Sharon. Nell'inchiesta ironicamente nota come “Olmertours” l'accusa è di aver chiesto rimborsi multipli a differenti istituti per gli stessi viaggi all'estero, effettuati da membri della sua famiglia, grazie ad un'agenzia di viaggi compiacente. Secondo un'altra inchiesta, Olmert avrebbe ricevuto donazioni in contanti e sottobanco, per centinaia di migliaia di dollari, da parte del miliardario ebreo americano Morris Talansky, che ha confermato alla polizia israeliana tutte le accuse. Tuttavia non è emersa alcuna circostanza tale da incriminare Olmert per corruzione in seguito a queste donazioni, che sembrerebbero dunque finanziamento illecito. Infine, nella terza inchiesta Olmert è accusato di aver nominato numerosi funzionari pubblici in base alla loro affiliazione politica con il Likud (il partito che Sharon e Olmert scissero per formare l'attuale Kadima), invece che seguendo una valutazione tecnica delle loro competenze. Ad occhi italiani, le accuse contro Olmert sembrerebbero ordinaria amministrazione, tuttavia nello stato ebraico il premier è costretto a dimettersi anche se solo formalmente incriminato dalla polizia.

Le reazioni alle dimissioni di Olmert sono scontate: l'opposizione di destra chiede le elezioni anticipate, ma nessuno ci crede. Nei sondaggi infatti, il leader del Likud Bibi Netanyahu è il grande favorito, con oltre dieci punti di vantaggio su Tzipi Livni, ministro degli Esteri, che rimpiazzerà quasi certamente Olmert sulla poltrona di premier. Ovvio che il ticket Kadima-Labor farà di tutto per evitare le elezioni, promettendo come sempre grossi finanziamenti ai partiti ultraortodossi per cercare di tenere in piedi la coalizione.

Chi non ha nascosto il proprio disappunto per l'annuncio di dimissioni è stata il Segretario di Stato americano Condi Rice, che dalla conferenza di Annapolis in poi aveva puntato tutto sull'asse Olmert-Abu Mazen (presidente dell'ANP). Nella vana speranza di evitare il fallimento totale del suo incarico diplomatico a Washington esibendo un accordo di pace dell'ultim'ora tra israeliani e palestinesi, o almeno una vaga dichiarazione di principi, la cui possibilità sembra a questo punto svanire nel nulla, dopo mesi d’incessante propaganda.

I due anni e mezzo di governo Olmert lasciano un bilancio fallimentare, testimoniato dall'indice di popolarità che raramente ha raggiunto la doppia cifra. Diventato premier per caso, grazie ad un ictus che colpì Sharon all'inizio del 2006, Olmert dovette da subito affrontare una crisi politica nei Territori Occupati, con la vittoria elettorale di Hamas nelle elezioni palestinesi. Eseguendo scrupolosamente gli ordini dell'amministrazione Bush, boicottò il governo Hamas e ordinò l'arresto di tutti i parlamentari palestinesi islamici e, infine, tentò la carta della guerra civile intrapalestinese finanziando e armando Al Fatah, il partito di Abu Mazen, in funzione anti-Hamas. Nel Giugno 2006, dopo il sequestro del caporale dell'IDF Gilad Shalit, decise di rioccupare in forze la Striscia di Gaza, a meno di un anno dal ritiro, di cui peraltro era stato l'artefice politico. Dalla presa del potere nella Striscia da parte di Hamas nell'estate 2007, Olmert ha ordinato l'isolamento totale di Gaza, che ha riportato all'età della pietra il milione e mezzo di abitanti palestinesi intrappolati nella Striscia.

Ma l'eredità più pesante di Olmert è senz'altro la Seconda Guerra in Libano nell'estate del 2006, di cui solo in seguito si sono scoperti i meschini retroscena, che hanno definitivamente affondato la carriera politica di Olmert con il rapporto della commissione Winograd. Avvocato in mezzo a un mare di generali, Olmert decide di mostrarsi uomo forte: in rappresaglia per il rapimento di due soldati da parte di Hezbollah (in realtà morti durante il raid), attacca in forze il paese dei cedri, provocando un migliaio di vittime libanesi, riempiendo il sud del Libano di milioni di “cluster bomb” inesplose ed esponendo Israele ad un attacco incessante di razzi Katiusha da parte di Hezbollah. Intaccando pesantemente il potere di deterrenza dell'IDF nei confronti dei paesi arabi, il premier ha dimostrato la futilità di questa guerra qualche settimana fa, negoziando uno scambio tra prigionieri libanesi e le spoglie dei due soldati rapiti, che Olmert sapeva morti in combattimento sin dal primo momento.

Olmert è stato un abile manipolatore dell'opinione pubblica, facendo la guerra ma parlando di pace. L'indimenticabile terzetto Abu Mazen, Ehud Olmert, Condi Rice, ha messo in scena la pantomima diplomatica dei negoziati di pace, sbandierando mese dopo mese sostanziali progressi, culminati nel nulla della conferenza di Annapolis, mentre la realtà dei fatti nei Territori Occupati di Gaza e della West Bank si faceva sempre violenta, con un espansione inarrestabile delle colonie israeliane. D'altra parte, il futuro si preannuncia a tinte fosche: la scomparsa di Olmert dalla scena politica consacra l'ascesa inarrestabile della destra tradizionale (il Likud di Netanyahu) e fascistoide (Israel Beitenu del colono russo Lieberman), insieme all'arrivo del Berlusconi israeliano, il mercante di armi e filantropo Arkadi Gaydamak, proprietario della squadra di calcio di Gerusalemme. Sono molti tra gli israeliani a temere che gli spazi di democrazia si assottiglieranno sempre di più, lasciando mano libera agli estremisti ultraortodossi sia nei Territori che all'interno della Linea Verde.