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Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

MOSCA. La tensione nell’intero teatro caucasico non accenna a diminuire. I venti di guerra sono sempre presenti e già al Cremlino (pienamente coinvolto in questo scontro epocale con Washington) si parla di una situazione che sta sfuggendo di mano e che si caratterizza con un riesplodere di antichi conflitti tra nazionalità che sembravano sepolti nella polvere degli anni. E così la realtà di queste ore impone di fare i conti con una vera e propria “balcanizzazione” del Caucaso. Perché i bollettini di guerra che arrivano dai due fronti opposti - russo e georgiano - sono praticamente identici. Arrivano navi nello specchio di mare dell’Abkhazia che battono bandiera russa o americana; si scambiano prigionieri e si trasferiscono bare di zinco da una parte all’altra; si presentano elenchi di “trofei” che sembrano un catalogo di qualche grossa industria militare; si soffia sul vento della propaganda cercando di trovare amici disposti a firmare appelli e dichiarazioni; si fa a gara per chi porta più coperte o bottiglie di acque minerali alle popolazioni che hanno subito gli attacchi. E si mette in moto anche la Nato che non è disposta a perdere la partita. Ingiunge alla Russia (forte anche di un impegno raggiunto con 26 stati dell’organizzazione) di fare una immediata marcia indietro gettando alle ortiche le dichiarazioni delle ore scorse in favore degli abkhazi e degli ossetini. Il Cremlino non batte ciglio e affida la risposta ad uno Stato Maggiore che fa salpare la nave ammiraglia - il modernissimo incrociatore portamissili “Moskva” - mandandola a tallonare le unità americane che già pattugliano il mar Nero. Ma non tutto, per fortuna, è nelle mani degli uomini in divisa. Perchè mentre si lanciano di nuovo accuse di mire espansionistiche e annessionistiche, i settori più “moderati” delle diplomazie dei tre paesi coinvolti nel conflitto cominciano a riflettere sul futuro e a cercare soluzioni di compromesso, capaci di sbloccare lo stallo attuale. L’orizzonte, comunque, è ancora nero. E comunque sia il cronista che si trova a Mosca tenta pur sempre di scoprire qualcosa bussando alle porte di quegli istituti che sono chiamati a fornire idee e previsioni agli attuali inquilini del potere.

L’osservatore straniero viene allertato sui pericoli che potrebbero venire da un nuovo capitolo di tensione. Il riferimento diretto è all’Ucraina di Juscenko che, secondo Mosca, ha ribadito in queste ultime ore la scelta strategica in favore degli americani e della Nato. E Kiev, ormai, non nasconde di aver fornito ai georgiani grossi quantitativi di armamenti. Ma nello stesso tempo, avvertono gli strateghi dell’intelligence, la dirigenza ucraina deve fare molta attenzione perchè il paese è praticamente diviso in due con una parte filo americana e filo-Nato (geograficamente quella occidentale) e una filo-russa (orientale ed economicamente sviluppata) dominata dall’oppositore di Juscenko, Janukovic. Non solo, ma Kiev deve pensare anche a quella Crimea mai domata e sempre pronta a sollevare la bandiera del nazionalismo grande-russo, ferito e risentito per le prove subìte.

Detto questo molti analisti di Mosca - tra loro Svanidze, Prochanov, Giuravliova, Nikonov, Pastuchov - trovano la forza e il coraggio di ammettere apertamente che la Russia è riuscita a mostrare la sua forza in un teatro di guerra molto ristretto e solo facendo ricorso alle armi. Quando la posta in gioco è ben più alta. Perché, si dice, la Russia di oggi, nonostante la facciata, è ancora debole globalmente e non si è ripresa dal crollo dell’Urss. Ha bisogno di alleati e di rapporti mondiali, normali.

In tal senso, pur se la data di convocazione era già fissata da molto tempo, va rilevato che al summit dello “Shangai Cooperation Organization” (in corso ora a Duscianbè, capitale del Tagikistan) lo stesso presidente russo Medvedev ha cercato di occupare gran parte del tempo per spiegare ai colleghi dell’Organizzazione i motivi che hanno spinto il Cremlino ad intervenire nel Caucaso. Non è chiaro, ancora, il contenuto delle reazioni. Ma c’è già quella, pragmatica, della Cina. Il presidente di Pechino Hu Jintao, stando ad un dispaccio della agenzia di stampa Nuova Cina, avrebbe espresso la propria preoccupazione per la decisione della Russia di riconoscere l'indipendenza delle due regioni separatiste georgiane di Abkhazia ed Ossezia del sud. Finora Pechino non si era pronunciata sulla decisione di Mosca, esprimendo solo la speranza che le parti riuscissero a trovare una “soluzione adeguata al problema attraverso il dialogo”.

Altre risposte ed idee non sono ancora giunte dalla lontana Duscianbè. Per Medvedev il summit asiatico è una vera prova del fuoco, mentre attende a Mosca il titolare della Farnesina, Franco Frattini. Un ministro nei confronti del quale i media russi parlano con estrema prudenza. Evidenziano la sua propensione al dialogo con la Russia per impedire un ritorno a uno scenario da guerra fredda. E se nei confronti di Frattini c’è un atteggiamento di benevola attesa, la palma della presenza nei media russi spetta all’ex Presidente Francesco Cossiga il quale viene presentato al telegiornale mentre lo speaker annuncia: “Cossiga oggi è con la Russia”. E qui il cronista nota maliziosamente che il nome di Cossiga figura nei media ovviamente traslitterato in russo. E la prima lettera del cognome, essendo la C, diviene in russo K. Anche i simboli tornano…