Stampa
Categoria principale: Articoli
Categoria: Esteri
di Carlo Benedetti

MOSCA. Definiamola pure calda o fredda, parliamo d’invasione o di liberazione, di intervento o di aiuto, ma un fatto è certo: in conseguenza della guerra voluta dal duce di Tbilisi, Saakasvili, la Georgia muta la sua geoeconomia. Le prime cifre parlano da sole. Il territorio è stato sino oggi di 69.700 Kmq. Ma con la secessione delle due realtà regionali perde 12.500 kmq. e quindi si riduce a 57.200 kmq. Quanto a popolazione il Paese, che aveva 4.640.000 abitanti, con la perdita dell’Ossezia del Sud (70.000 abitanti) e dell’Abkhazia (533.800) si riduce ad una popolazione di 4.036.200. Ma il colpo maggiore è per l’economia nazionale di Tbilisi, che in seguito alle divisioni si ritrova a perdere uno dei suoi porti strategici del mar Nero: quello di Suchumi. Ci sono poi le importanti spiagge turistiche di Gagra (che vanta una stazione termale nota in tutto il territorio dell’ex Unione Sovietica), Pitsunda, Novij Afon e Gudauta che da oggi non consegneranno più alle casse della Georgia i frutti di un importante giro di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Ed è crisi ancora più seria perchè non ci sarà più l’apporto di quell’agricoltura ossetina ed abkhaza che ha contribuito sempre ad equilibrare il livello delle esportazioni nazionali. Va infatti rilevato che questo settore dell’economia locale ha avuto uno sviluppo particolare proprio nelle regioni che ora si staccano da quella Tbilisi considerata “casa-madre”. E’ appunto nelle valli ossetine ed abkhaze che, a partire dal 1992, era stato avviato un programma di privatizzazione della terra che ha poi dato frutti notevoli dal momento che proprio quelle aree sono in grado di fornire buone quantità di prodotti pregiati (soprattutto (agrumi, viti, con significativa produzione vinicola), e, sempre tra i prodotti commerciali, barbabietola da zucchero, tabacco, oli aromatici. E non solo questo, perchè la presenza di vaste aree forestali (39% del territorio) ha qui reso possibile la formazione di una significativa industria del legname.

La Georgia dovrà ora fare i conti anche con altri settori - un tempo trainanti - che verranno a mancare. Perché le nuove realtà nazionali si prenderanno buona parte delle risorse del sottosuolo (carbone, petrolio, gas naturale, manganese) ed anche quelle idriche soprattuto della regione dell’Abkhazia in grado, sino ad oggi, di alimentare la produzione elettrica di gran parte della Georgia. Problemi si avranno anche per la struttura industriale generale fondata prevalentemente - sino ad oggi - su quei settori pesanti caratterizzati dalla produzione di tubi d'acciaio destinati all’esportazione, soprattutto verso l’Azerbajgian.

Sin qui il disegno generale della nuova geoeconomia caucasica, che costringe il presidente georgiano a proporre una sorta di "Piano Marshall" (lo dice in un'intervista alla radio tedesca Deutschlandfunk) chiedendo all'Europa e agli Stati Uniti di "sostenere la Georgia affinchè riparta l'economia" attraverso un programma economico così come avvenne dopo la seconda guerra mondiale. Ma l’avventura della repubblica caucasica non è finita. Perchè il pericolo per Tbilisi potrebbe ora arrivare da un’altra regione che sembrava “normalizzata”.

Si tratta dell’Agiaria (3000 Kmq. con 387.000 abitanti) che nel corso del 2003 aveva già assunto una posizione decisamente ostile alla dirigenza di Tbilisi, facendo affidamento sulla base militare russa dislocata a Batumi. La regione (che ha uno status di relativa autonomia nell’ambito della Georgia) potrebbe ora alzare il tiro e muoversi sulla strada della secessione iniziata dai vicini di casa abkhazi e ossetini. Una partita del genere a prima vista potrebbe essere ostacolata dal fatto che la regione, per quanto prevalentemente abitata da musulmani, ha sempre dichiarato di essere georgiana e di non avere, di conseguenza, quei sentimenti di forte ostilità che hanno invece le altre due regioni secessioniste nei confronti di Tbilisi.

Ma con i venti di guerra che hanno agitato ora la nazione (e ricordando quella tensione del 2004 che portò a una serie di incidenti frontalieri, scaramucce ed accuse reciproche tra Tbilisi e Batumi) è chiaro che la situazione torna ad essere estremamente delicata e non è escluso che nell’immediato futuro possa precipitare verso un vero e proprio scenario di una secessione che, del resto, è stata sempre presente nel mondo dell’Agiaria. E anche in questo caso entrerebbero in gioco antiche diffidenze proprio in questa terra di frontiera che si trova sul fronte turco e che è popolata da “georgiani musulmani”.

Saakasvili non può, quindi, considerare conclusa la sua avventura. Deve cominciare a preparasi per l’apertura di questo fronte che ha uno sbocco strategico sul mar Nero e dove, nel porto di Batumi (che è nel mirino degli interessi degli Usa e della Nato) sono all’ancora le sue navi da guerra. Se avverrà questa nuova secessione la Georgia si troverebbe a scendere ulteriormente: 54.200 Kmq. con 3.656.200 abitanti. Per non parlare del danno economico dovuto alla perdita di un centro come Batumi dove si trovano alcune delle principali industrie del Paese. Sono anche questi i problemi che Saakasvili e i suoi protettori americani devono mettere nel conto di una nuova geopolitica del Caucaso.