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Categoria: Esteri
di Elena Ferrara

Potenza dello sport. Se una volta c’era la “diplomazia del ping-pong” (con gli americani che nel 1971 sbarcarono in Cina per una partita che segnò, appunto, l’inizio dell’era di una nuova forma di intese diplomatiche) oggi comincia il periodo della “diplomazia del calcio”. Avviene tutto nell’antica Armenia che, da sempre “nemica” della Turchia, ha ospitato un’invasione pacifica dei tanto temuti turchi. Alle spalle c’è il ricordo del 1915 quando gli armeni dell’Anatolia orientale furono sterminati in quello che è stato poi definito come il genocidio armeno attuato dai turchi (le vittime furono circa due milioni). E c’è poi l’interruzione delle relazioni politico-diplomatiche dal 1993 a causa delle rispettive rivendicazioni sui confini. Ma ora comincia il disgelo. Ed è un fatto epocale. Tutto, appunto, per una partita di calcio nella capitale armena che ha visto schierate in campo le nazionali della Turchia e dell’Armenia. Avvenimento storico perchè le due nazioni vivono ancora nel clima di una loro guerra fredda, lontane da ogni rapporto diplomatico e con le frontiere chiuse. L’evento sportivo non è tanto importante per l’esito quanto per l’incontro tra i leader dei due paesi. Ed eccoli ora gli undici turchi scesi in campo a Erevan contro i colleghi armeni (battuti con un 2 a 0) per l’incontro valevole per le qualificazioni ai mondiali del 2010 in Sud Africa. Nella tribuna d’onore, uno accanto all’altro - e anche questo per la prima volta - Abdullah Gul, presidente della Repubblica turca e quello dell’Armenia, Serzh Sargsyan. Vuol dire che le relazioni bilaterali cominciano a trovare un loro campo d’attività in per cercare di appianare i pesanti contenziosi ancora esistenti tra le capitali, Ankara e Erevan. Ma questo non vuol dire che sia stata raggiunta un’intesa rilevante. Perchè il governo turco, ancora non ammette il genocidio.

Pur se la stampa incoraggia un riavvicinamento su temi politici ed economici rilevando che sono ormai in molti ad auspicare la creazione di un comitato per discutere dei temi storici riguardanti “la diaspora” degli armeni. E qui va ricordato che già nel 2005 il primo ministro turco Erdogan suggerì la costituzione di un “comitato congiunto di storici armeno-turchi”, ma il precedente presidente armeno - Robert Kocharyan - propose allora piuttosto di creare un “comitato intergovernativo” per ristabilire le relazioni diplomatiche e discutere il riconoscimento internazionale del genocidio e il risarcimento delle sue conseguenze. Da quel momento però è sempre muro contro muro. Tutto si è bloccato e la Turchia continua a negare la parola “genocidio”, come invenzione di chi vuole indebolire la nazione turca.

Da parte sua Serzh Sargsyan si rivolge al turco Gul ricordando che “durante il conflitto sul Nagorno Karabakh, la Turchia chiuse le frontiere con l’Armenia come espressione di solidarietà etnica con il turco Azerbaijan. Il deprecabile risultato è che per quasi 15 anni il vitale confine geopolitico tra Armenia e Turchia é stato una barriera alla cooperazione diplomatica ed economica. Esso è chiuso non solo per quegli armeni e turchi che volessero visitare il Paese a loro confinante, ma anche per il commercio, i trasporti e i flussi energetici che vanno da Est ad Ovest. Da ambo le parti ci potrebbero essere dei possibili ostacoli politici sul percorso. Comunque noi dobbiamo avere il coraggio e la lungimiranza di agire ora. Armenia e Turchia non hanno la necessità di essere perenni rivali e non dovrebbero esserlo. Un futuro più prospero e mutuamente vantaggioso per Armenia e Turchia è l’apertura di uno storico corridoio Est-Ovest verso l’Europa, la regione del Caspio e il resto del mondo, sono obiettivi che noi possiamo e dobbiamo raggiungere”.

Ma non tutto fila liscio, perchè ad Ankara si levano voci di dura protesta. L’opposizione turca vede la “missione sportiva” di Gul come un cedimento di fronte all’Armenia; CHP (Partito repubblicano) e MHP (Partito nazionalista) parlano addirittura di offesa all’onore della nazione turca e di “errore storico”, che avrà ripercussioni nefaste nelle ottime relazioni storiche con l’Azerbaijan - nazione molto vicina alla Turchia per storia, etnia e lingua - e la Georgia, data la vicinanza dell’Armenia con la Russia. Ci sono invece valutazioni positive che vengono da varie parti dell’Europa. In particolare si pronuncia favorevolmente il Commissario europeo all’allargamento, Olli Rehn, il quale auspica che il passo di Gul sia presto seguito da altri che conducono ad una normalizzazione delle relazioni fra i due Paesi. Anche il patriarca armeno Mesrob II, dalla sua sede a Istanbul, augura che la partita di calcio sia stata un’occasione per riavvicinare le due nazioni. E anche il primo ministro turco Erdogan appoggia l’incontro sportivo tra i due Presidenti, vedendovi la possibilità di arrivare ad una “piattaforma per la stabilità e la collaborazione caucasica”, che dovrebbe inizialmente includere la Turchia, la Russia, l’Azerbaijan, la Georgia e l’Armenia e poi estendersi anche ad altri paesi confinanti. Evento straordinario, quindi, quello che ha avuto come teatro un campo sportivo sul quale si sono fissati gli occhi di milioni di caucasici che hanno guardato non tanto ai ventidue in campo, quanto ai volti dei due presidenti “nemici”.

Sul campo ci sono stati anche segni di grande distensione. Perchè la squadra armena aveva deciso di indossare magliette con un nuovo simbolo raffigurante un leone ed una tigre al posto del vecchio logo nel quale era rappresentato il monte Agri, noto anche come monte Ararat, situato nella parte orientale della Turchia. Un monte che gli armeni considerano “loro” e ne hanno fatto, appunto, il simbolo di una rivendicata unità nazionale. Ma l’Arart, quello dell’arca di Noè, sta dall’altra parte del confine. In Turchia, appunto. Per non dare adito a nuovi e futili scontri etnici gli armeni di Erevan hanno cambiato maglia, rinunciando al loro tradizionale simbolo. Qualcosa si muove.