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di Alessandro Iacuelli

Il 7 settembre scorso, sul fiume Sambriero, nell'area del Delta del Niger, un gruppo di uomini armati ha dirottato una nave, la "Fulmar Lamnaco". Secondo quanto riferito dal portavoce dell'esercito nigeriano, il colonnello Musa Sagir, durante il dirottamento sarebbe morto un marinaio e un altro sarebbe stato rapito. Sagir ha anche dichiarato che la nave è di proprietà dell'Agip, del gruppo Eni, ma la multinazionale italiana ha smentito rapidamente: "La nave in questione non è di nostra proprietà ma di un'azienda contrattista australiana; al momento non ci sono nemmeno contratti in corso di esecuzione con l'Agip", ha dichiarato la multinazionale italiana che opera in Nigeria. Lo stato nigeriano è il primo produttore di petrolio del continente africano, ma anche il settimo esportatore mondiale. La regione è una delle aree del mondo più ricche di idrocarburi, con riserve provate di petrolio pari a 36 miliardi di barili ed è il quinto fornitore di greggio degli Stati Uniti. Di conseguenza, è di vitale importanza per l'Eni, che ha stabilito nel Delta del Niger numerosi impianti di estrazione. Nella regione del Delta del Niger negli ultimi anni hanno colpito a ripetizione sia gli indipendentisti del Mend, il Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger, che mirano a colpire la fiorente industria petrolifera, sia bande di criminali comuni. Dopo gli avvenimenti dell'anno scorso, quando tre italiani furono rapiti dal Mend, l'Eni ha diminuito la presenza di lavoratori italiani, e oggi sulle piattaforme lavorano soprattutto nigeriani, colombiani e filippini. La situazione nella regione è tesa più che mai, anche se qui in Italia non se ne parla molto: i nostri organi di stampa riportano le notizie solo quando riguardano persone di nazionalità italiana. In pochi hanno riferito che sono stati rilasciati due ostaggi francesi, e che a giugno il Mend ha attaccato la piattaforma di Bonga, un campo petrolifero a cento chilometri dalla costa che da solo produce 200.000 barili di petrolio al giorno.

Intanto, l'8 settembre, ha iniziato i propri lavori il "Comitato per la pace del Delta del Niger", un organo che dovrebbe cercare di mediare e migliorare la situazione sempre più pericolosa di quella regione, in cui si muovono decine di gruppi di miliziani, ma anche di semplici banditi. Questa nuova commissione è composta da quaranta persone, in rappresentanza di ognuno degli stati del Delta, ma il Mend ha già respinto fin da ora ogni proposta operativa che verrà avanzata dalla commissione: "La pace nel Delta del Niger sarà determinata dagli acquitrini delle mangrovie e non dalle stanze con l'aria condizionata di Abuja", ha detto il portavoce del Mend Jomo Gbomo, "Senza il rilascio di Henry Okah, nessun militante assennato che abbia evitato la cattura può credere che il governo voglia una pace autentica. Pertanto questa commissione è solo un tentativo ipocrita".

Henry Okah è il leader del Mend, catturato ed incarcerato un anno fa. L'anno scorso fu convocato un tavolo in cui erano stati coinvolti anche i miliziani dei gruppi più politicizzati, in quell'occasione il vicepresidente Jonathan Goodluck aveva contattatto Henry Okah, uno dei leader principali del Mend, come una delle parti che dovevano essere consultate, per avviare il processo di pace del Delta. Okah aveva assicurato la sua cooperazione a condizione che la crisi del Delta venisse affrontata seriamente dal nuovo Governo. Ad Okah fu proposto di presiedere la commissione, lui rifiutò, ma indicò due persone, che furono nominate presidente e segretario. Prima che la Commissione di Pace iniziasse a lavorare, secondo i comunicati del Mend, il Governo Federale e le compagnie petrolifere avrebbero fatto pressioni per ottenere l'arresto di Okah e del suo collaboratore Edward Atatah, un comandante di navi, a Luanda, in Angola, il 3 Settembre del 2007; contro di lui un'accusa generica di traffico d'armi, che probabilmente nasconde gli interessi reali delle compagnie petrolifere, Eni in testa, alle quale conviene il fatto che Okah non sia in circolazione. Per cinque mesi Okah è rimasto in carcere in Angola senza che venisse formalizzata di fronte a un tribunale nessuna accusa contro di lui. Oggi Okah si trova nelle carceri nigeriane sottoposto a un processo del quale però non si sa nulla in occidente.

Oggi, ad un anno di distanza si verifica quest'aggressione: la "Fulmar Lamnco" navigava da Brass verso Port Harcourt, la nazionalità del marinaio ucciso nell'assalto, non è stata resa nota, così come non sono seguite rivendicazioni. Il dirottamento è finito dopo poco tempo sulla costa, dove gli assalitori si sono allontanati portando con sé un altro marinaio, come ostaggio. Si attende la richiesta di riscatto. In circostanze analoghe, un'altra imbarcazione era stata assalita il 25 agosto scorso. Anche in quel caso, la notizia è passata sotto silenzio nel mondo occidentale: l'estrazione del petrolio non si può fermare, è più importante di ogni altra cosa.