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Categoria: Esteri
di Valentina Laviola

La piazza ha vinto. I dimostranti di Bangkok hanno ottenuto la caduta del primo ministro Samak Sundaravej. Martedì scorso, la Corte Costituzionale ha annunciato la propria decisione costringendo il premier alle dimissioni: la folla ha esultato, festeggiato, ma senza abbandonare la posizione. È la prima volta che un primo ministro tailandese lascia il suo posto per verdetto di anticostituzionalità. Tuttavia, le dimissioni forzate non impedirebbero, legalmente, una rielezione di Samak. Il conflitto d’interessi che ha portato al suo ritiro si sarebbe consumato, secondo la Corte, negli studi di uno show televisivo che si occupa di cucina: il premier era già apparso come ospite nello stesso programma prima di essere eletto, ma la Costituzione della Thailandia vieta rigidamente al Capo del governo di dedicarsi ad impegni di carattere privato, specie dietro compenso, nel momento in cui si trovi in carica. La tensione, comunque, non si è allentata in questi giorni: centinaia di poliziotti in assetto antisommossa sono stati dispiegati attorno al parlamento tailandese; si temono nuove proteste da parte degli oppositori, ma anche dei sostenitori, di Samak. La gente ha intenzione si mantenere i presidi finché non sarà nominato qualcun altro, soprattutto per assicurarsi che non l’abbiano vinta i sostenitori di Samak. Questa eventualità, infatti, farebbe precipitare ancora di più la situazione. L’attuale crisi è il risultato di un crescendo di proteste che accusavano Samak di spalleggiare il suo predecessore, Thaksin Shinawatra, rientrato dal suo esilio nel febbraio 2008 e ancora in attesa di giudizio per l’accusa di corruzione. Il malcontento popolare è nato soprattutto dal sospetto che alcune manovre del premier, quali alcune modifiche costituzionali, fossero volte ad aiutarlo.

Le dimostrazioni di piazza sono culminate in agosto, quando migliaia di persone hanno letteralmente assediato la sede del governo, riuscendo a causare la chiusura temporanea di ben tre aeroporti e a creare problemi al sistema ferroviario. Il 2 settembre, infine, Samak ha dichiarato lo stato d’emergenza nella capitale, autorizzando così l’intervento dell’esercito. Questa decisione è ironicamente arrivata in contemporanea con le dichiarazioni della commissione elettorale tailandese: sembra che il People’s Power Party abbia comprato voti durante le elezioni di dicembre, pertanto si raccomandava alla Corte suprema di sciogliere il suddetto partito.

Nonostante questo disastro politico, il premier è stato irremovibile, continuando a rifiutare le dimissioni e a negare che sussistessero motivi sufficienti per sciogliere il parlamento. Tuttavia, la popolazione non ha mollato e alla fine il governo ha ceduto approvando l’idea del referendum per confermare o meno la carica di Samak. Arriviamo così ad oggi, con il Primo ministro dimissionario e uno scenario politico nel caos.

Inizialmente, i partiti della coalizione di governo avevano dichiarato che, se Samak avesse accettato di ricandidarsi, lo avrebbero votato ancora. In realtà, proprio alcuni dei suoi vecchi sostenitori, insieme all’opposizione, hanno disertato la seduta parlamentare in segno di protesta per la sua decisione di ripresentarsi. A causa di questo colpo di scena e della confusione generale, le prime votazioni in Parlamento sono fallite e la decisione finale è stata rimandata a mercoledì.

A quanto pare, Samak ha ormai perso la sua base d’appoggio politico; tutti auspicano un nuovo candidato che risolva la crisi. In particolare, il PPP sembra estremamente diviso al suo interno. Così, nel giro di due giorni, il premier uscente ha dovuto fare un passo indietro e riconsiderare la propria posizione. Uno stretto collaboratore sostiene, infatti, che il leader abbia ormai rinunciato al proprio reinserimento come primo ministro. “D’ora in avanti dipende dal partito decidere cosa succederà”, ha dichiarato.

Sul fronte delle nuove candidature ha circolato addirittura il nome del leader del Democratic Party (all’opposizione), Abhisit Vejjajiva. Questi avrebbe chiesto un governo imparziale di unità nazionale composto da tutti i partiti per favorire la stabilità, vera necessità del momento. Gli analisti politici locali, però, vedono in questa soluzione un passo indietro per la democrazia tailandese, in quanto “un Primo ministro del genere non rappresenterebbe la maggioranza dell’elettorato”.

Sembra invece più plausibile il nuovo candidato Somchai Wongsawat. All’interno del People’s Power Party lo ritengono la scommessa migliore rispetto all’opposizione e il più affidabile nel raccogliere consensi all’interno del partito. Somchai, infatti, è un cognato di Thaksin Shinawatra: grazie a questo legame, alcuni pensano che possa avere un maggior controllo sul PPP rispetto ad altri candidati. D’altro canto, la sua parentela con l’ex-premier esiliato sembra tollerata dall’opposizione perchè “fin ora”, si dice, “non ha dimostrato di seguirne i suggerimenti”. Per l’attuale coalizione al potere sarebbe importante mantenere il governo nelle mani di un loro membro per assicurare l’approvazione della manovra finanziaria già prevista per il 2009.

Intanto, Somchai, dopo un incontro con i capi dell’esercito, ha dichiarato concluso lo stato d’emergenza, dopo 12 giorni. Le tensioni politiche restano, ma non sono più tali da giustificare un tale livello d’allerta. I disordini e le violenze stanno diminuendo e si teme che continuare così sarebbe dannoso per il Paese. Per Bangkok non rimane che aspettare la nomina ufficiale del suo prossimo primo ministro.